martedì 19 febbraio 2008

Frontera: "Le Primarie?Non facciamole per finta"


Il Tirreno
LUNEDÌ, 18 FEBBRAIO 2008


«È bene che fossero due i candidati in lizza per il vertice cittadino»

LUCIANO DE MAJO
LIVORNO

«Cosa penso dell’assemblea comunale del Pd? Che la presenza di due candidati abbia fatto bene a entrambi. E’ stato un fatto importante, che ha dimostrato come il Partito democratico non sia solo una fusione a freddo di due partiti, ma molto di più».

Claudio Frontera è stato fra quelli che hanno sostenuto la candidatura di Daniele Bettinetti, che poi è stato superato da Giorgia Beltramme nella corsa alla segreteria cittadina del Pd. E giudica con parole positive il fatto che ci sia stato un secondo candidato in lizza. Parole positive che estende al processo costituente del Pd.

«Io che ero un entusiasta di questo nuovo partito - dice - lo sono tuttora. Penso che tutti i passi compiuti siano stati positivi. E’ quasi un miracolo se in pochi mesi è nato un partito nuovo, radicato nei territori e con la metà degli eletti, a tutti i livelli, composta da donne. Non condivido, pertanto, i giudizi liquidatori e negativi. Magari non è esattamente quello che sognavo un anno fa, però siamo ancora in rodaggio, non dimentichiamolo».

E che cosa sognava un anno fa?

«Forse immaginavo un lavoro di approfondimento culturale più affinato. Non sarebbe stato male lavorare a una identità politico-culturale più strutturata. Ma lo ripeto, non è un rimprovero».

Dica la verità, questo Pd è avviato verso la sconfitta...

«Io sono convinto che possa vincere. Esiste la potenzialità reale di passare subito nella fiducia dei cittadini. Ci sono alcuni segnali inequivocabili: è stata una ottima decisione quella di andare da soli. Ed è una scelta di straordinaria efficacia quella che Veltroni sta compiendo sul fronte della comunicazione: fare un programma di dodici punti è un elemento di grandissima innovazione. Secondo me, è una operazione politica di altissimo valore».

Lei dice che il Pd va da solo. Ma se si è appena unito a Di Pietro: insomma, non è che la volontà, in fin dei conti, era quella di scaricare la sinistra?

«No, io credo che il punto sia un altro: la chiarezza della proposta. Se le promesse all’elettorato le fa un soggetto singoli, allora mantenerle è più probabile. Se arrivano da un soggetto plurimo, è tutto più difficile. Questo è un ritorno all’essenza della politica. E’ una rivoluzione copernicana, non so se ci rendiamo conto fino in fondo della sua portata».

Ma quelle per scegliere i candidati, che primarie saranno? Chi potrà votare? Solo gli iscritti o tutti gli elettori?

«Questo è ancora da decidere. Io, se volete sapere il mio parere, sono per fare le primarie sempre e per farle sempre con lo stesso metodo: il massimo dell’apertura. Anche perché cambiare sistema potrebbe generare dubbi e sospetti. E cioè che vi siano dei sistemi più funzionali a determinati obiettivi. Allora, per fugare ogni perplessità, decidiamo di far partecipare tutti gli elettori. E’ meglio. Poi ci sono anche scelte peggiori di non fare le primarie».

Quali?

«Le primarie finte, per esempio. Le primarie sono vere quando chi si esprime può farlo sulla base di opzioni plurime. Se non si fanno, i cittadini hanno la percezione che non si vuole coinvolgerli. Se si fanno senza che siano autentiche, allora hanno l’impressione di essere presi in giro. E non ci sarebbe niente di peggio».

lunedì 18 febbraio 2008

La campagna elettorale del PD è partita alla grande.

Ho scritto un libro, due anni fa, per indicare gli abissali ritardi culturali della sinistra riformista sul fronte della comunicazione. I venti mesi del governo Prodi ne sono stati l’ennesima dolorosa prova. Ma la conferma più vistosa dell’importanza del nodo politica/comunicazione è proprio nell’esordio elettorale del Pd di Veltroni. Politica accessibile, moderna e fattiva da un lato e messaggi chiari, comprensibili e attuali dall’altro, sono tutt’uno. Andare da soli al voto. Una scelta che ha scompaginato il fronte avversario è, in pari tempo, un messaggio di chiarezza che ha spiazzato il variegato fronte dell’antipolitica. Andare da soli significa infatti rischiare e non difendere il potere, riportando la politica all’origine della rappresentanza : la conquista del consenso sulla base di una proposta. Rispetto ad anni di caste inamovibili capaci di mediazioni da contorsionisti per difendere il proprio spazio di visibilità e di contrattazione, un magico punto e a capo.
Efficace anche la scelta del programma essenziale in dodici punti presentato ieri. Rispetto al tomo di 280 pagine del Programma della Fabbrica della coalizione di Prodi, è una scelta di efficienza della politica e anche un messaggio di chiarezza e semplicità. Aver scelto tra questi essenziali punti programmatici misure che dimostrano sintonia con le preoccupazioni delle famiglie come il lavoro e il reddito da lavoro, significa prendere le distanze dalla tecnopolitica della “competitività del sistema paese” . Come dire : farsi capire per dimostrare di aver capito. Aver messo la sicurezza tra le priorità significa aver definitivamente archiviato imbarazzi e reticenze che, da sinistra, avevano permesso alla destra di beneficiare strumentalmente di un vantaggio immeritato su questo fronte.
Con il Pd si respira un’aria nuova e non solo per la scelta azzeccata della location di Spello. C’è di più in questa capacità e soprattutto nella volontà di comunicare: c’è l’inizio di una nuova politica a sinistra. Il messaggio sta arrivando e lascerà il segno.

Claudio Frontera
Membro del coordinamento territoriale di Livorno e dell’assemblea costituente regionale toscana del Pd.

domenica 17 febbraio 2008

I commenti

Anonimo ha detto...
Volevamo esserci e....ci siamo! Finalmente una novità !
17 febbraio 2008 11.11

Pd, Beltramme eletta leader

DOMENICA, 17 FEBBRAIO 2008
IL TIRRENO
L’assemblea comunale sceglie una giovane donna:

è l’ex segretaria cittadina dei Ds


Novità: in lizza uno sfidante. Bettinetti arriva al 17%


«Ma la vera sfida inizia ora: è necessario vincere le elezioni»

LIVORNO. E’ una donna la prima segretaria cittadina del Partito democratico. L’assemblea comunale del Pd ha scelto Giorgia Beltramme, attribuendole un consenso dell’82,7 per cento. L’ex segretaria dell’Unione comunale dei Ds ha ottenuto 240 voti sui 290 voti validi espressi. La differenza rispetto ai congressi nei quali era stata eletta, però, è che questa volta non correva da sola. Non è stata, insomma, la candidata unica, perché dal corpo del Partito democratico della città è uscito un altro pretendente alla segreteria: Daniele Bettinetti, 39 anni, proveniente da ambienti cattolici. A lui sono andati 50 voti. Diciannove, in tutto i voti non validi (13 schede bianche e 6 nulle). Complessivamente hanno votato 309 delegati, eletti nelle consultazioni effettuate al momento della nascita dei circoli del Pd. Sarebbe un errore, comunque, valutare questa sfida come un match fra un’esponente di provenienza Ds (Beltramme) e uno di area Margherita (Bettinetti). Si tratta di uno schema troppo semplice. A sostegno della candidatura dello sconfitto, infatti, c’era tutto quell’ambiente di reti associative che ha partecipato alla stesura del programma di Prodi per le elezioni del 2006 e che si è attivato, subito dopo, proprio per la nascita del Partito democratico, dando impulso alla creazione, anche in città, dell’Associazione per il Partito democratico. Bettinetti ha frequentato a lungo la rete «Incontriamoci» che raccoglie fra i suoi animatori in città l’ex presidente della Provincia Claudio Frontera, oggi vicepresidente della Fondazione Sistema Toscana, e Daniela Miele. Alla fine, la neo-segretaria ha comunque teso la mano all’avversario e a chi l’ha sostenuto, ricordando che la sfida vera comincia ora. «Ci sono queste elezioni da vincere, l’Italia ha bisogno di noi», ha detto Giorgia Beltramme quando nell’auditorium della Camera di commercio, a risultato ufficializzato, erano rimasti ormai pochi intimi. Scena ben diversa, invece, nel pomeriggio, quando la sala era praticamente piena. In ogni caso, Beltramme ha detto anche di aver apprezzato questa prima prova «non da sola». «E’ stata una candidatura della quale abbiamo saputo praticamente all’ultimo momento - ha spiegato - e quindi gli spazi per una possibile mediazione non ci sarebbero stati neanche per questione di tempo». Mediazione che probabilmente Bettinetti non avrebbe accettato, dal momento che ha rivendicato un modo diverso nella scelta e nella selezione dei segretari. «E’ nato un partito nuovo e questo è un fatto che ha entusiasmato tutti noi - ha detto al termine dell’assemblea - e se c’è una cosa che non capisco, è perché si debba continuare a proseguire sulla strada delle candidature uniche. Misurarsi fa sempre bene, a tutti. Questa non è stata una elezione che si è risolta sul filo dei voti, ma io credo che la presenza di due candidati sia stato un elemento assolutamente positivo». Eletta la segretaria cittadina, il Pd si tuffa ora in una campagna elettorale in salita, con i sondaggi che danno gli avversari favoriti. Con un primo scoglio da superare: quello delle candidature per le elezioni politiche. Primarie o “primariette” che siano, la macchina degli iscritti (non è ancora chiaro se stavolta potranno votare anche coloro che si dichiarano elettori del Pd) sta per mettersi in moto. Resta da capire chi si candiderà e con quale sostegno da parte del gruppo dirigente.

domenica 3 febbraio 2008

ELEZIONI SUBITO NON VANNO BENE

Giovanni Sartori
Corriere della Sera
01-02-2008
I politici disinteressati che operano soltanto nell’interesse del Paese sono oramai rari. Dilagano invece i ribaldi, i politici che operano soltanto nell’interesse proprio. Come fermarli? Come rimandarli a casa? È sempre più difficile perché il Berlusco-Prodismo (in questo perfettamente appaiati) ha sempre più indebolito il potere dell’elettorato. A dispetto delle apparenze, siamo sempre più impotenti. Alle urne, alle urne! Alle urne per decidere che cosa? La risposta di rito è: persino per decidere il capo del governo. Ma quando mai? Se davvero il Berlusco- Prodismo volesse attribuire al popolo il potere di scegliere il premier, allora la scheda di voto dovrebbe chiedere:
1˚Volete il suddetto come premier? Sì / No;
2˚ Se No, allora chi...?
Invece sulle nostre schede il nome è prestampato e nemmeno ne è ammessa la cancellazione. Il che configura una scelta senza scelta, e così un classico raggiro. Ancora. In passato gli elettori votavano per singoli partiti, il che vuol dire che avevano libertà di scegliere tra una molteplicità di offerte relativamente precise e distinguibili. Ma il Mattarellum e il Berlusco-Prodismo ci hanno regalato carrozzoni «coatti» che imbarcano cani e gatti e che propongono offerte fumose e intrinsecamente contraddittorie. I carrozzoni offrono all’elettore una maggiore libertà di scelta dei partiti separati? Direi proprio di no. Infine, oggi il problema più scottante è quello della «casta». A dir poco, almeno metà degli italiani è indignata e se ne vorrebbe liberare. Ma come? Non sanno come fare. E hanno ragione. Le caste (sia di destra che di sinistra) sono trincerate ovunque, e non saranno le proteste né l’astensionismo a sloggiarle. Il tanto inneggiato popolo sovrano non è mai stato incastrato, per non dire castrato, peggio di così.
Dicevo all’inizio che oramai i politici disinteressati si contano sulle dita. Non se ne deve ricavare che anche se coltivano tutti il proprio interesse siano tutti egualmente dannosi per l’interesse generale.
A Berlusconi conviene (per sé) saltare la riforma elettorale? Sì.
A Veltroni conviene (per sé) avere la riforma elettorale? Sì.
La differenza è che mentre l’utile del Cavaliere confligge con l’interesse del Paese, l’utile di Veltroni è anche nell’interesse del Paese. Su una scala da 0 (cinismo puro) a 10 (altruismo massimo), in questa partita piazzerei Berlusconi a zero e Veltroni a 5. Quanto al dibattito su elezioni subito o no, è un dibattito del tutto pretestuoso. Nemmeno è vero che non ci sia tempo, o che perdere tempo sia «delittuoso» (Fini). In Senato giace quasi pronta una buona proposta di riforma (la bozza Bianco) sulla quale un accordo trasversale potrebbe essere stipulato in pochissimi giorni. Se Berlusconi dicesse di sì, sarebbe cosa fatta. Ma Berlusconi dice di no, perché a lui, dicevo, l’interesse del Paese non importa un fico secco. Si avverta: una piccola generosità non lo danneggerebbe di molto e gli farebbe fare, in compenso, una bella figura. Ma il Cavaliere non è fatto così. Oramai gravemente afflitto dal «mal di potere», lo rivuole subito. Anche un solo giorno di potere mancato lo fa soffrire.