venerdì 28 novembre 2008

SI CHIUDE BOTTEGA

CON LA PUBBLICAZIONE DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO A GERUSALEMME CHIUDE IL BLOG DI “INCONTRIAMOCINELPARTITODEMOCRATICO”.

Nel suo discorso di ieri all’Università Ebraica di Gerusalemme, in occasione del conferimento della laurea Honoris Causa da parte di quella che è uno dei più importanti atenei del mondo, il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano ha pronunciato parole amare e dure sul decadimento della politica “faziosa e miope” che caratterizza, purtroppo, negativamente, il nostro tempo.
L’autorevolezza della carica istituzionale da cui tali giudizi provengono, la storia e il prestigio personali del Presidente, la circostanza ufficiale, fanno di questo discorso un caposaldo di una vasta riflessione e di un vasto dibattito aperto da qualche anno sulla crisi della politica in Italia ed in Europa (sugli Stati Uniti di Barack Obama va fatto un discorso a parte, molto legato alla vicenda politica, alle istituzioni e alla storia recente di quella grande democrazia).
Insidiata dalla crescita del potere economico, la politica è sempre più subordinata, su scala globale, nazionale o locale, alla sfera economica e non di rado intrecciata in modo devastante col mondo degli affari e degli interessi privati.
Mentre tutto si regola su scala globale: l’economia, la finanza, il commercio, la gestione delle risorse fondamentali, prima fra tutte l’energia, come anche la comunicazione e l’informazione, la politica rimane asfitticamente chiusa dentro la dimensione nazionale e dentro istituzioni ottocentesche.
La democrazia, la più grande conquista politica degli ultimi secoli, è spesso ridotta a rituale privo di contenuti di reale partecipazione e di vera cittadinanza.
Il confronto politico avviene su coordinate sempre più povere culturalmente e spesso scivola nella superficialità, nella rozzezza, nell’incompetenza, quando non nell’ignoranza.
L’approfondimento di merito dei grandi problemi che l’inizio del XXI secolo propone, il rapporto tra uguaglianza e diversità, il confronto tra culture e religioni, il rinnovamento del welfare, i problemi etici posti dallo sviluppo delle scienze biologiche, la formazione e la libertà, la tutela dell’ambiente, ecc. è evitato con il ricorso ad una faziosità che delegittima tutto ciò che avviene in campo avversario e chiude il dibattito all’interno del proprio campo, riesumando antichi richiami al patriottismo di partito e alla fedeltà al capo di turno.
La selezione delle classi dirigenti, tradizionalmente compito della dialettica politica, è affidata alla cooptazione e all’opportunismo, ammantate di un giovanilismo di facciata, riedizione di quel gattopardismo italico, per il quale è necessario, ciclicamente, che “tutto cambi perché nulla cambi”.
Investite in pari misura da questi fenomeni, destra e sinistra reagiscono però molto diversamente. Mentre la destra, in quasi tutti i paesi d’Europa, dall’Italia alla Scandinavia, dalla Francia alla Polonia, ecc. trova più facilmente forme di convivenza con queste tendenze negative, con la mediazione di un populismo di nuovo tipo, di un nazionalismo compassionevole, di un leaderismo mediatico, la sinistra sbanda, a volte scimmiottando il leaderismo televisivo della destra, altre volte rincorrendola con eccesso di zelo mercantilista, oppure moltiplicando personalismi e divisioni.
Negli ultimi due-tre anni abbiamo dedicato grandi energie a cercare di costruire un cambiamento di orizzonte di una vasta area di centro sinistra, potenzialmente maggioritaria in Italia come in Europa. In sintonia con processi e idee molto ampi e diffusi in Europa, nel nostro piccolissimo perimetro abbiamo promosso iniziative pubbliche, alimentato un dibattito e cercato di far circolare idee attraverso il Blog, abbiamo contribuito ai percorsi congressuali attraverso i quali i due partiti dei Ds e della Margherita hanno fondato il Partito Democratico. Abbiamo cercato di mantenere aperti canali di comunicazione tra l’area del Pd e altre aree politiche della sinistra. Abbiamo partecipato con entusiasmo a quella mobilitazione e a quel risveglio che, in occasione della nascita del PD, ha visto milioni di cittadini manifestare interesse e partecipazione politica.
Oggi dobbiamo prendere atto, e le parole del Presidente della Repubblica non possono non essere un autorevole sigillo in tal senso, che il risultato di questi sforzi è molto modesto e molto debole. I segnali di questo esito sono così numerosi, che non c’è bisogno di citarli, anche perché il Blog ne ha spesso dato conto. Va aggiunto che, a livello locale, non sono mancati anche segnali di chiusura e di delegittimazione strisciante, attraverso l’insinuazione e l’allusione polemica, verso il ruolo delle libere associazioni politiche come Incontriamoci, prova di un clima sempre meno aperto al confronto politico.
Non vogliamo certo gettare la spugna o arrenderci. Le persone che abbiamo incontrato in questo recente cammino, la crescente voglia di democrazia e trasparenza, la fiducia che meritano coloro che sono impegnati in prima linea in questa battaglia, giustificano un saldo ottimismo, nonostante tutto.
Continueremo, quindi nell’impegno per il rinnovamento della politica e della democrazia.
Tuttavia i tempi, i modi, le incertezze della sfida che abbiamo di fronte, rendono non più adatti strumenti e forme pensati ed attivati in una fase precedente, ormai chiusa.
Con la pubblicazione dell’intervento del Presidente Napolitano chiude quindi il nostro Blog, anche se la sua motivazione di fondo resta attuale. Per tutti coloro che lo hanno frequentato in questi due anni e mezzo, questo è pertanto solo un caldo arrivederci.


Claudio Frontera Daniela Miele


Livorno, 28/11)08

Un grazie di cuore

Un ringraziamento particolare a Paolo per la collaborazione e il supporto tecnico che non ci ha mai fatto mancare. Alla prossima!!!

Daniela e Claudio

l'accusa di Napolitano:«Miopia e debolezza delle classi dirigenti POLITICA FAZIOSA».

http://www.quirinale.it/

Da Lectio Magistralis del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Gerusalemme

Dichiarazione di Giorgio NAPOLITANO

«Miopia e debolezza, in troppi casi, da parte delle classi dirigenti».
(27 novembre 2008) -
Il Capo dello Stato a Gerusalemme: i palestinesi devono riconoscere israele«Debolezza, in troppi casi, da parte delle classi dirigenti e delle leadership politiche nazionali».
GERUSALEMME - Di fronte alla crisi finanziaria e ad altri processi che «su scala mondiale tendono a sfuggire a ogni controllo», Giorgio Napolitano vede «miopia e debolezza, in troppi casi, da parte delle classi dirigenti e delle leadership politiche nazionali». Lo ha detto nella lectio magistralis pronunciata all'Università Ebraica di Gerusalemme che gli ha conferito una laurea honoris causa in filosofia.. Bisogna invece «mettere l'accento contro le chiusure e i protezionismi nazionali», ha aggiunto.
POLITICA FAZIOSA - «Dimenticando la lezione della storia si dà un clamoroso esempio di immiserimento della politica, riducendola a strumentalismo, spogliandola di ogni dimensione storico-culturale. Vedo in questo, in generale, una delle attuali malattie della politica, una delle cause del suo decadimento», ha aggiunto il presidente della Repubblica illustrando la sua convinzione che «l'ideale e il progetto sionistico», pur collocandosi nell'era dei nazionalismi, si distinsero e presero le distanze «da approcci aggressivi e ambizioni di potenza». In questo senso, ha concluso, «due anni fa denunciai chi non avendo il coraggio di dichiararsi antisemita assume come bersaglio il sionismo identificando con esso una presunta volontà di dominio».
PALESTINESI E ISRAELE -  «Non si deve mai scivolare sul terreno della delegittimazione di Israele», ha proseguito poi Napolitano che ha espresso «preoccupazione» e considerazione per la «dura condizione della gente di Gaza» ma aggiungendo che ciò «non può mai mettere in ombra» per nessun palestinese e arabo «il problema del pieno inequivoco, coerente riconoscimento dello stato di Israele, della sua legittimità, del suo diritto all'esistenza e alla sicurezza
Fonte: Corriere della Sera.it vai alla pagina

lunedì 24 novembre 2008

Se in Italia i giovani leoni non hanno i denti ......

L´inchiesta di Repubblica sull´Italia da sbloccare, partita l´11 novembre, ospita, oggi, l'intervento di Giuseppe D'Avanzo, di cui riporto un brano. D'Avanzo propone un'interessante analisi dell'anagrafe della politica italiana, comparando i dati tra i partiti italiani, i partiti europei e gli USA.
Risulta che il Paese è bloccato, ma l´analisi dell´anagrafe rivela un´altra verità. A partire dalla politica e dall´economia c'è una sorpresa : in Italia il potere è GIOVANE (o quasi)!
In Parlamento e nelle grandi società, l´Italia non è più un paese per vecchi A sorpresa tiene testa agli Stati Uniti e continua nel processo di rinnovamento. La Lega per prima ha puntato sulle nuove leve. Ma le università fanno eccezione
"Le rogne di un ricambio generazionale sono tutte del Pd
Il gruppo più giovane della legislatura è del Carroccio: solo 40 anni in media
Il premier italiano è tra i più anziani d´Europa: 72 anni contro i 48 di Zapatero
Semmai i problemi sono tutti nella gerontocratica università italiana. Tra gli oltre 18mila cattedratici, solo 9 hanno meno di 35 anni e tre su dieci ne hanno più di 65, hanno contato Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Epperò lo svecchiamento degli ultimi anni con il proliferare di corsi di laurea e di sedi universitarie, con l´aumento del 100 per cento dei professori ordinari (ma alcuni parlano del 150 per cento) non ha migliorato la qualità né della ricerca né dell´insegnamento. Non basta essere giovani per cambiare in meglio l´esistente. Di sicuro non nell´università italiana.A ben guardare, la politica se la passa meglio. Sei governatori hanno meno di 50 anni e l´età media è di 53 anni. Alla Camera l´età media degli eletti è di 50 anni e al Senato di 54 (senza i senatori a vita): una spanna meglio del Congresso americano dove, ricorda Leonardi, dal 1996 l´età media degli eletti è di 51 anni e al Senato di 58. In questo orizzonte, si dimentica sempre (colpevolmente, ottusamente) la rivoluzione della Lega. Il più "antico" partito del Parlamento italiano è la forza politica che, nell´ultimo decennio, ha governato un quarto del Paese creando, come ha osservato Andrea Romano, una classe dirigente «giovane e competente». Il 77 per cento degli eletti in Parlamento del Carroccio ha un´età che oscilla tra i 29 e i 49 anni (fonte, la voce.info) e la gran parte dei duecento sindaci leghisti sono quarantenni. I casi di Federico Bricolo (41 anni), già eletto nel 2001 (a 34), o dell´ex assessore del Veneto Francesca Martini (46 anni, già eletta alla Camera nel 2001 a 39) o di Matteo Bragantini (32) non sono eccezioni nel gruppo parlamentare più giovane della legislatura, età media 44 anni. È una classe dirigente cresciuta all´ombra della vecchia guardia padana, secessionista e folklorica, ma oggi pragmatica custode delle attese e le ambizioni di un elettorato che conosce come la sua famiglia e di un territorio che abita come la propria casa. È un´élite consapevole che debba essere la Lega «il motore riformatore del governo».
Silvio Berlusconi, si sa, non ha bisogno di una classe dirigente. Basta a se stesso. Come ha scritto Alberto Asor Rosa su questo giornale, il nostro carismatico premier «è un grande distruttore di élite: dove lui passa, non c´è straccio di classe dirigente che resista». Si sente Napoleone III o forse - meglio - Luigi XIV. Per governare gli è sufficiente un Richelieu (Gianni Letta, 73 anni), un Colbert (Tremonti) e, per antica abitudine, un avvocato (Niccolò Ghedini, 49). Per il resto, il sovrano si circonda di cortigiani sorridenti, fantaccini ostinati, belle e giovani signore e di un corteo di «vogatori, cruciferi, flabellieri, turiferari, toreadori», intercambiabili e ininfluenti come un Daniele Capezzone (36 anni). Da questo punto di vista, le rogne di un ricambio generazionale sono tutte allora del Partito Democratico, partito nuovo che si lascia alla spalle il suo solo leader vincente (Romano Prodi, 69 anni). Il PD, attor giovane del sistema politico italiano, dovrebbe essere più sensibile a liberarsi dell´autarchia generazionale e, a parole, è così.Altri sono i fatti. Tra gli eletti del Pd gli under 40 (dunque, i giovani autentici) sono appena il 13 per cento e, se si allarga la forbice ai 49 anni, si arriva soltanto al 43 per cento (34 per cento in meno rispetto alla Lega, il partito - ripeto - più «antico»). Un risultato assai modesto, anche se il PD è riuscito ad abbassare in questa legislatura la media dei suoi eletti da 54 a 49 anni, un anno in meno del Partito della Libertà (50). Se poi si guarda ai criteri di selezione o alla qualità di questa presenza giovanile, la luna diventa nera. Al contrario dei volti nuovi della Lega, non si scorge nessun radicamento nel territorio, nessun legame con la società. Paiono decisive cooptazione, fedeltà senza discussione, buona presenza mediatica.L´avventura politica di Marianna Madia ne è il prototipo più esplicito. Ventotto anni, scelta addirittura come capolista a Roma, presentata come «economista» tra le perplessità degli economisti, avventurosamente si presentò così: «Metto al servizio del Paese la mia incompetenza». Merito, competizione e senso di responsabilità non orientano i comportamenti e le scelte di chi governa il Partito Democratico né sollecitano quei giovani che chiedono di governarlo o almeno di contare di più, di avere più spazio e potere. Chi, con la giovane età, una competenza può vantarla come Irene Tinagli (34 anni, ricercatrice presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh) se ne va già disillusa («Ero stata contattata per le mie competenze tecniche, in un anno di PD non sono stata consultata nemmeno per un parere»). Nella convinzione che l´azione politica si svolga tutta all´interno dello spazio mediale, ha nel PD più visibilità un demi-monde mediatico, blogger come Luca Sofri (44 anni), Diego Bianchi (38), Mario Adinolfi (37). Competenze? Pochine. Luca Sofri lo ha ammesso con onestà durante i lavori di una direzione (è tra le venti personalità indicate da Walter Veltroni). Sofri disse a brutto muso: «Sono qui a discutere come affrontare il secondo decennio del Duemila le stesse persone che non hanno saputo affrontare il primo e che erano qui nel millennio precedente» per poi concludere: «. Non pretendo di spiegare a persone molto più esperte e competenti di me quali contenuti dare al presente e al futuro del Partito Democratico. Non sto parlando di contenuti e non sarei all´altezza di discussioni molto approfondite ed elaborate».Chapeau!Ho l´impressione che, in assenza di competenze, i giovani che vogliono fare del PD, come scrivono nel loro blog (Uccidere il padre), «un partito moderno, democratico, laico e di sinistra» (e capirai che puntuta e illuminante freschezza), chiedono soltanto di togliersi dai margini, di farsi benedire e riconoscere sventolando appartenenza. È l´accorta pulsione, temo, che può spiegare la rimozione in quel partito di ogni conflitto politico per mano dei più giovani.È il quarto e ultimo argomento: se si guardano i numeri, la politica italiana non è priva di giovani. Anzi, è giovane. Il suo deficit è un altro.Se si guarda al PD, è ossessionata dall´obbedienza, disinteressata alle competenze spendibili liberamente. È dominata dalla prudente ragione del primum vivere che orienta da sempre i maturi di ogni partito e ora anche gli acerbi dell´ultimo partito nato. E´ una politica che non conosce il conflitto.Il conflitto vero sulle questioni reali (non le cerimonie mediatiche) è, al contrario, sempre salutare e necessario se un corpo sociale, qualche che sia, non vuole sclerotizzarsi e conservare vitalità e dinamismo. E´ il conflitto il grande assente nel parolaio del discorso politico giovanilistico. Dove comme il faut si fa un gran parlare di Barack Obama (chi sarà il nostro Obama? dove troveremo il nostro Obama?).Si dimentica che il nuovo presidente americano ha sconfitto in campo aperto, al termine di una lunga e dura battaglia, Stato per Stato, elettore per elettore, due micidiali clan politici (Bush e Clinton) che hanno governato gli Stati Uniti negli ultimi venti anni. Lo ha fatto in splendida solitudine ché, in avvio, ha dovuto fare a meno anche dell´appoggio della macchina elettorale afroamericana di Al Sharpton e Jesse Jackson che lo guardavano con freddezza. Ce l´ha fatta non perché è su Facebook (anche), ma perché (innanzitutto) ha un´idea della natura della crisi degli Stati Uniti e un programma per affrontarla. È apparso autorevole, credibile, responsabile, capace di stringere forti legami sociali, di radicarsi nel Paese e tra la sua gente perché la sua intelligenza delle cose è maturata a contatto con la realtà in cui vive e si muove un popolo in carne e ossa e non nel mondo frammentato dell´immagine, dei consumi, delle mode, dello spettacolo dove abitano soltanto figurine di cartone.Se prendere atto delle metamorfosi non significa condividerle, si può dire - e non è una provocazione - che la declinazione della politica di Obama ha più a che fare con la giovane classe dirigente della Lega che non con i giovani leoni senza denti del Partito Democratico. Converrà allora che quei giovani si diano da fare. Riscoprano il conflitto. Comincino a pretendere regole certe per le primarie, come propone da tempo Tito Boeri. Pretendano il ritorno al voto di preferenza. Esigano che l´età di elettorato attivo e passivo coincida, come in Germania, Svezia, Spagna. Diano battaglia. Soltanto con un conflitto aperto di ideali, progetti, analisi, competenze, soltanto con un conflitto leale nella raccolta del consenso, quindi nella misura di un concreto radicamento sociale, si potrà coltivare la speranza di un nuovo riformismo, la convinzione di potercela fare a cambiare l´Italia, a fermarne il declino e la deriva autoritaria. Altra ambizione non può esserci e, se c´è, non è soltanto mediocre. È perdente e, peggio, noiosa come un´impotente lagna".
Giuseppe D'Avanzo

Irene Tinagli si allontana dal PD...o è il PD che è lontano da Irene Tinagli?

Caro Walter,ti scrivo perché ho deciso di dimettermi dal Coordinamento Nazionale del Partito Democratico. Una scelta non facile che nasce dall’esperienza di quest’ultimo anno e dai dubbi crescenti sulla capacità del PD di proporsi come forza riformista e innovativa, come aveva detto di voler fare un anno fa. Un obiettivo ambizioso al quale avevo aderito con entusiasmo e che ora faccio fatica a riconoscere in questo partito, in numerosi ambiti. Dalle posizioni ambigue su importanti temi etici e valoriali, alla gestione di processi politici locali e nazionali, ma soprattutto alle posizioni in quegli ambiti piu’ cruciali per la crescita del paese: istruzione, ricerca e innovazione. Era su questi temi che coltivavo le aspettative maggiori verso il PD. Ero stata molto delusa dalle politiche del Governo Prodi, ma speravo che con il PD si aprisse una stagione nuova, fatta di elaborazione di idee e proposte significative. Di fronte alle posizioni del PD su questi fronti non posso che essere sconcertata. Non ho visto nessuna proposta incisiva, se non “andare contro” la Gelmini. Peraltro tra tutti gli argomenti che si potevano scegliere per incalzare il ministro sono stati scelti i piu’ scontati e deboli. Il mantenimento dei maestri, le proteste contro i tagli, la retorica del precariato, tutte cose che perpetuano l’immagine della scuola come strumento occupazionale. E’ questa la linea nuova e riformista del PD? Cavalcare l’Onda non basta. Serve una proposta davvero nuova, che ribalti certe logiche di funzionamento anziche’ difenderle. Ma non ho visto niente di tutto questo.La mia delusione e’ tanto piu’ forte quando penso alla propaganda fatta un anno fa riguardo all’apertura a idee nuove, quando penso alle molte persone provenienti da ambiti professionali qualificati che si erano avvicinate al progetto del PD e che avrebbero potuto portare un contributo in termini di idee e innovazione. Che fine hanno fatto queste persone? Quali nuove modalita’ di coinvolgimento e ricambio ha creato il Partito? Io stessa, che ero stata contattata (cosi’ mi era stato detto) per le mie competenze “tecniche”, in un anno di vita del PD non sono stata consultata mai nemmeno per un parere. Questa emarginazione non ha certo offeso ne’ me ne’, credo, le altre persone gia’ molto impegnate fuori dalla politica. Mi chiedo pero’ come mai, un anno fa, ci era stata chiesta una collaborazione con tanto apparente entusiasmo quando evidentemente di questa collaborazione non c’era bisogno. Mi chiedo se era necessario fare tanto chiasso sul ricambio generazionale quando basta guardare chi sta ancora in cabina di regia per capire che, in fondo, non e’ cambiato niente.Inneggiare al cambiamento, all’idea di una societa’ e di una politica nuove serve a poco se manca il coraggio di intraprendere fino in fondo le azioni necessarie a realizzare queste idee. Sartre diceva che noi siamo quello che facciamo. Sono le nostre azioni che ci definiscono, stare a discutere su cio’ che ci piacerebbe essere serve a poco: la gente ci giudichera’ per quello che abbiamo fatto. E di quello porteremo la responsabilita’. Per quanto mi riguarda non voglio portare la responsabilita’ delle scelte che sta facendo questo partito che in larga parte non condivido e sulle quali non ho avuto e non ho possibilita’ di incidere in alcun modo. Per questo ho deciso di dimettermi.
Irene Tinagli

“Talenti da svendere”




«Caro Walter, ci credevo: invece...»
«Mai consultata»: si dimette l’economista arruolata dal Pd
«Nessuna sorpresa, è così da due anni» ci dice Irene Tinagli (nella foto), empolese, ricercatrice negli Usa, a Pittsburgh.

Irene Tinagli, 34 anni, sposata è nata a Empoli. Insegna alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh. Allieva di Richard Florida, è una grande esperta di politiche pubbliche per l’innovazione, la creatività e lo sviluppo economico. Lavora come consulente per il dipartimento “Affari economici e sociali” dell’Onu e per la Commissione europea. È autrice e co-autrice di pubblicazioni internazionali e italiane, come il libro “Understanding Knowledge Societies”, pubblicato nel 2005 dalle United Nations Publications.
Il suo ultimo lavoro, per Einaudi, è il libro “Talenti da svendere” (2008).

Il Tirreno
24 Novembre

GUIDO FIORINI
EMPOLI.
Molti amici le hanno detto: «ripensaci». Ma nessuno l’ha chiamata dai vertici del partito. L’avevano cercata a lungo per farla entrare nella direzione nazionale del Partito Democratico ma dopo le sue dimissioni pubbliche, con una lettera al “Riformista” tre giorni fa, neppure una telefonata: «Nessuna sorpresa, è così da due anni» ci dice Irene Tinagli, empolese, ricercatrice a Pittsburgh. «Nessuno - prosegue - mi ha mai cercato per chiedermi un consiglio su nessun argomento, per cui non mi aspettavo certo adesso una chiamata. E neppure tutto questo clamore per le mie dimissioni. Ma io non potevo restare a fare lo “specchietto per le allodole”. Ci credevo nel partito riformista di cui parlava Veltroni al Lingotto, volevo contribuire, ma non potendo fare niente mi sono chiamata fuori». Irene era entrata nella direzione del Pd per dare un contributo da esperta qual è di innovazione e sviluppo. Un ruolo che la stimolava, pur essendo spesso negli Usa per lavoro. Qualcuno la voleva anche in Parlamento, ma lei si era sempre rifiutata. Ora ha detto addio al Pd, con toni forti. «Chi mi ha chiesto di ripensarci mi ha detto “fai appello alla tua passione politica”. Ed è proprio per la mia passione politica che ho lasciato, per coerenza con le cose in cui credo. E in cui avevo creduto quando ho accettato». La giovane ricercatrice contesta le posizioni del Pd su scuola, pubblico impiego, temi etici. E non solo. «Hanno voluto mettere dentro persone nuove e continuano a cercare i voti vecchi. Su scuola e pubblico impiego non c’è stato niente di costruttivo, solo contrarietà su tutto, per difendere un bacino elettorale e inseguire i toni forti di qualcuno. All’inizio le mie dimissioni volevo restassero una cosa privata. Poi mi arrivavano centinaia di lettere, sms, note su “facebook”. E ho capito che il mio disagio lo sentono in tanti. Così ho deciso di dimettermi pubblicamente». Dimissioni che hanno fatto scalpore. Ma che non hanno spinto alcun dirigente del partito a chiamarla. «Se c’è stato tanto scalpore è perché là dentro nessuno ha mai preso posizioni di rottura. Tutti, in fondo, hanno qualcosa da perdere. Molti la pensano come me, ma tutti hanno una poltroncina, o aspirazioni per il futuro, rapporti da coltivare. Una mia amica parlamentare mi ha detto: «In 30 anni di politica non avevo mai visto dimissioni da una direzione nazionale»... «Ebbene - ribadisce Tinagli - io sono la prima. Se mi sono dimessa è perché volevo cambiare le cose, il modo di fare politica. Credevo in un partito nuovo e riformista. Non aspiravo ad altro. E dopo due anni mi sono resa conto di non poterlo fare, che ero solo un fiorellino all’occhiello e che i temi erano gli stessi di sempre. È stato anche un problema di onestà verso la gente che pensava che facessi chissà cosa: “Su quali temi lavori Irene per il partito?”, mi chiedevano per la strada. E io “su nulla”. Non potevo andare avanti così». Irene è delusa anche dalle posizioni del Pd su altri fronti. «Parlo di temi etici. Io non posso stare nello stesso partito di una come la Binetti, che ha dichiarato che gli omosessuali sono pedofili e malati mentali. Odio l’intolleranza. Se non ho mai votato a destra è perché ci sono personaggi come Calderoli che la manifestano ogni volta che parlano. Quindi non sarebbe coerente stare insieme a persone che sono altrettanto intolleranti. Eppure ero contenta che nascesse questo partito che metteva insieme l’anima riformista e socialista con quella cattolica. Ma speravo che si prendesse il meglio dalle due parti, non il peggio. Ho amici cattolici che hanno una grandissima apertura mentale. Con questi si sarebbe potuto lavorare insieme, per fare davvero qualcosa di nuovo. Invece...».

domenica 23 novembre 2008

Il principio della rana lessata



Immaginate un pentolone pieno d'acqua fredda nella quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l'acqua si riscalda piano piano. Presto diventa tiepida. La rana trova questo piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura continua a salire. Adesso l'acqua è calda. Un po' più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po' ma tuttavia non si spaventa. L'acqua ora è veramente calda. La rana comincia a trovare sgradevole ciò ma essa si è indebolita, allora sopporta e non fa nulla. La temperatura continua a salire fino al momento in cui la rana finisce semplicemente per cuocere e morire. Se la stessa rana fosse stata direttamente immersa nell'acqua a 50°, immediatamente avrebbe dato il giusto colpo di zampa che l'avrebbe presto proiettata fuori dal pentolone. Questa esperienza mostra che, quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte del tempo, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, noi subiamo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate, e ci disturbano leggermente, oggi, o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all'integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute. I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche. Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere. Quando ho annunciato queste cose per la prima volta era per domani. Adesso, è per oggi. Allora se non siete come la rana, già mezzo cotti, date il colpo di zampa salutare prima che sia troppo tardi.

Olivier Clerc
Siamo già mezzi cotti o no?
Dall’allegoria della Caverna di Platone a Matrix, passando per le favole di La Fontaine, il linguaggio simbolico è un mezzo privilegiato per indurre alla riflessione e trasmettere delle idee. Olivier Clerc, scrittore e filosofo, in questo suo breve racconto, attraverso la metafora, mette in evidenza le funeste conseguenze della non coscienza del cambiamento, che infetta la nostra salute, le nostre relazioni, l’evoluzione sociale e l’ambiente. Un condensato di vita e di saggezza che ciascuno potrà piantare nel proprio giardino per goderne i frutti.


sabato 22 novembre 2008

Partito nuovo Il futuro è a rischio

Corriere della Sera
21 novembre 2008
Paolo Franchi

Quando, un paio di anni fa, la nave del Pd prese finalmente il largo, si disse che stava per nascere non un nuovo partito, ma un partito nuovo. Non voleva essere soltanto un gioco di parole. Di nuovi partiti, dopo il collasso della Prima Repubblica, ne erano nati e morti un'infinità: nessuno avrebbe potuto entusiasmarsi all'idea di metterne su un altro, seppure più grosso, nella speranza che le debolezze di Ds e Margherita, sommate, dessero luogo a una forza. Porre mano alla costruzione del partito nuovo del centrosinistra, invece, rivelava, o avrebbe dovuto rivelare, ben altre ambizioni. Magari di natura diversa. Quelli che avevano una qualche dimestichezza con il Pci potevano cogliervi, volendo, anche un richiamo al miracolo politico di Togliatti au retour de Moscou (in fondo l'unica rifondazione che il comunismo italiano, trasformandosi da setta di rivoluzionari di professione in partito di massa fedele all'Urss, certo, ma anche radicato in tutte le pieghe della società, abbia mai conosciuto), e insomma una trasfigurazione, e al tempo stesso un inveramento, della loro storia: veniamo da lontano, e andiamo lontano.

Ma di Togliatti in giro non ce n'erano, e nel costituendo Pd potevano al massimo inverarsi e trasfigurarsi, come in effetti è accaduto, il Pds e i Ds, che del Pci avevano ereditato quasi tutti i vizi ma quasi nessuna virtù. Quelli che con questa storia non avevano legami, o li avevano più nettamente recisi, immaginavano qualcosa di diverso: un partito come in Italia non c'era mai stato, la casa in cui tutti i riformismi e tutti i riformisti avrebbero potuto vivere da liberi e da eguali, una grande forza post ideologica a vocazione maggioritaria in grado di candidarsi a governare in una democrazia bipolare, e anzi tendenzialmente bipartitica. Ma per gettare le basi di un partito così sarebbe servito un big bang, o almeno un vigoroso rimescolamento delle carte: non se ne è vista traccia, come per primi hanno dovuto constatare (a modo loro, e comunque in solitudine) Marco Pannella e i radicali.

I risultati si vedono. Nessuno, nemmeno quelli che sul nascente Pd erano stati critici e comunque dubbiosi, immaginava che, in un così breve volgere di tempo, la realtà si sarebbe rivelata peggiore delle previsioni più pessimistiche. Sette mesi dopo la sconfitta elettorale, fatica oltremisura a prendere corpo non solo la poesia del partito nuovo, ma anche la prosa del nuovo partito. Magari perché un partito, vecchio nuovo o seminuovo che sia, è tante cose, nobili e meno nobili. Ma prima di tutto è una comunità di valori e, perché no di interessi, un «grumo di vissuto», direbbe Pietro Ingrao, che non sta insieme se non c'è un mutuo riconoscimento di buona fede e di lealtà. Una comunità in cui si discute, ci si divide e, nel caso, ci si accapiglia, ma avendo sempre chiaro che c'è un limite oltre il quale l'unica prospettiva diventa la scissione o, peggio ancora, l'implosione: e cioè, parafrasando Marx, la comune rovina delle parti in lotta. È tutto da stabilire se il Pd abbia queste caratteristiche. Anzi, a dire il vero sembrerebbe proprio di no. E sembrerebbe pure che quel limite, se non è già stato superato, sia sul punto di esserlo. Saremmo felici di sbagliare.

Ma già ora non ci si chiede tanto quale sarà il futuro del Partito democratico, quanto piuttosto se un futuro il Partito democratico lo abbia, o se invece siamo già all'inizio di una fine annunciata. Come se al Pd stesse capitando qualcosa di simile a quello che capitò, quaranta e passa anni fa, al Partito socialista unificato, con la differenza che allora, nel momento della separazione, fu comunque possibile ai contendenti, peggio che ammaccati, rientrare nelle vecchie case, il Psi e il Psdi, mentre stavolta non ci sarebbero tetti, seppure malcerti, sotto cui trovare riparo nella bufera. O stesse succedendo qualcosa di simile a quello che potrebbe succedere ai socialisti francesi, paralizzati dai contrasti insanabili, di potere e di linea, tra prime donne che non riescono a prevalere l'una sull'altra, ma a bloccarsi reciprocamente sì. Esagerazioni, forzature, indebite drammatizzazioni? Può darsi. Ma a chi trovasse ingeneroso porre la questione in questi termini, basterebbe suggerire di scorrere le cronache di questi giorni, con il loro ampio corredo di reciproci sospetti sempre più velenosi e di reciproche accuse (dall'insussistenza politica all'intelligenza con il nemico) sempre più infamanti.

Ci si può esercitare nel tentativo di stabilire chi porti le responsabilità maggiori. Molto probabilmente, con tutto quello, e non è davvero poco, che gli si può rimproverare, non è il segretario. Ma non è questo il punto. Il punto è se il tutto il Pd è in grado di provarsi a stabilire subito, non domani o dopodomani, come e perché si è andato a cacciare in una situazione come questa, che non si lascia spiegare soltanto con una batosta elettorale prevedibile ma mai davvero indagata, e che la gente del Circo Massimo non merita; e se è ancora possibile uscirne, e per quali vie. Il punto è, in altri termini, se stiamo parlando di un organismo malato sì, ma vitale. In caso contrario, sarebbero guai seri. Per il Pd, si capisce. Ma anche per la democrazia italiana. Che, come tutte le democrazie, di un'opposizione degna di questo nome ha un bisogno vitale. Specie in tempi calamitosi come quelli che si avvicinano.

Entro il 15 dicembre le firme Il voto sarà il 1º febbraio

IL TIRRENO
SABATO, 22 NOVEMBRE 2008
La corsa alle primarie per la scelta dei candidati alla carica di sindaco dei 211 Comuni (di cui 33 sopra i 15mila abitanti) in cui si vota a primavera si concluderà entro il 15 dicembre.
Ecco un breve vademecum.
Presentazione candidature.
Entro il 15 ottobre i sindaci e presidenti di provincia uscenti, rieleggibili a norma di legge, hanno comunicato in forma scritta al Comitato organizzatore del Pd la disponibilità a ricandidarsi. Le candidature alternative di cittadini che si dichiarano elettori del Pd possono essere presentate con il quorum minimo di sottoscrizione del regolamento quadro nazionale: cioè dal trenta per cento dei componenti della Assemblea del relativo livello territoriale.
Raccolta firme. La data di raccolta delle firme cambia da comune a comune. Essa si deve svolgere in 3 settimane. Per cui chi ha iniziato il 15 novembre dovrà terminare la raccolta entro il 6 dicembre. In altri Comuni la chiusura slitta di qualche giorno, proprio perché l’inizio è stato posticipato. Quando si vota. Le primarie si svolgono a tutti i livelli domenica 1 febbraio. I seggi saranno aperti dalle 8 alle 21. Chi vince sarà il candidato a sindaco o a presidente della provincia.
Chi ha diritto. Hanno diritto di partecipare alle primarie tutte le persone che, al momento del voto, siano in possesso dei seguenti requisiti: residenza nel comune dove si vota, sedici anni di età e dichiarazione di adesione alla proposta del Pd. Gli elettori che partecipano alle primarie devono versare, al momento del voto, una quota di almeno un euro. (m.l.)

mercoledì 12 novembre 2008

Una missione per la politica

La Repubblica
Tito Boeri
11/11/08
Sono in molti in Italia ad avere issato lo spinnaker sperando di gonfiarlo col ponente teso che spira dopo la vittoria di Barack Obama. Ma non basta usare vele con nomi anglosassoni e agitare le bandiere di "chi può" per tornare a essere politicamente competitivi. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha di fronte a sé un'agenda obbligata e margini di manovra molto ristretti. Ha vinto con un programma meno radicale di quello di Hillary Clinton. Né si intravedono sin qui quei grandi cambiamenti nelle coalizioni di governo, i cosiddetti "political realignments", che preludono alle grandi svolte nella politica americana. I ripetuti messaggi di continuità con l'amministrazione Bush lanciati nella prima conferenza stampa da presidente degli Stati Uniti in pectore sono indicativi. Investire sul futuro di Obama è perciò un'impresa ad alto rischio. Molto meglio investire sul passato di Obama, sulla sua incredibile campagna elettorale, fatta di primarie vere, dall'esito spesso imprevedibile perché molto più partecipate che in passato, e di internet, come strumento di comunicazione e di finanziamento. Abbiamo molto da imparare dal candidato Obama nel migliorare i processi di selezione della classe politica all'interno del nostro paese. Il suo "yes, we can" è soprattutto un riconoscimento alla democrazia di internet, alla sua capacità di moltiplicare il potere delle idee, al di là, se non contro, i grandi mezzi di comunicazione. Ma internet non sarebbe bastato se non ci fossero state regole che permettono una vera competizione all'interno dei partiti, aperta anche a chi sta fuori dall'establishment.
Chi vuole raccogliere la bandiera di Obama deve accettare queste regole, deve permettere una vera competizione nel mercato del lavoro dei politici. Ne abbiamo disperato bisogno. I problemi del nostro paese sono in gran parte problemi di inadeguatezza della nostra classe dirigente, a partire dalla classe politica. Nel passaggio dalla Prima alla seconda Repubblica il processo di selezione della nostra classe politica è solo peggiorato. Una volta esistevano i partiti di massa che svolgevano al loro interno la selezione. Contavano le decisioni dei vertici, ma anche i militanti potevano dire la loro. Difficile essere candidato senza il gradimento della base, anche in un collegio elettorale sicuro. Poi i partiti di massa si sono sgonfiati, il rapporto fra militanti ed elettori è crollato, e sono rimasti quasi solo i capi partito a selezionare la classe politica. Il loro potere è sopravvissuto alla crisi dei partiti, in alcuni casi si è addirittura rafforzato grazie alla crisi dei partiti, come dimostrano i tanti one-man party che sono fioriti negli ultimi anni. Cosa ha dato a questi comandanti senza esercito tanto potere? Sicuramente il finanziamento pubblico dei partiti che ha messo ingenti risorse a disposizione delle segreterie. Ma anche regole elettorali, come le liste bloccate, che hanno reso autocratica la selezione dei politici. Come è stato usato tutto questo potere dai segretari dei partiti? Male, molto male, almeno dal nostro punto di vista. Abbiamo avuto parlamentari sempre più vecchi e sempre meno istruiti, come documentano i dati raccolti da un gruppo di ricercatori coordinati da Antonio Merlo dell'Università della Pennsylvania (www. frdb. org). La quota femminile è rimasta più o meno la stessa. Sono, invece, aumentate le cooptazioni all'interno della classe dirigente: la quota di manager tra i nuovi parlamentari, ad esempio, è costantemente cresciuta fino a toccare il record nelle ultime elezioni, con un manager ogni quattro nuovi eletti. La candidatura di qualcuno dell'establishment rientra spesso in uno scambio di favori. Meglio se il candidato è inesperto e non intende fare carriera in politica. Anche a costo di sguarnire le commissioni parlamentari, è bene tarpare le ali a potenziali concorrenti. Fatto sta che in Italia c'è una fortissima rotazione nei parlamentari: un deputato su tre rimane in carica per un solo mandato, contro, ad esempio, uno su cinque negli Stati Uniti. E' un bene? Niente affatto. La politica è una professione impegnativa, si impara facendo. Oggi l'Italia è dominata da un gruppo ristretto di politici a vita che danno l'illusione del ricambio permettendo a innocui "volti nuovi" di entrare a Montecitorio o a Palazzo Madama. Non si investe in nuovi parlamentari. Né i nuovi parlamentari investono in una carriera tra gli scranni: semmai il Parlamento diventa un parcheggio, una pausa in cui coltivare reti di relazioni utili per il dopo. Il tutto avviene, ovviamente, a carico dei contribuenti. Ed è un carico elevato dato che gli stipendi dei parlamentari sono aumentati a tassi da boom economico (+4% l'anno) dal 1980 ad oggi, mentre il Paese entrava progressivamente in una lunga fase di stagnazione. La nostra ben pagata pattuglia al Parlamento Europeo è storicamente quella coi tassi di rotazione più alti dell'Unione: addirittura un parlamentare su tre lascia prima della fine del suo mandato. E' un mestiere complicato quello del parlamentare europeo. Quando si comincia a imparare qualcosa, si sono già fatte le valige, meglio i bauli, del rimpatrio. I cappellini pro-Barack sono "one size fits most", una taglia va bene per molti, ma non per tutti. Chi vuole metterseli in testa deve accettare di cambiare le regole di selezione della classe politica. Basta col finanziamento pubblico dei partiti. Basta con le liste bloccate. Meno parlamentari e, quei pochi, scelti con cura dalla base dei partiti nell'ambito di primarie vere, il cui esito non è precostituito dalle segreterie. C'è qualcuno lassù disposto a raccogliere questa sfida?

domenica 9 novembre 2008

Dobbiamo vedere non le idee generiche ma come si possono realizzare le cose.
Vittorio Foa (1910 - 2008)

La Telefonata


giovedì 6 novembre 2008

OBAMA PRESIDENTE USA. "E IO DICO: YES, WE CHANGED"

Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti.

Una vittoria schiacciante, netta, totale, inappellabile. Un esito addirittura imprevedibile nelle proporzioni in cui è maturato: circa il doppio dei grandi elettori ottenuti dal rivale McCain ed un vantaggio netto anche nel voto popolare non lasciano spazio a recriminazioni: in una notte sono stati spazzati via tutti i dubbi sulla regolarità del voto, tutti i retropensieri sul pregiudizio razziale che avrebbero potuto condizionare molti elettori nel segreto dell’urna. L’America, come sempre nei momenti cruciali della propria storia, dimostra ancora una volta di non avere paura del cambiamento, nonostante le sue contraddizioni. Molti cercheranno di gettare acqua sul fuoco, di raccomandare prudenza, di predicare concretezza. Io non voglio essere tra questi, almeno oggi.
E’ accaduto qualcosa di grandioso questa notte, la cui portata è difficilmente comprensibile: non c’è in gioco, infatti, solo l’aspetto emozionale della vicenda, ma il senso di una prospettiva storica .
Immanuel Kant nel 1798 pubblicava “Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio”, uno dei saggi più straordinari che il XVIII secolo abbia partorito. Kant, pur riconoscendo senza sconti le atrocità e gli eccessi della Rivoluzione Francese, la considerava un segno, un indicatore del fatto che sì, nonostante tutto, la Storia viaggia sempre in una direzione, quella del progresso.
Ebbene, l’elezione di Obama mi sembra un segno , una bandiera piazzata, mossa da un vento che spira sempre dalla stessa parte, anche se a volte con intensità scarsa o nulla: basti pensare alla condizione dei neri due secoli fa, basti pensare al fatto che ci volle una sentenza della Corte Suprema nel 1954 per consentire ai ragazzi di colore di frequentare le università .
Forse Obama non sarà il miglior Presidente degli Stati Uniti d’America e deluderà i milioni di elettori che è riuscito a mobilitare per arginare la deriva alimentata dall’illusione liberista, dall’incompetenza di Bush e da una politica estera fallimentare.
Il punto è però un altro, sostanziale, seppur in molti ne riconoscano solo il valore simbolico: un afroamericano sarà l’uomo più potente – e con le maggiori responsabilità – del mondo.
Questa notte si è aperta una era nuova, piena di incognite, ma soprattutto di grandi speranze.
L'America ha dimostrato di essere pronta per il primo presidente nero, che sarà ora chiamato al compito più difficile. Guidare il Paese certo, ma anche evitare di deludere le enormi aspettative che si sono andate creando nel corso della campagna elettorale, che lo stesso senatore democratico ha contribuito a creare con il suo messaggio, - speranza e cambiamento, - ripetuto migliaia di volte, durante ogni comizio, ogni intervista, ogni discorso.
Obama ci ha creduto e, lasciando con un palmo di naso i suoi detrattori, che lo ritenevano troppo o troppo poco, - troppo giovane, inesperto, arrogante, troppo poco qualificato, addirittura troppo poco nero, - ha strappato una vittoria storica. Un risultato che riporta alla memoria leader che sono stati in grado di cambiare l'America, dall'ex presidente John F. Kennedy al leader dei diritti civili Martin Luther King, il cui segno è rimasto indelebile, e non solo per la loro tragica fine.
E noi?
Obama ha dichiarato: “Gli Stati Uniti sono il posto dove tutto è possibile”. Obama, giovane, colto, slanciato, intelligente, di colore, parla di futuro, di innovazione. “Il cambiamento è arrivato”, ha detto. “La nostra vittoria è partita dal basso”.
Da noi quando arriverà? Gerontocrazia e oligarchia regnano ovunque.
E' come se vivessimo in una stanza piena di aria viziata. Chi vuole aprire la finestra, portare venti di cambiamento, puliti, onesti, viene massacrato, o emarginato, combattuto.
E' come se stanotte si fosse tutti invecchiati di colpo. Cosa siamo diventati? Cosa ci aspetta senza un cambiamento radicale? Forse riusciremo a spalancare la finestra, loro non molleranno mai, noi neppure.

sabato 1 novembre 2008


RINNOVAMENTO nel PD

Corriere della Sera
2008-11-01
Cuperlo attacca il braccio destro di Walter: no alla pulizia etnica
«Rinnovamento». «Voi sconfitti» Pd, lite veltroniani-dalemiani
Bettini: ora facce nuove. E Sposetti: siamo lontani dalla gente
Il duello nato da un intervento sul «Riformista». E Lusetti: Bettini si rilegga gli scritti di Max
Weber
ROMA — Nuova lite nel Pd. Fra chi vuole il ricambio generazionale nei quadri di partito. E chi invece rivendica un ruolo per la vecchia dirigenza. Fra veltroniani e dalemiani, ma non solo. Stavolta ad accendere la miccia è stato Goffredo Bettini, molto vicino a Walter Veltroni, con un intervento sul Riformista. Lo «stratega » del Pd romano, rispondendo all'intervista rilasciata il giorno precedente dal deputato triestino Gianni Cuperlo, ha proposto un rinnovamento puntando sui giovani per scongiurare il rischio del leaderismo, ma ha scatenato vivaci reazioni non solo del dalemiano Ugo Sposetti, ma anche del rutelliano Renzo Lusetti.«La novità su cui insisto — ha scritto Bettini sul quotidiano diretto da Antonio Polito — deve essere il protagonismo di facce nuove e di certi pensieri, emozioni, sensibilità politiche che solo i giovani possono avere. Il rinnovamento del partito non prevede affatto l'emarginazione delle generazioni precedenti». Per Bettini, «questi giovani ci sono» (nei giorni scorsi aveva citato a titolo di esempio Matteo Colaninno e Marianna Madia come i nomi per il futuro del Ps) e «se non dovessimo riuscire a costruire un vero nuovo partito sempre più larghi pezzi di noi assomiglierebbero nella pratica quotidiana ai nostri avversari. Leaderismo in alto, scambio, mercato, clientele (quando non corruzione) nei piani bassi e diffusi nell'esercizio del potere. Saremmo noi stessi la concausa della crisi».Duro il commento di Sposetti, ex tesoriere Ds: «Sono forse così tanto anziano che nemmeno le esperienze passate mi aiutano a capire dove stiamo andando e come si può partecipare democraticamente alla vita del nostro partito, ma se il gruppo dirigente si auspica sia costituito dagli stessi uomini che hanno portato alla sconfitta a Roma, allora proprio non capisco». Secondo Sposetti il Pd si «è allontanato dalla gente della quale non riusciamo più a comprendere i bisogni » e «mi auguro che ai nuovi dirigenti scampati alla mannaia dell'anagrafe sia riconosciuta autonomia» e che «si trovino rapidamente nuove modalità di discussione e di confronto» proprio per scongiurare «leaderismo in alto, scambio, mercato e clientele quando non corruzione nei piani bassi ».Gianni Cuperlo, considerato vicino a Massimo D'Alema, ha a sua volta replicato a Bettini: «Non si rinnova il Pd con la pulizia etnica. Sono preoccupato per il modo in cui molti, fra cui lo stesso Bettini, affrontano il nodo del rinnovamento. Ci sono due modi: riconoscere l'autorevolezza di una nuova generazione quando si manifesta. L'altro è usare la retorica giovanilistica come una clava, quella secondo cui bisogna sgomberare il quartier generale dai vecchi arnesi ». E sarebbe appunto questa seconda strada quella scelta da Bettini e dai veltroniani. Secondo Renzo Lusetti, «la classe dirigente non si inventa, non si improvvisa, non si coopta nei partiti ma cresce con gradualità, nella quotidianità del lavoro politico». Il deputato rutelliano suggerisce a Bettini «la lettura di Max Weber che ha fatto dei saggi molto interessanti sulla leadership e su come essa sia legittimata dal consenso e dal carisma. Bisognerebbe tener conto di queste due cose per esercitare una capacità di convinzione sul-l'elettorato ».Proprio ieri, dalle colonne di Repubblica, Massimo D'Alema aveva invitato il leader del Pd a rivedere la strategia, affermando che «nel Pd si deve aprire una nuova fase», «Veltroni coinvolga tutti, il profilo riformista del partito va alzato». D'Alema ha anche aggiunto che comprende «l'appello di Veltroni all'unità, ma deve prendere lui l'iniziativa, altrimenti non ci si lamenti se poi nascono le fondazioni».

venerdì 31 ottobre 2008

L'INTERVISTA A MASSIMO D'ALEMA

La Repubblica
VENERDÌ, 31 OTTOBRE 2008

Pagina 11
I moderati

"Tra Berlusconi e il paese idillio finito nel Pd si deve aprire una nuova fase"

D´Alema: Veltroni coinvolga tutti, il profilo riformista va alzato

Lavoriamo ad una vasta coalizione per tornare a dialogare con i ceti moderati che hanno votato Berlusconi
Capisco l´appello di Walter all´unità ma è lui che deve prendere l´iniziativa altrimenti non ci si lamenti se nascono le fondazioni

MASSIMO GIANNINI
ROMA -
«La protesta di massa sulla scuola, la drammatica crisi economica che attanaglia famiglie e imprese. Ormai è evidente: l´idillio tra Berlusconi e l´Italia si sta incrinando e la vicenda della legge elettorale europea, di cui apprezziamo il ritiro, non è solo il risultato della fermezza dell´opposizione ma anche di difficoltà interne alla maggiranza. Di qui dobbiamo partire per rifondare un nuovo centrosinistra, che rappresenti agli occhi dei cittadini un´alternativa vera e credibile per il futuro governo del Paese».
Ammainate le bandiere della grande manifestazione del 25 ottobre, Massimo D´Alema scende in campo e suona la carica al Partito democratico e a Veltroni. «Adesso - dice l´ex premier ed ex ministro degli Esteri - bisogna lavorare per costruire intorno al Pd una vasta coalizione democratica, e che ci permetta di alzare il nostro profilo riformista, di dialogare con tutte le opposizioni, di parlare ai ceti moderati che hanno votato Berlusconi, e che ora capiscono la sua palese inadeguatezza».
Onorevole D´Alema, non è che state scommettendo un po´ troppo su questa «fine della luna di miele» tra il Cavaliere e gli italiani? «Nessuna illusione. Ma non possiamo non vedere quello che sta succedendo. L´Italia attraversa una crisi senza precedenti, che sarà di lungo periodo. Si è ormai dissolta l´idea che Berlusconi vivesse una sorta di `luna di miele permanente´ con il Paese. Stanno esplodendo i primi, seri problemi nel rapporto tra il governo e i cittadini. Sta crollando come un castello di carta la straordinaria `fiction´costruita dal governo in questi mesi. Ci sono problemi enormi, il governo li ha gravemente sottovalutati e oggi dimostra di non avere la forza per affrontarli con la necessaria radicalità».In realtà, l´unico serio «problema nel rapporto tra il governo e i cittadini», come lo chiama lei, riguarda la scuola.«E le pare una cosa da poco? Quello che sta accadendo sulla scuola merita una grandissima attenzione. Un insegnate mi faceva notare una cosa molto giusta: mentre nel 77 in prima fila c´era la parte meno qualificata del corpo studentesco, oggi in testa ai cortei ci sono i primi della classe, che non vedono più una prospettiva per il futuro. Perché questo succede: se tagli gli investimenti nelle università, blocchi il turn over e cacci i ricercatori, rubi il futuro agli studenti più bravi e più capaci. Ora, io penso che l´opposizione debba rispettare e non strumentalizzare i fatti. Ma gli scontri dell´altro ieri a Roma mi hanno enormemente allarmato. Ci sono aspetti che devono essere chiariti e che riguardano anche la condotta della polizia: il centro era tutto bloccato alla circolazione, per chiunque, eppure un furgoncino carico di mazze è potuto arrivare fino a Piazza Navona, dove ha scaricato la sua `merce´, e dove un gruppo di squadristi ha atteso il corteo degli studenti. Com´è possibile?».Comunque sulla scuola chi è senza peccato scagli la prima pietra.«E´ evidente, ma da questa crisi non si esce con le scelte primitive della destra. Giusto colpire gli sprechi e i privilegi, ma per farlo non si possono prosciugare le risorse di tutta la scuola. Giusto colpire gli abusi al diritto di assistenza dei disabili, ma per farlo non si può eliminare il diritto. Giusto colpire i casi di `baronato´ e i corsi universitari con un solo studente, ma per farlo non si può tagliare 1 miliardo di euro a tutta l´università. L´autonomia non è arbitrio. E il fatto che non ci siano i soldi è una scusa. Le scelte compiute dal governo su Alitalia alla fine costeranno 2 miliardi ai contribuenti. La soppressione dell´Ici per i più abbienti è costata 3,5 miliardi.Quei soldi c´erano. Il problema è che sono stati usati per effettuare una politica redistributiva a favore della parte più ricca del Paese. Quindi il governo non è stato costretto a tagliare: ha fatto una scelta, ben precisa. Ed è una scelta di destra che il Paese mostra di non gradire».Lei ha qualche dubbio sul referendum contro la legge Gelmini.Perchè?«Non è questione di dubbi. Penso che il referendum è uno strumento monco e improprio, perché i tagli alla scuola approvati in Finanziaria non sono materia da referendum, e le norme della Gelmini, se e quando il referendum si facesse, cioè all´incirca nel 2010, avranno già prodotto i loro effetti. Quindi io dico: raccogliamo pure le firme, ma impegniamoci davvero, qui ed ora, per costringere il governo a un cambiamento di rotta».Quali altri segnali vede, di questa incrinatura tra il governo e il Paese? «C´è il profondo malessere che sta crescendo dentro la stessa maggioranza sulla riforma delle legge elettorale per le europee.Su questo abbiamo fatto una riunione con tutti i gruppi parlamentari. Ebbene, oltre a una convergenza sul tema specifico, è emersa la preoccupazione condivisa sulla visione della democrazia di questa maggioranza: questa idea oligarchica, presidenzialista e plebiscitaria del potere, indebolisce la democrazia e produce solo una parvenza di decisionismo».Ma la denuncia di questa situazione, e tutti i no che ne derivano, basta a voi dell´opposizione per mettervi l´anima in pace? «No, non basta. E qui veniamo al cuore del problema. Questa crisi, drammatica, non è solo della maggioranza, è del Paese. E questo da un lato getta le basi per una prospettiva politica nuova, dall´altro lato carica l´opposizione di una grande responsabilità. Dobbiamo alzare nettamente il nostro profilo riformista. Dobbiamo ridefinire il progetto politico dell´opposizione, e aprire una fase nuova che ci consenta di creare un campo di forze per l´alternativa. E non sto parlando di nomenklatura, ma di pezzi della società italiana, di ceti moderati, di classi dirigenti, che devono tornare a guardare a noi come a un nuovo centrosinistra di progetto e di governo, che non riproduca i limiti e gli errori del passato. La costruzione di questa coalizione va di pari passo con la nostra capacità di parlare al Paese, che non è solo quello che scende in piazza».La vostra piazza del 25 ottobre non doveva servire proprio a questo? «E´ stata una piazza molto bella, soprattutto perché è stata festosa.Tuttavia, dopo il grande sforzo comune di quella manifestazione, mi piacerebbe adesso che l´insieme del gruppo dirigente fosse coinvolto in una riflessione per il rilancio della nostra prospettiva. Capisco l´appello di Veltroni all´unità, ma è innanzitutto da lui che deve venire l´iniziativa per favorirla e renderla efficace. Siamo in uno scenario che sta cambiando profondamente. Siamo passati dall´illusione di una partnership con Berlusconi per fare le riforme (quello che Ferrara sul Foglio sintetizzava con l´espressione `Caw´), ad una aspra conflittualità, di cui innanzitutto il premier porta la responsabilità. Ora, però, è molto importante dare anche forza propositiva alla nostra iniziativa e rilanciare la capacità di dialogare con l´intera società italiana».Partiamo dall´opposizione. Il suo ragionamento implica che, a partire da Di Pietro, vadano ridiscusse le alleanze. E´ così? « Prima ancora di questo occorre mettere a fuoco un nuovo progetto riformista e riformatore per l´Italia, sul quale cercare il massimo dei consensi possibili, e non solo nell´opposizione. I temi non mancano: dai meccanismi per il voto europeo al federalismo, dal referendum sulla legge elettorale al Mezzogiorno. Insomma, anziché una inutile discussione tra di noi se si debba guardare a destra o a sinistra, ciò che dobbiamo fare è accrescere la nostra capacità di attrazione, a partire dal nostro progetto riformista e dall´iniziativa politica che mettiamo in campo. L´obiettivo, certamente, è quello di allargare il campo delle alleanze».E cosa intende quando parla di riflessione sul Pd e sulla sua organizzazione interna? Siamo di nuovo alla diarchia conflittuale D´Alema-Veltroni? «No, nessuna diarchia e nessun conflitto. Ma per il Pd il problema non pienamente risolto continua ad essere quello della piena valorizzazione delle sue risorse. Andiamo verso la conferenza programmatica, e quello sarà un momento di verifica importante proprio per marcare il nostro profilo riformista. Questo richiederebbe il contributo di tutti, perché in caso contrario è inevitabile che le forze si disperdano. Se non è il partito a chiamare ed impegnare tutti, non ci si può lamentare se nascono fondazioni, associazioni, e iniziative di vario segno».. La sua Red come la vogliamo giudicare? «Io mi occupo della Fondazione Italianieuropei. Red è un´associazione che ci aiuta a sviluppare i nostri progetti, e sta coinvolgendo molte persone anche fuori dal Pd. Non c´è nulla di anormale in questo. E´ sbagliata l´immagine di un partito che si identifica in un principe buono, minacciato da un gruppo di pericolosi oligarchi cattivi».E questa idea chi la mette in giro, se non tutti voi messi insieme? «Io non mi riconosco tra i diffusori di questa immagine. Veltroni è il leader del Pd. Come sa io non ho incarichi e non ne cerco. Sono uno dei pochi che ha lasciato incarichi per favorire il rinnovamento. Ma in questo partito c´è un gruppo dirigente formato da molte personalità, e non da oligarchi cattivi. Questo gruppo dirigente è anche una garanzia del rapporto tra il Pd e il Paese. Mettere al lavoro queste persone, vecchie e giovani, non indebolisce Veltroni, ma al contrario lo rafforza».E il congresso straordinario che fine ha fatto? Ormai si farà dopo le europee.«Non ho mai chiesto che si tenesse un congresso straordinario. Il congresso com´è previsto dallo statuto, si terrà dopo le europee».Comunque di tempo ne avete. Il Cavaliere vi consiglia un riposo di 5 anni.«Berlusconi non ha molto da ironizzare. I sondaggi dicono che le difficoltà della maggioranza sono serie, il governo ha perso 18 punti. Ma la fine dell´idillio non si traduce in un travaso di consensi dalla maggioranza all´opposizione. Quando un Paese non ha fiducia né nel governo, né nell´opposizione significa che c´è il rischio di una democrazia più debole. Anche per questo è urgente rilanciare non solo la nostra battaglia di opposizione, ma il nostro progetto politico. Il partito del centrosinistra riformista è nato per questo».

domenica 26 ottobre 2008

ROMA. «Noi al Circo Massimo, Berlusconi al massimo al circo».


DOMENICA, 26 OTTOBRE 2008

La folla grida a D’Alema: sei meglio di Clooney

ROMA. «Noi al Circo Massimo, Berlusconi al massimo al circo». Porta la firma del gruppo Venturina, provincia di Livorno, uno dei cartelli più ironici preparati dai militanti del Pd che ieri hanno invaso Roma come un fiume in piena. Due milioni e mezzo di persone a sentire gli organizzatori, arrivate da ogni angolo della penisola. Una risposta oceanica, un mare di bandiere che hanno attraversato la città da piazza dei Partigiani e piazza della Repubblica per riunirsi al Circo Massimo e dire basta al governo Berlusconi, ai tagli di Tremonti, alle riforme della Gelmini, al razzismo, ai salari da fame, ai lodi salvapotenti e a tutte le mafie. I treni speciali e gli autobus di linea hanno cominciato ad arrivare nella capitale alle prime luci dell’alba. Delegazioni da tutte le regioni, dalla Lombardia alla Toscana, dal Lazio alla Sicilia, dall’Emilia Romagna alla Calabria, dall’Umbria all’Abruzzo. Gente comune, mica no global. Impiegati, insegnanti, pensionati, professionisti, operai, precari licenziandi, cassintegrati, famiglie con zainetti dai quali spuntano panini arrotolati nella carta stagnola. Quasi tutti over cinquanta, e spesso anche sessanta. I due cortei gemelli hanno sfilato pacati e imponenti, aperti da un grande striscione con una citazione del senatore Leopoldo Elia, padre costituente da poco scomparso: «Abbiamo il dovere morale di mantenere in vita tutte le libertà conquistate per i nostri figli, per i nostri nipoti, di conservarle, valorizzarle, difenderle». Tra la folla che si incanala lungo via Cavour, il corteo più nutrito, spicca una parte del gruppo dirigente nazionale. Ci sono Piero Fassino e Anna Finocchiaro. Ci sono Franco Marini ed Enrico Letta. Walter Veltroni, invece, fa la spola tra i due cortei. E quando arriva la gente lo accoglie con un boato. «Walter ci siamo tutti», gli grida un manifestante della sezione Pd del Prenestino mentre la folla inizia a scandire lo slogan «Chi non salta Berlusconi è», fin quasi a far tremare l’asfalto, mentre a piazza dei Partigiani la folla invoca unità e acclama Massimo D’Alema come una star. «Massimo sei meglio di Clooney», urla qualcuno. Ma la gente, nonostante i numeri, non dà problemi al rodato servizio d’ordine del partito. I cortei sfilano disciplinati tra migliaia di bandiere del Pd, ritmati dal suono dominante di fischietti e tamburelli. Qualche gruppo intona «Bella ciao», altri optano per l’inno di Mameli. C’è anche uno striscione con la scritta «Barack Obama». I ragazzi che lo tengono issato per le strade del centro hanno una maglietta che è una dichiarazione di voto a favore del senatore nero dell’Illinois, candidato democratico alla Casa Bianca: «Americans in Italy for Obama». Qualcuno innalza un cartello artigianale scritto a pennarello: «Disintossicatelo». Tanti indossano una maglietta verde dove si legge che «il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini». Altri giovanissimi che sono in piazza per la prima volta e rifiutano etichette di partito al ministro della Pubblica Istruzione hanno invece dedicato un santino: «Beata Ignoranza». Più degli studenti, però, stavolta sono gli anziani e i pensionati. «Niente inciuci. Il portafoglio è vuoto», ammonisce un cartello. «25 aprile, 1º maggio, 2 giugno», ricorda un altro striscione. (n.a)

sabato 25 ottobre 2008

" Signore perdonali, perché a noi non ci riesce"

Illuminante anche l'intervento del Senatore a vita Cossiga sui futuri percorsi formativi
"In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito...Lasciar fare gli universitari . Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri . Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano Soprattutto i docenti,non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. "
Ma l'istigazione a delinquere è stata abolita? Perché con tutti questi lodi ... non ci si capisce più nulla !
Turms
Pensierino della sera
Per coloro che continuano a sostenere questa "elite" governativa possiamo forse richiedere l'intervento divino :
" Signore perdonali, perché a noi non ci riesce. "
http://sacripanti.blog.tiscali.it//index.shtml
Forse qualcuno potrebbe pensare che è un vecchio rimbambito, un picconatore suonato dalle sue stesse picconate, ma non è così. Egli non è nuovo a questa ideologia della violenza e le cose che ora dice le ha fatte davvero quando era ministro dell'Interno. La povera Giorgiana Masi è un esempio dell'uso sistematico della provocazione come strumento di ordine pubblico, ma ci sono molti altri casi. Per questo durante il movimento del '77 molti di noi giovani in tutta Italia andavano nottetempo a scrivere 'Kossiga boia' con la K e la doppia s alla nazista, nelle città come in provincia, e di giorno manifestavano la rabbia e il desiderio di un paese migliore e più democratico. Ma vinse lui... dopo essere stato Ministro dell'Interno nel '77 e nel '78, ministro al tempo dell'uccisione di Aldo Moro, negli anni '80 è stato fatto anche Presidente della Repubblica. Incredibile. Infatti, e non solo per questo, l'Italia è ulteriormente peggiorata e la sua classe dirigente ne è lo specchio fedele. E oggi ritira fuori quell'ideologia fascista perché sa di non predicare nel deserto e di trovare orecchie attente... purtroppo i pericoli per questa debole democrazia non finiscono mai.
Rossano Pazzagli
dal Cantiere della democrazia

giovedì 23 ottobre 2008

UNIVERSITARI IN PIAZZA




Berlusconi: "Non permetteremo occupazioni. Scuole e università saranno sgombrate dalla polizia"
"Non permetteremo che vengano occupate scuole e università". Lo ha detto il premier, Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. "E' una violenza, convocherò oggi pomeriggio Maroni per dargli indicazioni su come devono intervenire le forze dell'ordine"."L'ordine deve essere garantito. Lo Stato deve fare il suo ruolo garantendo il diritto degli studenti che vogliono studiare di entrare nelle classi e nelle aule".Ieri 21 ottobre in Piazza Cadorna a Milano si sono verificati i primi scontri tra studenti che tentavano di arrivare in stazione e polizia decisa ad impedire il blocco dei binari. Oggi le dichiarazioni del premier fanno intendere che il governo userà "il pugno duro" contro le occupazioni proprio mentre si annuncia che la Facoltà di Lettere di Torino è stata occupata. La situazione sta precipitando?

Informazioni

Video Berlusconi su scuola e forze dell'ordine
Dal minuto 21 al minuto 22 circa
Fonte: governo.it
Come venire alla manifestazione PD
Fonte: partitodemocratico.it

Manifestazioni degli studenti

mercoledì 22 ottobre 2008

Ombre Cinesi

http://sacripanti.blog.tiscali.it

"In Livorno e le elezioni " Claudio Frontera percepisce il clima di una città da troppo tempo senza identità, tormentata da vaganti ombre cinesi in cerca di un autore. Se accanto ad una presenza dell'uomo storicamente segnata non si riesce a comprendere il presente, prospettare il futuro diventa solo una pura esercitazione linguistica; è il valore d'uso del territorio che deve essere reinventato secondo scelte efficaci di carattere politico. Il non aver colto il mutamento complessivo che si è diversamente articolato nel nostro territorio nel corso degli anni ha eluso quella dinamica culturale, stimolo necessario per un'attività progettuale, ripensata in tutte le fruizioni possibili, nelle diverse variabili e non solo in chiave occupazionale.
Ci sono almeno dieci anni di pura e semplice gestione della res pubblica cittadina, che ha volutamente ignorato ogni possibile confronto innovativo e come tale potenzialmente "creativo". Quando per gratuita supponenza si pensa di essere rappresentativi per una sorta di appartenenza "religiosa-partitica" o per innata supremazia etica , l'ottusità politica trionfa sicuramente e non allontana quella storica diffidenza nei confronti del centro sinistra che il PD ha in parte ereditato..
In un'assemblea del PD ho avuto modo di ricordare che questo deve essere il momento massimo dell'ascolto, ascoltare chi, con nuovo entusiasmo si è avvicinato al PD, ma qualche dotto inquisitore d'apparato ha immediatamente osservato che l'ascoltare potrebbe essere interpretato come una possibile deficienza dialettica! ...
Nella società del disincanto non essere capaci di ascoltare apre ulteriori foschi scenari e tra l'altro mette in discussione anche lo zoccolo duro: non si è, infatti, capito che molti di noi "ragazzi" del ‘46 ( ed anni limitrofi), per meglio capirci, quelli dai tanti sogni infranti che sempre hanno costituito gli irriducibili votanti del partito di maggioranza nella nostra città, abbiano esaurito la loro vocazione, logorati da una vacua ed abulica dialettica politica, stanchi di un sistema mercenario di regime e di una totale assenza di meritocrazia, e potrebbero serenamente, senza troppo chiasso, decidere anche di non votare ...nonostante i sondaggi.
E' vero, dei figli del dopo guerra si può anche fare a meno, ma almeno, è garantito il consenso delle nuove generazioni? La questione è dubbia, non si comprende, infatti, per quale motivo la discontinuità genetica dovrebbe sostenere "la continuità" di una forza politica e di personaggi inaffondabili che si proclamano diversi e nuovi, ma imitano la politica degli avanzi e del personalismo del cavaliere.
E' il momento di avere il coraggio di mettersi veramente in gioco a tutto campo con un confronto aperto con la cittadinanza attiva e riformista della città e con i giovani scesi in piazza in difesa della scuola pubblica ed evitare di confrontarsi solo nelle segrete stanze dei palazzi con gli amici degli amici.
Giancarlo Sacripanti

P.S. Sia bene chiaro tutti hanno il diritto e in molti casi i meriti necessari per ricandidarsi o candidarsi per le prossime amministrative, ma ad una condizione: nel rispetto della democrazia partecipata e del confronto dialettico con gli elettori, ascoltare per capire perché molto è cambiato in questi ultimi anni...per una frase simile detta negli anni ‘90 nella direzione dei DS venni "monarchicamente " esiliato per lesa maestà. Speriamo bene...

martedì 21 ottobre 2008

«La sinistra si confronti sulle questioni reali»

Il Tirreno
21/10/08
Mi inserisco nell’analisi di Claudio Frontera sulle prossime elezioni amministrative pubblicata dal “ Il Tirreno “ il 15 ottobre scorso, da persona esterna al Partito Democratico ed alla maggioranza che amministra il Comune e la Provincia di Livorno, e come consigliera provinciale di Rifondazione Comunista, partito all’opposizione nelle due istituzioni.
L’ho trovata analisi interessante e, pur se di parte, ispirata da forte senso critico purtroppo motivato dalla realtà e dall’aspirazione alla politica dello spirito di servizio e della passione civile.Personalmente aggiungerei l’aspirazione alla prossimità dei/delle cittadini/e alle Istituzioni, alla percezione diffusa di far parte ognuno/a di una complessa attività sia programmatica che amministrativa includente, al vivere solidalmente in una Livorno ricca sì di problemi ma con un’anima ed un cuore pulsanti. Frontera, nel tratteggiare la Sinistra radicale la descrive incerta tra “ confrontarsi con una maggioranza che non fa concessioni programmatiche o restare all’opposizione “. Io ritengo che questo sia solo uno degli argomenti che impegnano la cosiddetta Sinistra radicale (per me oggi più che mai radicalità significa elaborazione di strumenti per l’ottenimento di risultati rispondenti ai bisogni presenti nella società). Gli altri argomenti sono, a mio parere e tra gli altri, reagire alla batosta elettorale, alla banalizzazione di “ tanto sono tutti uguali “, all’arroganza preistorica della maggioranza che governa il nostro Paese alimentando la paura nella popolazione. Alla drammatica situazione indotta dal Governo a lavoratori/trici dipendenti e pensionati/e tutta la Sinistra livornese dovrà trovare risposte forti, necessarie, efficaci. Certo le elezioni amministrative rappresentano per la comunità locale un momento di partecipazione diretta alla politica e mi piacerebbe che si vivessero con consapevolezza e rispetto ma anche con la volontà di innovare ciò che non ha finora convinto, di individuare modalità anche coraggiose, di soddisfare le tante esigenze della nostra città rispettandone l’habitat ambientale e culturale. Per l’amministrazione comunale c’è una grande questione sospesa: le migliaia di firme raccolte e divenute inutili per lo svolgimento del referendum sull’offshore. E’ una questione di democrazia che non può essere rimossa. La congiuntura economica è preoccupante, certo e non solo per Livorno, ma riscoprire la voglia di confrontarsi sulle questioni reali senza condizionamenti precostituiti, sarebbe sicuramente il miglior auspicio per la nostra comunità.
Graziella Pierfederici
consigliera provinciale del partito della Rifondazione Comunista

lunedì 20 ottobre 2008

Dal coordinatore cittadino dell'ASSOCIAZIONE INCONTRIAMOCI

Istruzione: non solo tagli ma strategie studiate a tavolino
Molto si è parlato in questi giorni della “bufera Gelmini” con tutto il flusso di detriti che porta con sé un’ondata di piena che di fatto copre quanto di buono si era cominciato a fare per avvicinare l’Italia ai nuovi standard europei di istruzione e formazione che partiranno ufficialmente e presumibilmente senza ritardi dal 2012.
In tutte queste discussioni si è spesso attribuito al decreto che vuol riformare il sistema scolastico una sottesa volontà non tanto dettata da scelte di merito ma semplicemente dalla necessità di far quadrare i bilanci dello stato facendo passare l’idea che questa sia la vera ragione che travalica e domina quella della riforma del sistema scolastico.
Ora, se sicuramente l’obiettivo di far quadrare il bilancio non è assente da questo ragionamento è anche vero che dobbiamo considerare se ci siano delle altre questioni, più nel merito delle scelte politiche di cui il governo Pdl è portatore e che si esprimono in modo chiaro anche riguardo ai temi dell’istruzione e della formazione. Parlare quindi solo di necessità di bilancio che dettano tutte le politiche del governo potrebbe essere solo una parte del problema e, da un certo punto di vista, neanche la più grave, per quanto negativa.
Una prima considerazione riguardo all’approccio conservatore riguarda il concetto di costo applicato all’erogazione dei servizi pubblici, fra cui intendiamo anche l’istruzione e i servizi scolastici. Parlare in modo generico di tagli porta infatti con sé una precisa filosofia che vede il servizio pubblico solo come un costo e non già come investimento. Questo significherebbe, secondo il primo approccio, che un servizio pubblico, che quindi porta con sé un alto “ritorno” in termini di “valore sociale” viene interpretato solo dal punto di vista del valore economico nella misura in cui debba produrre utili o efficienza solo contabile.
Il problema, che è tuttora parte di ampi dibattiti su scala mondiale su cui si interrogano molti economisti e sociologi a diversi livelli è che pare ormai accertato come un investimento sui servizi sociali, che di per sé può essere guidato si da criteri di efficienza nell’utilizzo delle risorse ma senza essere comandato solo dall’analisi costo-beneficio economica deve (dovrebbe) essere misurato nel valore di crescita sociale che realizza verso una comunità, sia nazionale che territoriale/locale. Ed è pure ormai dimostrato come questo risultato sociale sia in realtà ben misurabile, non sia cioè solo una bella dichiarazione d’intenti. Infatti, attraverso specifiche analisi dell’incremento del Pil, sia a livello nazionale che locale è possibile misurare quanto un servizio strategico per la crescita sociale di una comunità possa incidere nel miglioramento dei parametri di misura del benessere della stessa.
In questo senso un governo che parla solo di tagli alla scuola potrebbe far pensare che stia cercando di consolidare un vero e proprio approccio politico dettato da una precisa filosofia di pensiero di stampo un po’ antico e non già di rispondere solo a necessità di tipo contingente. E questo, se così fosse, sarebbe ancora più grave poiché dimostra il tentativo di incidere in modo profondo nel contesto e nei modi in cui si manifesta la vita sociale di un paese senza che i cittadini abbiano piena coscienza della reale portata del cambiamento che è in atto e, soprattutto, delle conseguenze negative che ne deriveranno oltre quelle immediate dei tagli al personale della scuola e il decadimento dei livelli qualitativi di erogazione dei servizi.
Ma non è solo questo. L’altro approccio o filosofia che sembra essere sottesa riguarda l’istruzione e la formazione e, vede la contrapposizione fra un modello di apprendimento “cognitivo” (uso il termine per semplificare) rispetto ad un modello che valorizza i risultati di apprendimento (che è quello europeo). Cioè si assiste ancora una volta ad estenuanti dibattiti sui tempi di fruizione della materia oggetto di studio ma non si accenna a come i risultati di apprendimento, che ogni persona produce in modo diverso e a seconda del contesto formativo-educativo in cui si trova a vivere, vengano in realtà prodotti e realizzati. Peccato che l’Unione Europea abbia “partorito” un sistema denominato EQF (European Qualification Framework) che identifica 8 livelli di apprendimento, da quello di base all’alta formazione, e che legge ogni livello in termini di risultato di apprendimento, in modo indipendentemente (come concetto) dai tempi e dai modi in qui questo possa essere avvenuto, in questo volendo considerare anche gli apprendimenti non formali che derivano da esperienze di lavoro o di vita e non solo quelle scolastiche in senso stretto.
E’ questa una novità importante, che cela una sua complessità di cui qui non mi dilungo e sarà pienamente attuata a partire dal 2012 alla fine di un lungo periodo di sperimentazione, e che ha visto già molti soggetti muoversi nella giusta direzione, fra le prime sicuramente la Regione Toscana e lo stesso governo Prodi attraverso alcuni provvedimenti significativi presi dall’allora ministro Fioroni.
Tutto questo che fine farà? Il dubbio è quindi che la nuova riforma che il ministro Gelmini ci propone sia espressione non solo della volontà di operare tagli, ma anche nell’intenzione di voler applicare una sorta vetero-liberismo (contrapposto al welfare, per quanto in discussione) e di una buona dose di antieuropeismo o euroscetticismo che dir si voglia. Di questo è opportuno essere consapevoli.

Daniele Bettinetti
Esperto di formazione, consulente Sistema Regionale delle Competenze, Regione Toscana

L'articolo è stato pubblicato su Il Corriere di Livorno del 20 ottobre

Sintonie

http://ilprimocerchio.blogspot.com/

Ci son due frasi che sento spesso in questo periodo, e denotano tutta la superficialità e l'arrendevolezza che ci sta opprimendo: "Da qualche parte si deve pur cominciare" e "Qualcosa bisogna pur fare". No! Si deve cominciare dalla parte giusta e fare cose sensate e ben fatte.Vi avviso che sto diventando intollerante verso chi le pronuncia, da qualche parte dovrò pur iniziare... di [domitilla]

Se non l'avete visto in tv ieri sera, guardate il monologo della Littizzietto cliccando qui sotto. Verso la fine è molto efficace contro / sulla Gelmini e anche molto divertente
http://it.youtube.com/watch?v=K6FZ1UpA8oU

domenica 19 ottobre 2008

Libertà religiosa
nel Mediterraneo?


Pensieri in margine a

Guido Bellatti Ceccoli, Tra Toscana e Medioriente
La storia degli arabi cattolici a Livorno
(sec. XVII-XX)
Livorno, EdiTasca, 2008
Ne parlano

dott. Claudio Frontera
Associazione Incontriamoci
prof. Renato Burigana
Fondazione Giovanni Paolo II

Coordina
dott. Andrea Faggioli
Toscana Oggi


Lunedì 20 ottobre ore 18.00
Toscana OggiVia de Pucci 2 - Firenze

mercoledì 15 ottobre 2008

Cercasi guizzo per non restare in ginocchio

IL TIRRENO
MERCOLEDÌ, 15 OTTOBRE 2008

Pagina 1 - Prima Pagina

Livorno e le elezioni

CLAUDIO FRONTERA
Ci avviciniamo alle elezioni amministrative, appuntamento democratico fondamentale per le comunità locali, nelle quali si decide di cose concrete come lavoro, scuole, strade, servizi sanitari, traffico e impianti sportivi. In una città moderna, europea o, come direbbe D’Alema, “normale”, si sentirebbe discutere, ora più che mai, dei problemi cittadini e delle prospettive. Si farebbero confronti con altre città, per imparare dalle esperienze degli altri, si accantonerebbero per un momento fedi e ideologie per scoprirsi anime dello stesso villaggio, o meglio, come vuole la nostra Costituzione repubblicana, cittadini. Impegnati a discutere e a scegliere liberamente il futuro nostro e dei nostri figli. Nella nostra Livorno, invece, si assiste da troppo tempo e, marcatamente, da alcune settimane, ad una accesa personalizzazione della politica locale. C’è un sindaco in carica che si autoricandida per un nuovo mandato. C’è un misterioso sondaggio. C’è l’attivismo dell’ex sindaco, della cui giunta ha fatto parte l’attuale sindaco. Districarsi è difficile, come dimostrano i due più recenti editoriali che il direttore del Tirreno ha impiegato per interrogarsi su che cosa farà quello o quell’altro possibile candidato, quello o quell’altro dirigente del Pd. Del resto, come dargli torto? A Livorno il Pd parte da quota 54%. Gli altri partiti della coalizione sono, tutti insieme, meno di un decimo del Pd. La Sinistra radicale dopo il drammatico esito delle elezioni politiche discute se confrontarsi con una maggioranza che non fa concessioni programmatiche o restare all’opposizione. Il Centro-destra pare rassegnato in partenza alla sconfitta. La partita del governo locale sembra giocarsi quindi davvero soprattutto dentro il perimetro del Pd, nel quale sarebbe pertanto utile, per la città, un confronto autentico tra idee e programmi diversi. Si reagirebbe così positivamente all’ondata di personalismo, puntando sulla “bella politica”, quella della competenza e della responsabilità, della passione civile e dello spirito di servizio. Perché, sotto la cenere, cova anche qui la voglia di essere cittadini di una città politicamente normale, che si parlano, commentano e si interrogano. Ci sono aziende in crisi da anni, con le famiglie dei lavoratori appese alla cassa integrazione e altre che rischiano il ridimensionamento a causa del collasso della finanza globale. La disoccupazione o la precarietà giovanile e femminile aumentano. I servizi sanitari incontrano ogni giorno nuove difficoltà. La dispersione scolastica è tra le più alte della Toscana. Per un posto al nido si entra in lista di attesa insieme ad altre centinaia di famiglie. Sul porto si addensano le nubi della contrazione del commercio mondiale. Il turismo non decolla. Mai come adesso, dal dopoguerra, Livorno ha avuto bisogno di un guizzo, di una voglia di andare avanti, di trovare risposte e appare invece, a momenti, ripiegata su se stessa, come se stare in B sia in fondo un destino ineluttabile. La personalizzazione estrema della politica e una città senza progetto e senza ambizioni per il futuro sono due facce di una stessa medaglia, che si alimentano a vicenda. Fino a quando non ci decideremo a spezzare il cerchio del conformismo e dei pregiudizi, mettendo finalmente in campo idee e innovazioni vere e forti.
Claudio Frontera

martedì 14 ottobre 2008

SUICIDIO DEL CAPITALISMO FACILE


MARTEDÌ, 14 OTTOBRE 2008
Il Tirreno
LE RAGIONI DELLA CRISI
MASSIMO PAOLI
La crisi finanziaria che sta scuotendo il mondo, come tutti i grandi eventi economici mette in discussione il sistema. In molti oggi pensano di riconoscere in questa crisi l’inizio della fine del capitalismo. In realtà il capitalismo cui sembrano pensare quelli che ritengono o sperano che abbia finalmente iniziato il suo definitivo declino è già morto da tempo, e senza averli avvertiti. Questa infatti non è la crisi del capitalismo liberale, è semmai, la crisi prima di tutto ideologica, oltre che tecnica, della degenerazione di quella forma del capitalismo. E’ la sconfitta di un sistema di valori che non appartiene affatto al rigore ideale di quel modello (che, vedrete, da domani sarà rievocata e rimpianta da molti). E’ la crisi del capitalismo oligarchico-populista e post-industriale, del capitalismo facile, quello di carta appunto, nel quale anche un “bischero” qualsiasi può fare soldi e un “genio” perderli, perché il principio non è più lo “scambio” di un bene o servizio che prima di tutto deve essere pensato e poi prodotto con tutti i rischi e la complessità che ciò comporta, ma la “scommessa” fine a sé stessa. Un capitalismo che non richiede competenze tecnologiche e organizzative, saperi ed esperienze, è il capitalismo dei 28enni (mille scuse ai 28enni bravi) come si disse, quando qualche anno fa un giovinastro che, sorprendentemente, poteva operare senza limiti e senza controllo fece fallire la banca Barclays. Un capitalismo che non è più fondato sugli ideali di realizzazione, per i quali l’importante era concretizzare i propri sogni, ma su quelli fondati sulla pura accumulazione del danaro senza aggettivi. Un capitalismo che cede alla mitologia del denaro fine a sé stesso anche le sue logiche più profonde a partire dai principi meritocratici. Che senso ha in effetti che il maggior responsabile di Lehman Brothers nell’anno del fallimento della banca da lui diretta abbia guadagnato come sembra oltre 400 milioni di dollari? Questo non è capitalismo è la sua degenerazione post-industrial-managerial-finanziaria. Una degenerazione pericolosa perché alla fine induce fenomeni “reali” profondi. Qualche anno fa, nel mio piccolo, anticipando questo tema me la prendevo con questa tendenza anticapitalistica del capitalismo finanziarieggiante, mettendo in luce come i 500 top manager delle imprese di maggior valore quotate a Wall Street già nel 2005 guadagnavano diverse volte il monte salari di tutti i loro addetti, ma, affermavo, non avrebbero mai consumato quanto i loro addetti (soprattutto se questi avessero guadagnato anche solo poco di più, magari a discapito dei loro sontuosi stipendi). La via che ha condotto questo capitalismo post-industriale ad affossare sé stesso è anche costellata di queste scempiaggini. Distruggere la classe media arricchendone una parte, iper-minoritaria, e ploretarizzandone un’altra, ultra-maggioritaria, è la strada maestra per un ritorno ad un capitalismo cavernicolo ben conosciuto. Perché distruggere i redditi medi significa far crollare i consumi, indebolire la domanda aggregata interna e via con la più semplice e conosciute delle spirali perverse. E’ anche vero che intere popolazioni vivevano e vivono molto al disopra dei loro mezzi e come per qualsiasi famiglia, prima o poi questo provoca una razionalizzazione. Quello in corso è quindi anche un necessitato riassestamento del tenore di vita dell’intero popolo nord americano, seguirà inevitabilmente qualche cosa di analogo anche per la vecchia Europa, speriamo che i nuovi attori sulla scena economica mondiale, India, Cina, resto dell’Asia e finalmente anche diversi paesi del sud-america, compensino la frenata con la loro dinamicità. Se conoscessimo i confini del dissesto, oggi potremmo fare anche altre e più precise valutazioni, invidio molto chi a questo punto della crisi sembra avere già le idee chiare. Io non me la sento ancora di parlare di conseguenze, la crisi è appena iniziata e mi sembra proprio di essere immerso in uno degli aforismi più belli e misteriosi di Eraclito: il fulmine governa ogni cosa. Il fulmine nella notte ci illumina e d’improvviso scorgiamo tutto quanto intorno a noi, ma subito tornano le tenebre, che a quel punto sembrano ancora più profonde. Così siamo adesso, un fulmine ogni tanto ci illumina e ci sembra di aver capito, ma subito è di nuovo tutto buio.