giovedì 28 agosto 2008

COMMENTI

Caro Roberto,
dimenticare il presente o il vicinissimo sarebbe stupido, per non dire folle. Sono d'accordo, anche su gran parte dei contenuti indicati - inserendoci i problemi - secondo me seri - del Porto! Ma se non si ha una idea, pur non definita nei dettagli, su dove vogliamo andare come Comunità significa rendere 'improduttiva' ogni proposta. Per rimanere ai tuoi esempi: il nostro sistema produttivo nel suo insieme non solo stenta a ridecollare ma vive strutturalmente alla giornata (così almeno pare), e non da oggi. Non vediamo emergere un minimo di progetto ed obiettivo minimo tendente a rideterminare un rinnovamento della classe dirigente dell'area (non mi riferisco solo all'età!) nelle istituzioni, nell'apparato amministrativo, nelle categorie imprenditoriali, nei partiti, nelle associazioni di ogni tipo. C'è chi confonde ancora rinnovamento con modificazione (fuori lui e c'entro io!)! Può anche manifestarsi così, ma non necessariamente. È urgente ripensare tutti metodi, comportamenti (verso l'interno e verso l'esterno dell'area)contenuti e tendenze. Possiamo farlo solo tutti insieme (compresi gli apparati di partiti, movimenti ed associazioni e, fermo restando che ciascuno deve rimanere autonomo nelle scelte e nei modi d'intervento) perché abbiamo il diritto/dovere di cercare di andare insieme nella stessa direzione a sostegno dell'area e della gente che vi insiste.
Ettore

Cara Daniela,

concordo. Non abbiamo il problema di scegliere Franco o Giuseppe, Laura o Elena; ma la necessità e l’urgenza di definire il percorso di costruzione del PD ai vari livelli (che non può essere quello concordato in questo o quel clan, di vecchia o nuova discendenza) o soprattutto individuare gli obiettivi generali, regionali e locali attraverso un processo credibile di formazione delle decisioni. Un percorso che riguardi prima di tutto il ‘cosa’ e poi il ‘chi’ è in grado di rappresentarla ai vari livelli. La memoria del passato e la capacità e possibilità di leggere il presente sono essenziali, perciò le primarie sono uno strumento di sintesi di quanto percepito nel breve periodo in una data realtà ‘territoriale’ non la proposta delle scelte di questo o quel gruppo interno od esterno al partito, di recente o antica composizione. A Livorno istituzioni e partito tendono ad essere un tutt’uno con la conseguente ricaduta negativa. C’è chi cerca lo scontro sulle persone per nascondere, probabilmente, la debolezza della propria proposta e posizione (quando ce n’è una!) o riscopre l’antica abitudine della propria fazione a confondere l’organizzazione del consenso alle proprie posizioni ed idee come il solo momento ‘democratico’ possibile (salvo farne a meno perché ‘i tempi sono stretti e non lo consentono’). Non per caso avverto, come molti e non da oggi, la mancanza di un “progetto Livorno” condiviso, che guardi ai prossimi 15-20 anni. Possiamo permetterci il lusso di continuare a farne a meno?
Ettore


Caro Ettore,
un progetto che guardi a 15-20 anni s... Caro Ettore, un progetto che guardi a 15-20 anni sarebbe molto importante, ma mi accontenterei anche di un progetto, assai meno ambizioso, che guardasse ai problemi che abbiamo di fronte oggi. Che guardi a una crisi come quella della Delphi, alle prospettive delle riparazioni navali, ai timori sulla sorte della raffineria, alla situazione critica dell'Asa, a una Tia che, fatte anche le correzioni necessarie, incide parecchio sui bilanci delle famiglie. E via dicendo, compresa la questione delle statue, che comunque verrà ricordata per la confusione con cui è stata trattata. Se non si hanno certezze sull'immediato, fare piani a 15, 20 anni ha più il sapore della fuga che altro.
Roberto
PrecarioinRAI ha detto...
Concordo anch'io. Livorno ha bisogno di progettualità e soprattutto di un confronto costruttivo sulle scelte future, che vada oltre la gestione del presente e la riparazione dei danni provocati da errori passati. Lo spirito delle primarie, per come lo intendo io, deve andare oltre i personalismi. Non intendo aggiungere altro al commento di ettore, ha già detto tutto lui, con molta chiarezza e apprezzabile capacità di sintesi.
29 agosto 2008 12.08

mercoledì 27 agosto 2008

Ancora sulle primarie : una riflessione a seguito dell' articolo di Marco Filippi

L’ultimo editoriale del Direttore del Tirreno ha individuato il tema delle primarie come dirimente per il futuro del Pd. Il bivio è chiaro. Da una parte la strada che vede le primarie (secondo lo Statuto parte costitutiva del DNA del PD) come un valore e anche come strumento per conciliare unità e partecipazione, ruolo degli iscritti e proiezione esterna del partito, aiutandolo a superare le difficoltà attuali in una prospettiva di forte apertura; dall’altra la strada che, senza negare apertamente le primarie, le sommerge di “se, ma, però, tuttavia”, ne svuota il significato innovativo e difende una concezione statica e chiusa del partito.
Queste due direzioni di marcia si sono materializzate negli interventi che hanno fatto seguito all’editoriale. Da una parte Claudio Frontera, apprezzando l’accordo di Firenze per “primarie di coalizione aperte”, voluto dal segretario regionale Manciulli, sollecita il PD ad abbracciare dovunque, anche a Livorno, senza riserve, la via dell’innovazione. Se messo in condizione di partecipare serenamente alla scelta dei candidati e della classe dirigente, il “popolo delle primarie” darà prova di maturità e di capacità di leggere i contenuti politici espressi dalle diverse candidature.
Questa opzione, non a caso manifestata da chi crede nella novità del PD da molto prima dei congressi costitutivi, è la via dell’innovazione e della fiducia negli iscritti. E’ una via costruttiva, per l’unità del partito, intesa nell’unico modo in cui oggi si può praticare e cioè come rispetto e cittadinanza di una pluralità di culture politiche.
L’altra strada si è manifestata nell’intervento di Marco Filippi nel quale le primarie retrocedono al banale compito di ratificare scelte fatte dall’alto, in un’ottica vecchia, in cui la funzione dirigente del partito è letta come “prerogativa di un gruppo”. Le opinioni diverse dalla sua non sono riconosciute come legittime, ma bollate come “distorsioni”. Agli iscritti e agli elettori del PD non viene riconosciuta maturità e capacità di giudizio autonome, ma solo l’opportunità di adeguarsi a scelte fatte come se fossero le sole possibili. Conseguentemente si alimentano fantasmi di presunti, perfidi candidati alla ricerca di spazio, senza parlare dei “candidati di fatto” attivissimi nel non lasciare “spazio”. Tra l’altro, in modo incomprensibile per i più, si rievocano passate “consultazioni interne”, nelle quali , pur ottenendo zero preferenze nelle consultazioni, in virtù delle “prerogative del gruppo dirigente”, il nome di Filippi uscì a sorpresa come candidato senatore ed automaticamente, in base alla legge elettorale-“porcellum”, “nominato” parlamentare, ruolo nel quale è stato successivamente, senza primarie o consultazioni, confermato d’ufficio. E’ questo il modello? L’invocazione di umiltà, nonché di gratitudine verso chi in passato gli ha aperto le strade dell’impegno politico, Filippi dovrebbe comunque rivolgerle solo a se stesso. Il bivio è chiaro: è tra due strade e non tra due persone. Chi non vuole che il PD cresca, accentua - e sicuramente accentuerà anche nelle prossime settimane - la lettura personalistica del dibattito interno, sperando nel traino assicurato da chi ricopre pro tempore incarichi importanti, non importa se per merito o per fedeltà. Chi dà fiducia al partito richiama invece l’attenzione agli argomenti , con quell’ottimismo della volontà che è alla base della politica come servizio e non della politica come carriera.


Daniela Miele
Coordinatrice territoriale
Associazione INCONTRIAMOCI
Livorno 27/08/08

lunedì 25 agosto 2008

I commenti dei nostri lettori



Cara Daniela, ti ringrazio per avermi informato di questo scritto di Frontera. Stai facendo un lavoro davvero prezioso per chi, come me, crede che i partiti, e quindi anche il PD, devono porsi al servizio della società, e non considerare la società terreno di conquista. In fondo è quello che sere fa ha detto con forza Goffredo Bettini alla festa del PD di Livorno.
Buon lavoro,Roberto Malfatti.
25 agosto 2008 15.32


PrecarioinRAI ha detto...
Spero che le Primarie, stavolta, si facciano. Il discorso delle primarie di coalizione mi preoccupa un po', anche perché le trovo inutili e fuorvianti. E' talmente complicata la situazione del PD che non capisco come mai trasferire il problema al di fuori del partito. E poi, quale coalizione? Ricominciare a costituire l'Armata Brancaleone come ai tempi dell'Unione, coi risultati che abbiamo visto? Risultati che non sono imputabili alla base, ma ai dirigenti. Quei famosi dirigenti "coi quali non vinceremo mai", come diceva Nanni Moretti nel famoso intervento a Piazza Navona sei anni fa. I quali dirigenti, poi, quando l'Unione vinse le elezioni nel 2006, si tolsero la soddisfazione di dire che "si era vinto, invece". Sì, imbarcando Mastella e certi rifondaroli irriducibili che minarono subito le fondamenta della maggioranza. Vogliamo renderci conto che il centralismo democratico è affondato da un pezzo? Che non è il caso di procedere oltre con la difesa della nomenklatura e con la necessità di garantire un posto di lavoro agli ex amministratori locali? Nonostante tutto, qui a Livorno mi sembra che si proceda ancora come ai tempi della Federazione in piazza della Repubblica 27. E che si sia convinti che, nonostante tutto, il centrosinistra "terrà" anche alle prossime elezioni. Nella città con la TIA più alta d'Italia e con le strade più sporche d'Italia. Nella città dove il cinema Odeon è stato demolito senza neanche sapere come fare a far funzionare l'inutile parcheggio che prenderà il suo posto.
Con ASA e ATL che vanno come vanno, con l'Acquario Comunale che verrà ristrutturato nei tempi e nei modi che già abbiamo sperimentato col Goldoni, col Palasport poi PalaAlgida, con piazza Guerrazzi e via pasticciando.
Sì alle primarie, ma discutiamo seriamente su cosa va bene e cosa no in questa città. Discutiamone serenamente all'interno del PD, prima di tutto. Non perché i panni sporchi si lavano in famiglia, ma perché spostare il dibattito all'esterno mi sembra nascondere la polvere sotto il tappeto.
Marco Sisi
25 agosto 2008 19.03

Un commento di Claudio Frontera

L’editoriale del Direttore punta oggi il dito su un aspetto cruciale per il futuro del Pd, quello delle primarie. Un nodo urgente da affrontare, visto che il percorso per la scelta dei candidati alle prossime amministrative si consumerà nei mesi autunnali. Nel ragionamento di Manfellotto, la rilevanza esiziale di questo passaggio è vista in relazione alle difficoltà manifeste del Pd nel metabolizzare la sconfitta elettorale di aprile, da un lato e nell’alto valore rappresentato dalle primarie per l’unità e persino per l’identità del nuovo partito dall’altro. Nello Statuto nazionale e regionale del Pd le primarie hanno appunto questo significato. Le scuse per non farle, finora, nei fatti, però, non sono mancate. alle amministrative di Roma, o per i candidati al Parlamento, il Pd, ha pagato un prezzo inutilmente gravoso per tale scelta. Alle prossime amministrative, se non si facessero, sarebbe peggio. E’ sembrato, in certo momento, che la scusa, per questa volta, si chiamasse “primarie di coalizione”. Non si sa quali saranno le coalizioni per le amministrative, non si ha notizia di pressanti richieste in tal senso degli eventuali alleati, ma ci si è sperticati, in alcuni autorevoli interventi sul tema, nel sostenere la necessità di “primarie di coalizione” e non di partito. La conseguenza, in tal caso, sarebbe che il candidato del Pd non lo sceglierebbero gli elettori del Pd, ma gli apparati del Pd. L’accordo reso noto un paio di giorni fa, trovato dal Pd a Firenze per uscire da questo vicolo cieco, mi sembra però ottimo. Si farebbero primarie di coalizione, per non umiliare gli alleati con scelte preconfezionate, ma si consentirebbe la partecipazione a tali consultazioni, non solo ad uno, ma a più (fino a quattro) candidati del Pd, che potrebbero concorrere, su un piano di parità. Gli elettori della coalizione, a questo punto e non solo del Pd, potrebbero scegliere liberamente. Sarebbe ammesso anche un candidato non espresso da alcun partito, ma proveniente dalla”società civile”, che raccogliesse un certo numero di firme. Staremo a vedere nel dettaglio, ma l’impegno di Manciulli e C. a garantire una scelta vera, libera da condizionamenti, sarebbe egregiamente rispettato da questo sistema. Sempre che, nei gruppi dirigenti del Pd, non ci si limiti ad un richiamo formale “alle regole”, con il rischio di spegnere il valore politico delle primarie, che non sono una procedure come un’altra, da seguire stancamente, ma un valore da promuovere attivamente.
Resta una pesante e sostanziale incognita. Nelle realtà dove ci sono amministratori Pd (sindaci e presidenti di provincia) uscenti, le primarie si possono fare, stando “alle regole” attuali, ma gli amministratori in carica sarebbero candidati d’ufficio, mentre gli eventuali “sfidanti” dovrebbero raccogliere un numero esorbitante di firme (30% dei membri degli organismi) solo per partecipare ad una gara contro amministratori in carica ( dotati pertanto di inarrivabili strumenti di visibilità) sostenuti già da adesso dall’apparato dirigente del partito. In breve, sarebbe una gara truccata. Primarie “vere” vuol dire libertà di scelta tra diversi candidati che gareggiano a parità di condizioni. Quello che vale in qualunque competizione sportiva, economica, professionale o politica. Se le primarie messe in campo dal Pd in autunno non saranno “vere”, si perderà l’ultimo treno dell’entusiasmo che questo nuovo partito aveva suscitato al suo nascere e di “nuovo” vi resterebbe ben poco…

Claudio Frontera
24/08/2008

domenica 24 agosto 2008

LA SCELTA DEI CANDIDATI PENSANDO AL MODELLO USA

IL TIRRENO
DOMENICA, 24 AGOSTO 2008

MAURO VAIANI
Come spiega il prof. Damiano Anselmi nel suo agile manuale «Convention e primarie: il sistema dei partiti governati dagli elettori», le primarie sono uno strumento che affascina le élite emergenti e le crescenti reti di cittadinanza attiva. Sono destinate a diffondersi, come moderno strumento di selezione dei leader. Garantiranno, in un futuro forse meno lontano di quanto si pensi, che i grandi partiti siano retti da leadership responsabili e riconosciute. Elimineranno, progressivamente, le vecchie clientelari preferenze o le famigerate “votazioni interne” fra ristrette conventicole di partito. Il futuro delle primarie non è la ripetizione di quei soporiferi plebisciti con cui sono state ratificate dagli elettori del centrosinistra la candidatura di Prodi nel 2005 e la leadership di Veltroni sul PD nel 2007. Se esistono idee e progetti concorrenti, se ci sono persone disposte a portarli coraggiosamente avanti, se si è in grado di raccogliere denaro e consenso, se ci sono gusto del rischio e sincera competizione, le primarie possono trasformarsi in competizioni divertenti e imprevedibili, dove i favoriti possono soccombere, in favore di outsider e volti nuovi. Le primarie tendono a diventare sempre meno una sorta di “amichevole” dall’esito prevedibile, se non addirittura scontato, e sempre di più un lungo “campionato”, ricco di imprevisti. Un processo che si prolunga nel tempo, che si scompone in una serie di appuntamenti intermedi, che consente di mettere alla prova i candidati nel tempo e nello spazio, senza esaurirsi in una unica consultazione, in una unica giornata, in un unico scrutinio. L’esempio che colpisce maggiormente l’immaginazione globale è sempre quello dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti, che si guadagnano la “nomination” attraverso oltre un anno di duro lavoro, in cui viaggiano in ogni angolo del paese, superando uno specifico esame elettorale locale, da parte dei sostenitori del loro partito, in ciascuno dei 50 stati dell’Unione. Mutatis mutandis, non è poi così irragionevole immaginare che le primarie per la scelta, per esempio, dei candidati sindaci o presidenti di provincia, di Firenze, Prato, Livorno, vengano celebrate attraverso dei calendari di consultazioni circoscrizione per circoscrizione, comune per comune, in più turni, che consentano l’eliminazione progressiva dei candidati di bandiera, con una graduale messa a fuoco delle caratteristiche umane e politiche di coloro che restano in gara. Forse un tale cambiamento non potrà affermarsi in questo imminente anno elettorale 2009, in cui il Pd è purtroppo l’ombelico della conservazione toscana e italiana e il Pdl è ancora troppo embrionale...Oppure sì?

SE FOSSERO VERE PRIMARIE...

IL TIRRENO
DOMENICA, 24 AGOSTO 2008

Il popolo riformista di centro e di sinistra non è mai stato così frastornato come oggi. La sconfitta elettorale di aprile è stata dura e per molti inattesa, almeno nelle dimensioni; la nuova leadership veltroniana, nonostante un significativo 33 per cento, ne è uscita colpita e indebolita; la sinistra radicale è scomparsa dal Parlamento mentre è emersa una fascia fortemente protestataria che si riconosce in Antonio Di Pietro. Quando si perde, poi, più marcate emergono discrepanze e contraddizioni che una vittoria avrebbe invece aiutato a ricomporre o a mascherare. E dio solo sa quanto profonde siano le diversità d’accento all’interno del giovane Partito democratico. È così che il gruppo dirigente battuto da Berlusconi si presenta alla festa di Firenze (del Pd? dell’Unità?), il tradizionale appuntamento con il quale riprende il dibattito politico dopo la pausa estiva. Vedremo, ascolteremo, cercheremo di capire. Ma l’impressione è che nessuno abbia chiaro in mente che cosa fare, quale sia il progetto sul quale impegnare la nuova formazione, e duole che l’estate se ne sia andata solo nel valutare se fosse opportuno o meno partecipare a varie commissioni bipartisan (Alemanno, Calderoli) per discutere di non meglio definite riforme e nel vano impegno di regolare vecchi conti interni: le discussioni masochiste sulle scelte di Chiamparino, l’amaro caso Bassolino (se ne ricordano ora?), la guerra sul nome di candidati a cariche importanti (valga per tutte la poltrona di sindaco di Firenze). In quanto alle truppe del Pd il rischio, per dirla con Arturo Parisi, “è che precipitino dalla schizofrenia alla depressione”. Il caustico ex ministro sarà anche un ferreo oppositore della leadership veltroniana, ma per arrivare a parlare così le cose da quelle parti non devono andare per niente bene. Certo, “depressione” suona alquanto provocatorio, ma che cambia se scegliamo invece delusione, disaffezione, incertezza? Quel che è certo è che sarà maledettamente difficile ridare slancio all’opposizione e a chi ha scommesso sul neonato partito del centro sinistra. Per una questione di contenuti, ma anche di modi e di forme che in politica contano altrettanto e che forse si stanno colpevolmente sottovalutando. Nel passato recente, i soli due momenti in cui militanti e simpatizzanti del centro sinistra si sono ritrovati uniti e vogliosi di ricominciare a combattere è stato quando sono stati chiamati a votare per le primarie, per scegliere Prodi prima e Veltroni poi come candidato premier. È vero, allora c’era un nemico da combattere - Berlusconi - capace di chiamare al voto e di mettere tutti d’accordo, ma non si deve dimenticare che nelle file del Pd le prime delusioni sono cominciate quando dalle primarie nazionali si è passati a quelle locali e al responso popolare si è preferito il voto di apparato. Con il risultato che in molti casi sono state poi le stesse elezioni a trasformarsi in paradossali primarie, il che ha inevitabilmente penalizzato i candidati di bandiera, da Roma a Pisa a Carrara. Temo che il meccanismo al quale si sta pensando per i prossimi appuntamenti elettorali non sia quello che gli elettori si aspettano: saranno molto probabilmente primarie di coalizione e non di partito. Una scelta difensiva il cui unico scopo sembrerebbe quello di non dare ulteriori scossoni a equilibri interni e di alleanze già difficili e precari. E invece da oggi in poi non è questo in discussione, ma prima di tutto la capacità di conservare e “fidelizzare” quanti hanno creduto nella novità del Pd, riportarli a discutere, a credere nel loro ruolo e nella possibilità di incidere sulle scelte successive. Ad avere fiducia in un progetto e in un partito che fin dalla definizione del suo gruppo dirigente mostri di credere in comportamenti affatto diversi da quanti si siano visti finora. È una scommessa, ma non ci sono molte alternative.
Bruno Manfellotto
P.S. A proposito di festa dell’Unità: un abbraccio affettuoso ad Antonio Padellaro e auguri alla “nostra” Concita De Gregorio.

sabato 23 agosto 2008

Il candidato unico e lo spreco delle primarie

LA REPUBBLICA
2008-08-23
BOLOGNA
L´intervento di
GIANFRANCO PASQUINO
Adesso, è sostanzialmente ufficiale. Il coordinatore della segreteria cittadina, lo stesso segretario provinciale, molti dirigenti del Pd sostengono la ricandidatura del sindaco Sergio Cofferati «senza se e senza ma». Purtroppo per loro «di se e di ma» ce ne sono davvero tanti.
Il primo «se» riguarda il semplice fatto che nessuno sa, per l´appunto, se, dove, quando, con quali motivazioni, quali votazioni una decisione effettivamente ufficiale sia stata concretamente presa. Non ne stiamo stati informati.
Il secondo «se» riguarda l´interrogativo concernente il regolamento nazionale, che esiste, e regionale, che sembra non sia ancora stato stilato, relativo alla selezione delle candidature a cariche monocratiche, vale a dire «se» le primarie non debbano essere lo strumento da usare regolarmente. Con stupefacente candore il presidente della Commissione statuto regionale, l´autorevole giurista Luciano Vandelli, sostiene l´incompatibilità delle primarie con «una Festa dell´Unità pro Cofferati». Ma, davvero, con tutti gli irrisolti problemi, locali e nazionali, del Pd, bisogna fare una Festa dell´Unità tutta dedicata a incoronare un particolare candidato sapendo che un altro candidato è già in campo e che almeno la minoranza bindiana sta cercando un´alternativa praticabile?
Mai, e la mia memoria in materia è lunga, in passato le Feste dell´Unità sono state appiattite su candidature uniche, su pensieri unici, su dibattiti a senso unico. Al contrario, erano luoghi nei quali opinioni diverse si confrontavano con i dirigenti pronti a trarre profitto da quanto di intelligente veniva detto e dagli umori delle compagne e dei compagni, come un partito forte, strutturato e radicato è sempre in grado di fare. Né bastano le affermazioni un po´ troppo giustificazioniste del costituzionalista Augusto Barbera che sostiene che «formalmente e politicamente il Pd non ha l´obbligo di essere arbitro». A parte che il Pd è un corpo composito al quale non è possibile, né a Roma né a Bologna, una rousseauiana volontà generale, è perfettamente possibile non essere arbitri senza giocare platealmente a favore di un candidato. Naturalmente, l´autocandidato, che non è affatto un segno di demerito, Andrea Forlani ha ragione a pretendere spazi, almeno per il dibattito, se non gli si consente concretamente di raccogliere le firme a sostegno della sua candidatura a causa dei ritardi, quasi certamente voluti, nella formulazione e approvazione del regolamento. Ed è deprecabile che gli organizzatori della Festa abbiano deciso di evitare qualsiasi contraddittorio, anche di carattere «teorico» su quanto di buono e, eventualmente, di meno buono possa scaturire da primarie competitive e partecipate. E´ un peccato, che potrebbe rivelarsi capitale, che la maggioranza dei dirigenti e forse degli iscritti al Pd non sappiano e non vogliano utilizzare le primarie non soltanto per scegliere bene un candidato, ma anche e soprattutto per aprire il partito alle molte associazioni civiche e per dare inizio brillantemente ad una campagna elettorale che potrebbe presentare molte asperità. Eppure, la narrativa del Pd ha tra i punti di partenza ineludibili proprio l´apertura ad una società incisivamente partecipante. La Festa dell´Unità di Bologna sembra contraddire molti principi e mancare proprio gli obiettivi cruciali.

venerdì 22 agosto 2008

Siamo struzzi?

“Non c’è uomo che voglia essere libero, non c’è uomo che voglia o sappia, a seconda dei casi, adoperarsi per possedere la ragione richiesta dalla libertà“.
Wright Mills, 1959 “L’immaginazione sociologica”

La società nella quale dovrebbe fiorire l’uomo libero, si trasforma così in una società dove cresce la sua antitesi, il Docile Robot.
Testa china, rassegnazione alta.
Conformismo, vigliaccheria, grigio, solitudine.
Ecco le associazioni mentali al riguardo.
Daniela Miele

L’Italia docile che ha perso dissenso


Nadia Urbinati
La Repubblica
20 agosto 2008

Sarebbe utile interrogarsi sulla docilità, una qualità che ben rappresenta l’Italia di oggi. Chi detiene il potere politico non è naturalmente amico del dissenso e di chi lo esercita, nemmeno quando al potere vi giunge per vie democratiche e la sua azione di governo è limitata da lacci costituzionali. Grazie al liberalismo, che del potere ha una visione giustamente diffidente e pessimista, le società moderne sono riuscite a imbrigliare le tendenze tiranniche e dispotiche di governi e governanti e infine a eliminare l’uso della violenza dalla politica. Diceva Tocqueville che il diritto e le costituzioni hanno reso la politica dolce perché hanno fatto posto al dissenso. I diritti che tutelano la nostra libertà individuale, non solo quella che ci consente di possedere cose materiali ma anche quella che ci rende sovrani sul nostro corpo e la nostra mente, sono un baluardo imprescindibile contro il potere, anche legittimo. Per questa ragione, una società libera è l’opposto di una società docile. Ma le cose sono più complicate di come se le immagina la teoria. Una società libera ha bisogno del dissenso. Anzi è desiderabile che la diversità di opinioni vi si manifesti e si esprima liberamente perché è grazie a questa diversità che il gioco politico può svolgersi e le maggioranze alternarsi. Ma la cultura dei diritti può purtroppo stimolare anche una diversa attitudine: può indurre i cittadini ad abituarsi a perseguire il godimento dei loro diritti individuali disinteressandosi a quanto avviene nella sfera politica, salvo recarsi alle urne nei tempi stabiliti. La società democratica può facilitare la formazione di una società docile perché indifferente alla partecipazione politica. Lo può fare perché e fino a quando i diritti essenziali sono protetti per la grande maggioranza e non si danno quindi ragioni di dissenso. Sono le minoranze il vero problema (o, per l’opposto, la salvezza) delle società democratiche mature, perché sono loro a esprimere dissenso, a rivendicare spazi di azione che non sono in sintonia con quelli della maggioranza – se poi queste minoranze sono per giunta culturali e etniche, non semplicemente di opinione, allora decidere di non ascoltarle e perfino di reprimerle e perseguitarle può non essere visto dall’opinione generale come un problema di violazione di diritti. La società docile non è una società che ha rinunciato ai diritti o che non è più liberale. È invece una società nella quale la maggioranza è soddisfatta del proprio grado di libertà e dei propri diritti e trova fastidioso che ci siano minoranze non domate, non silenziose e omologate, che facciano richieste che non collimano con le proprie (come nel caso di una minoranza religiosa che chiede che il diritto di culto sia rispettato anche quando il culto è diverso da quello della maggioranza). Società democratica docile, dunque, e per questo autoritaria e paternalista. La docilità è una qualità che si predica degli animali non degli uomini; è un obiettivo che i domatori si prefiggono quando cercano di abituare un animale a fare meccanicamente determinate cose. Al moto della mano del padrone il cane sa quel che deve fare e lo fa. Docilità significa non avere una diversa opinione di come pensare e che cosa fare rispetto all’opinione preponderante; significa accettare pacificamente quello che il padrone di turno, per esempio l’opinione generale di una più o meno larga maggioranza, crede, ritiene e vuole. Sono ancora una volta i liberali che ci hanno fatto conoscere questo lato inquietante del potere moderno. Un lato che si è mostrato quando il potere è riuscito ad avvalersi di strumenti nuovi; strumenti che si sono presto rivelati congeniali a un potere che si serve delle parole e delle opinioni per restare in sella, che può rinunciare alla violenza sui corpi perché si radica nell’anima dei suoi sudditi, se così si può dire. Mentre gli antichi tiranni e monarchi assoluti usavano la tortura e le punizioni esemplari nelle pubbliche piazze, il moderno potere fondato sull’opinione non ha più bisogno di usare la violenza diretta (e se la usa, si guarda bene dal farlo in pubblico); usa invece una specie di addomesticamento che produce, come scriveva Mill, una forma di "passiva imbecillità". I cittadini docili assomigliano a una massa di spettatori: in silenzio ad ascoltare e, semmai, giudicare alla fine dello spettacolo con applausi o fischi. La politica come spettacolo non assomiglia a un agone ma a una sala cinematografica. Il dissenso, la virtù forse più importante in una democrazia che si regge sull’opinione mediatica, è tacciato di generare destabilizzazione, offeso e denigrato. Il buon cittadino non dissente, ma segue, accetta e opera con solerte consenso. Una voce fuori del coro è castigata come fosse un’istigazione al terrore; un’opinione che contesta quella della maggioranza è additata come segno di disfattismo. Questa Italia assomiglia a una grande caserma, docile, assuefatta, mansueta. Che si tratti di persone di destra o di sinistra la musica non sembra purtroppo cambiare: addomesticati a pensare in un modo che pare essere diventato naturale come l’aria che respiriamo, vogliamo che i sindaci si facciano caporali e accettiamo di buon grado che ci riempiano la vita quotidiana di divieti e consigli (sulle spiagge della riviera romagnola due volte al giorno da un altoparlante fastidioso le autorità ci fanno l’elenco di tutte le cose che non dobbiamo fare per il nostro bene e se "teniamo alla nostra salute"). Come bambini, siamo fatti oggetto della cura da parte di chi ci amministra, e come bambini ben addomesticati diventiamo così mansueti da non sentire più il peso del potere. È come se dopo anni di allenamento televisivo siamo mutati nel temperamento e possiamo fare senza sforzo quello che in condizione di spontanea libertà sarebbe semplicemente un insopportabile giogo. La cultura della docilità non pare risparmiare nessuno, nemmeno coloro che per ruolo istituzionale dovrebbero esercitare il dissenso. Commissioni bipartisan nascono ogni giorno; servono ad abituarci a pensare che l’opposizione deve saper essere funzionale alla maggioranza, diventare un’opposizione gradita alla maggioranza. Un’opposizione che semplicemente si oppone e critica e dissente pare un male da estirpare, il segno di una società non perfettamente docile.

martedì 19 agosto 2008

Moretti: colmo un vuoto politico. Lodi dai prodiani

Il Corriere della sera
2008-08-18
Nuovo affondo Il regista: ma non mi candiderò. Il pd Monaco: copre le mancanze di un'opposizione in letargo

ROMA — Già pochi giorni fa, da Locarno, era intervenuto da par suo, parlando di un'Italia assuefatta a Berlusconi e «divisa in due, tra autodistruttività e letargo». Era seguita la reprimenda dell'ex sodale Pancho Pardi — che gli ha dato quasi del disfattista («non ci deprima») — e l'elogio di Marco Travaglio («Bentornato, sa come coinvolgere»). Ieri, dal Tg3, Nanni Moretti ha spiegato che non ha alcuna intenzione di candidarsi, ma se in molti gli chiedono di parlare di politica è «perché si sentono rappresentati dalle cose che dico. Non per merito mio, forse è un vuoto di altri».Parole che riaccendono lo scontro, perché l'affondo di Moretti, grande assente dalla manifestazione di piazza Navona di luglio, riguarda un'opposizione a Berlusconi giudicata troppo morbida. A dargli il pieno appoggio è il prodiano Franco Monaco: «Moretti colma il vuoto di un'opposizione divisa, timida, in letargo e di una stampa asservita». Monaco se la prende con «certa sinistra subalterna e minimalista, che si rifiuta di guardare in faccia la realtà e di battersi contro il degrado democratico e civile». Su una linea simile Sandra Zampa, deputata vicinissima a Prodi: «Credo che vada accolto il suo invito. Mi viene in mente sempre più spesso la frase di Moretti: D'Alema dì qualcosa di sinistra». Ma ancor più preoccupante di un'opposizione «senza coraggio», è il Paese, «che mi sembra narcotizzato e rassegnato. Risultato anche della fine prematura del governo: in troppi non hanno capito il disastro a cui andavamo incontro». Dalla Corsica, Ermete Realacci, deputato del Pd vicino a Walter Veltroni, non è entusiasta: «Sono polemiche ferragostane. Per Moretti ho stima e simpatia». Detto questo, il tono cambia: «L'opposizione è troppo timida? Sarebbe ridicola un'opposizione che si facesse guidare dall'opinione di un singolo. L'Italia è un Paese un po' più serio e l'opposizione una faccenda un po' più complessa». Quanto al «vuoto » che si sarebbe creato, Realacci risponde con una battuta: «Lo riempia Monaco, se proprio vuole».Moretti si è anche sfogato: «Non sono la macchietta descritta dai giornali. Quando qualcuno mi conosce di persona mi dice: ah, ma allora non sei quello stronzo che dicono. Molti si stupiscono, ma sono un essere umano».
Alessandro Trocino

lunedì 18 agosto 2008


La vignetta de IL CORRIERE DELLA SERA

domenica 17 agosto 2008

Alla scuola del Partito democratico i maestri sono tanti, mancano le idee

Corriere della Sera
2008-08-17
Niente grande discorso conclusivo, ma solo un intervento alla Festa democratica, già Festa dell' Unità, per Walter Veltroni.E questa è una novità, perché il comizio settembrino del segretario generale alla Festa, era una tradizione antica, e anche un evento politico importante, spesso non soltanto per il partito. Ma più o meno negli stessi giorni Veltroni romperà lo stesso il lungo silenzio cui si è di fatto consegnato, mettendo in ambascia i suoi sostenitori, fin dalla sconfitta elettorale di aprile. Solo che ad ascoltarlo non ci sarà una folla di militanti, ma una platea attenta di studenti, chiamiamoli così, che prenderanno diligentemente appunti. Il segretario tornerà infatti nella bella Cortona, dove aveva iniziato qualche mese fa il suo tour elettorale, per concludere i lavori della scuola estiva, anzi, della summer school, del suo partito. In luogo del comizio, che appartiene se non alle «ossessioni ideologiche» quanto meno alla liturgia dei partiti di massa del Novecento, terrà una lezione, o una conferenza: un genere che evidentemente gli si addice, visto che proprio a un tour di conferenze sulla «bella politica», un paio di anni fa, si affidò per calibrare il suo profilo di nascente leader democratico. Ma stavolta non farà tutto da solo. Ed è questa, a modo suo, la novità più significativa. Perché, par di capire, dovrebbe stare a significare che, per il neonato Pd, quella che un tempo si chiamava «la linea» non più è qualcosa che il leader trasmette dal palco di un comizio più o meno oceanico. È, dovrebbe essere, un discorso pubblico che si costruisce dialogando con interlocutori magari privi di casacche di partito, a grandi linee ascrivibili alla sinistra o al centrosinistra, ma lontani da quanto resta della cultura e delle tradizioni della sinistra storica; forti, però, di competenze riconosciute in Italia e nel mondo, e interessati a metterle in sintonia con un progetto politico riformista che, da solo, fatica a prendere forma.Lodevolissime ambizioni, non c'è che dire. E però non è necessario essere degli inguaribili conservatori, nostalgici dei partiti pesanti del Novecento, dei loro comizi e delle loro scuole quadri, per nutrire qualche dubbio in materia. Ascoltare, dialogare, confrontarsi sono, ci mancherebbe, attività fondamentali. Ma alla politica, ai gruppi dirigenti politici, ai leader politici è richiesto qualcosa di più e di diverso dalla capacità di trovare le parole e i toni giusti per cogliere fior da fiore di quanto si è appreso ascoltando, dialogando e confrontandosi, e cercare di trasformarlo in consenso. È richiesta, in una parola, quella politica che continua a latitare. E cioè visione, intuizione del mondo, voglia e capacità di leggere il proprio tempo e il proprio Paese, ma anche sforzo quotidiano per individuare soluzioni realistiche ai problemi aperti e, perché no, pure organizzazione, perché le idee camminano sulle gambe degli uomini. I partiti che, prima di andare in crisi, hanno avuto il tempo di costruire, dal governo e dall'opposizione, l'Italia repubblicana, questo hanno fatto, o cercato e magari anche simulato di fare. Il Novecento, è vero, ce lo siamo lasciato alle spalle. Ma è difficile immaginare che partiti nuovi possano nascere, e mettere radici, ignorando questo problema. E ancora più difficile è immaginare che possano girarci attorno le loro nascenti scuole di politica.Va benissimo riunirsi tre giorni, e chiamare un bel numero di grandi firme vecchie e nuove (dall'ormai superclassico Jacques Attali al sempiterno Edgar Morin, da Vandana Shiva all'immancabile Jeremy Rifkin passando per Jean Paul Fitoussi, per dire solo degli ospiti internazionali) a dire la loro, che peraltro non è del tutto ignota, praticamente su tutto: il «liberismo in crisi» come l'ambiente, il lavoro come la «glocalizzazione» di cui tratterà Piero Bassetti, par di capire nell'intento salvifico di far ritrovare al Pd il filo smarrito della narrazione di Milano e del Nord. Probabilmente le loro relazioni offriranno a Veltroni delle belle citazioni per il suo discorso conclusivo. Più difficilmente daranno agli studenti di Cortona lumi utili a sapere che cos'è il partito che sono chiamati a costruire, e a conoscere un po' meglio il Paese che, domani o dopodomani, vorrebbero tornare a governare.Gli ospiti internazionali Da Jacques Attali a Edgar Morin, da Vandana Shiva a Jeremy Rifkin passando per Jean Paul Fitoussi.
Paolo Franchi

sabato 16 agosto 2008

A tutto Nanni. Moretti protagonista assoluto a Locarno






a cura di Valentina D'Amico
Il regista protagonista di un lungo incontro con il pubblico dove parla a 360° di politica, cinema, gusti personali e progetti futuri, senza farsi mancare qualche gustoso siparietto comico.

Nanni Moretti è l'unico personaggio capace di smuovere masse di spettatori, appassionati o semplici curiosi anche in un festival rilassato e a misura di cinefilo come Locarno. Il Nanni nazionale inventa quiz, offre premi in linea coi sui gusti (il tour delle pasticcerie viennesi), salta da una presentazione all'altra dei pezzi forti della retrospettiva a lui dedicata, chiama al cellulare Carlo Mazzacurati sgridandolo davanti al pubblico perché non è venuto ad accompagnare la proiezione del suo film d'esordio Notte Italiana, tira le orecchie (simpaticamente, ma ripetutamente) a Frédéric Maire, reo di abbandonare Locarno per andare a dirigere la Cineteca Svizzera e, non contento di ciò, si reca personalmente a liberare posti a lui riservati nella sala dove si proietta il Filmquiz per far sedere un gruppetto di spettatori rimasto in piedi e alla fine dell'introduzione scavalca atleticamente lo schienale per raggiungere il suo posto. Cosa chiedere di più? Le riflessioni che aprono l'incontro sono, prevedibilmente, legate all'attuale situazione politica italiana. Nonostante Nanni si riproponga, domanda dopo domanda, di cambiare argomento e parlare dei suoi film, con un personaggio del genere è impossibile escludere domande di stampo politico. 'In questi anni ho sottratto tempo alla mia attività di regista per dedicarmi alla politica, e l'ho fatto come semplice cittadino, in modo completamente disinteressato. Se alcuni miei film parlano anche di politica non lo fanno perché con essi voglio convincere qualcuno a pensarla con me, ma perché voglio raccontare delle storie. E' accaduto con Aprile, che era legato al periodo elettorale, e poi con Il caimano, dove volevo narrare l'incontro tra una giovane regista e un produttore in crisi sullo sfondo dell'Italia di oggi. Il dovere di un regista non è quello di convincere nessuno, ma di fare dei buoni film, possibilmente innovativi. Come nel cinema cerco di evitare la ruffianeria, così in politica ho sempre detestato la demagogia e personalmente non penso di dover insegnare qualcosa agli altri. Non mi reputo abbastanza colto per essere un intellettuale. Gli intellettuali, quelli veri, erano Pier Paolo Pasolini, Franco Fortini, Luigi Pintor'.
Nonostante tenti di schernirsi, l'eclettico Nanni è stato scelto come protagonista della retrospettiva in virtù della sua molteplice attività di regista, sceneggiatore, attore, produttore, esercente, direttore di festival e, prima di tutto, spettatore. 'La mia attività di spettatore ha spesso influenzato le mie scelte come regista e sceneggiatore. Negli anni sono diventato più consapevole e perciò la mia facilità di scrittura è diminuita. Tendo a pormi qualche problema in più sulla ricezione del mio lavoro anche se in 35 anni di attività la mia voglia di fare e guardare film è rimasta intatta. Forse il mio modo di fare cinema sta cambiando. In questi ultimi anni vi sono state una serie di prime volte: ho diretto un film in cui non sono io il protagonista (Il caimano), ho fatto l'attore e ho collaborato anche alla sceneggiatura in un film non mio (Caos calmo). Non so ancora cosa accadrà nel mio prossimo lavoro. Al momento sto passando da un'idea all'altra insieme ai miei collaboratori Francesco Piccolo e Federica Pontremoli'.

Come è tradizione del Festival di Locarno, gli autori della retrospettiva devono proporre una Carte Blanche, una lista di film che per loro sono stati molto importanti. 'Quando Maire mi ha chiesto di fare una lista mi è venuto il panico. Poi ho deciso di fare una scelta ragionata restringendo il campo agli anni '60, l'epoca che mi ha maggiormente influenzato per la grande libertà che si è sprigionata in quegli anni nell'arte, dove il cinema prefigurava l'arrivo di una nuova epoca. Tra i titoli che avevo scelto vi era Dillinger è morto di Marco Ferreri che non è stato proiettato per una questione di diritti. Per mancanza di spazio ho dovuto scartare anche Morgan matto da legare, mentre Lola di Jacques Demy è stato preferito a film più famosi non per una questione di snobismo, ma perché ho amato veramente molto il film'.
FILMOGRAFIA
Regia
Il caimano (2005)
La stanza del figlio (2001)
Aprile (1998)
Caro Diario (1993)
Palombella rossa (1989)
La messa è finita (1985)
Bianca (1983)
Ecce bombo (1978)
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Tra tutti i film girati da Nanni Moretti, la pellicola scelta per la proiezione in Piazza Grande è Palombella rossa, girato del 1989, ma ancora oggi attualissimo. Nessuno meglio del regista è in grado di trovare le parole giuste per illustrare la situazione in cui versa oggi la società italiana. 'Non ho particolari doti profetiche. Palombella rossa e La cosa sono complementari, proprio perché uno è un film di fiction e l'altro è un documentario. Escono poco prima della crisi che coincide con il crollo del muro di Berlino. Quando ho girato Palombella rossa la mia riflessione mi aveva portato a individuare il problema della sinistra dell'epoca nella perdita di memoria. Questo rifiuto del proprio passato, questa continua necessità di doversi scusare per le radici del Comunismo, per altro già ampiamente rinnegate, erano il segno del malessere.

Basti pensare al fatto che a difendere la memoria italiana ci avevano pensato due intellettuali come Giorgio Bocca ed Eugenio Scalfari che comunisti non lo sono mai stati. Così ho sentito la necessità di descrivere la situazione a mio modo unendo comunismo, politica e pallanuoto con una libertà narrativa assoluta. Oggi la situazione è di gran lunga peggiore perché è venuta meno ogni possibilità di comunicazione. Prima un comunista e un democristiano parlavano, si confrontavano perché avevano fatto insieme l'Italia. Oggi l'opposizione passa dall'autodistruttività al letargo. E' diventato normale accettare il fatto che siamo l'unico paese in Europa ad avere un capo del governo che possiede tre televisioni, e se qualcuno osa ricordarlo viene tacciato di antiberlusconismo. In Italia manca del tutto un'opinione pubblica e questo ha permesso a Berlusconi di aggredire ripetutamente la magistratura senza che nessun giornale intervenisse. Se in qualsiasi altro paese europeo un Previti viene condannato per corruzione, interviene un'opinione pubblica che lo punisce. Da noi oggi non è più possibile e non possiamo neanche sperare nelle nuovi generazioni, poiché sono cresciute in questa Italia e sono assuefatte dalla situazione tanto da non percepirne l'anomalia'.Se la società italiana versa in una crisi profonda, per fortuna il cinema italiano sembra risorgere dalle proprie ceneri. Negli ultimi anni si è spesso parlato di rinascita del cinema italiano e questa volta Moretti pare fiducioso che il processo in atto sia permanente. 'I riconoscimenti pubblici e il successo dei film di Garrone e Sorrentino non sono una sorpresa, visto che questi due autori, insieme al Soldini di Giorni e nuvole che li aveva preceduti di pochi mesi, realizzano opere di livello da anni. Vi è una nuova generazione di registi, ma anche una nuova generazione di produttori, come Domenico Procacci e Donatella Botti. Il fatto che Il divo e Gomorra non si siano rubati pubblico, ma anzi, si siano sostenuti a vicenda indica che forse anche gli spettatori italiani sono cambiati, sono più fiduciosi verso i prodotti nazionali. E quest'anno abbiamo ben quattro film italiani in concorso a Venezia'. A proposito di festival, Moretti non tralascia di lanciare qualche frecciatina mirata a chi non gli risparmia critiche. 'Come ha detto Procacci, anche io sono felice di essere a Locarno perché qui non c'è un clima isterico e i giornalisti non fanno a gara a essere intelligentemente sgradevoli, come accade da altre parti. In questo festival, come anche a Torino, è possibile seguire i film in tutta tranquillità'.
Mentre il diluvio incessante inizia a impensierire un po' Nanni, il discorso si sposta sulle sue interpretazioni e, in particolare, su quelle scene ormai fissate nella memoria cinefila collettiva in cui Moretti si produce nei suoi ben noti scatti d'ira. 'Amo molto interpretare le scene fisiche. Nel girare la rissa con gli studenti in Bianca o il nuoto in La messa è finita e in Palombella rossa mi sono divertito moltissimo. Mariella Valentini ancora si chiede perché gli ho dato quello schiaffo nella scena del "come parli" in Palombella rossa. Che poi devo ammettere che le parole che mi danno realmente fastidio non le ho messe altrimenti sarebbero rimaste per sempre in un mio film. Nel duello in Sogni d'oro ho preso spunto da quella tv volgare che all'epoca era ancora agli albori. Mi sono ispirato ai talk show mescolandovi un po' di Giochi senza frontiere, il tutto per mettere in scena la mia rissosità in quanto debolezza. Poi però il pubblico l'ha recepita in modo diverso. In questo senso il più grande equivoco nella mia produzione è Ecce bombo. Pensavo di aver fatto un film doloroso per pochi e invece ho fatto un film comico per molti. Grazie a questo equivoco sono stato inserito nel novero dei nuovi comici, accanto a Verdone e Troisi, e ho continuato a fare film'. Mentre l'incontro si conclude con un'anticipazione sul Torino Film Festival in cui Nanni svela i protagonisti delle tre retrospettive (Roman Polanski, Jean-Pierre Melville e la rinascita del cinema inglese degli anni '80), una ragazza estrae a sorpresa la recensione di Tre metri sopra il cielo di Johnny Palomba costringendo Nanni a spiegare chi è Johnny Palomba al pubblico straniero, divertito ma anche un po' disorientato dallo stile unico del misterioso recensore mascherato letto dall'incredibile Nanni, che neanche stavolta si sottrae alla titanica prova richiestagli.



giovedì 14 agosto 2008

Moretti: non c’è più un’opinione pubblica



Il regista torna sul momento politico: «I voti? Berlusconi ha spostato un Paese...»

«La sinistra, l’opposizione, è divisa in due: o è autodistruttiva o è in letargo. Ma la cosa più grave è che manca, non esiste, una opinione pubblica: è da 14 anni che Berlusconi, nonostante il conflitto di interessi, può non solo candidarsi a guidare il Paese ma anche avere un così forte controllo dei media». E’ Nanni Moretti (nella foto) a parlare durante la presentazione della retrospettiva che il Festival di Locarno gli ha dedicato. «Non c’è una legge antitrust - ha proseguito il regista - in nessun Paese democratico del mondo sarebbe stato consentito a Berlusconi di potersi candidare e di avere una tale concentrazione di giornali e televisioni. Ma manca la memoria, manca un’opinione pubblica, si accetta tutto come normale. In un altro Paese, e lo dico tra virgolette, sarebbe stato punito dagli elettori». «Se pensiamo - ha incalzato Moretti - che voleva nominare ministro della Giustizia, Previti... quando un Previti viene condannato in tre gradi di giudizio per corruzione della magistratura relativa agli interessi di Berlusconi, l’opinione pubblica avrebbe dovuto punirlo. Per non parlare di Dell’Utri». «Berlusconi - ha concluso Moretti - non ha spostato i voti, ha spostato un Paese.

domenica 10 agosto 2008

Continuiamo a farci del male.........! Quello che leggiamo in questi giorni.... ci ricorda il partito d'apparato....

Dibattito sulle PRIMARIE
La Repubblica
VENERDÌ, 08 AGOSTO 2008

Firenze
Il segretario regionale contrario allo svolgimento di consultazioni per il partito e la coalizione
Primarie, tempesta nel Pd
Manciulli:"Candidati scelti dall´interno". E scoppia la rivolta


E se alla fine il candidato sindaco di Firenze uscisse da una consultazione allargata a tutte le forze della coalizione, con un solo nome in gara indicato dal Pd? Invece delle primarie di partito, come era stato ipotizzato finora, il Pd potrebbe correre con un solo nome scelto tra pochi dirigenti. E´ uno scenario, questo, che il segretario toscano Andrea Manciulli non scarta a priori ma che già incontra la dura opposizione del coordinatore fiorentino Giacomo Billi («dobbiamo fare primarie del Pd aperte», dice) e dell´assessore Cioni che avverte: «Se il partito sceglie questa strada non è più il mio partito».
"Primarie di partito? A Firenze si può"
Ma nel Pd scoppia la rivolta contro la linea di Manciulli
Massimo Vanni

Daniela Lastri per ora è l´unica a essere scesa esplicitamente in campo MASSIMO VANNI
O le primarie del Pd o quelle della coalizione. Due sono troppe, politicamente insostenibili dice il segretario toscano del Pd Andrea Manciulli. Ma chi selezionerà i candidati Pd da inviare alle primarie di coalizione? Lo statuto nazionale dice che ci andrà chi raggiunge almeno il 35 per cento dei voti dei componenti delle assemblee comunali. Dal Pd toscano arriva la proposta di far votare i fondatori. E a Firenze scoppia la rivolta. Senza le primarie, il peso dei dirigenti di partito sarebbe determinante nella scelta dei candidati del Pd. E una volta scelto, data la forza elettorale del partito, il candidato avrebbe ottime possibilità di diventare sindaco. «Un ritorno al passato», si oppongono l´assessore Graziano Cioni, il segretario del Pd Giacomo Billi e anche i sostenitori dell´assessore Daniela Lastri, per ora l´unica candidata dichiaratamente in campo. Segretario Manciulli, è vero che non volete le primarie?«Le vogliamo fare e le faremo. La Toscana è la regione nella quale le primarie sono state già fatte, è la sola regione dove lo statuto del Pd prevede le primarie a tutti i livelli ed è l´unica regione ad avere una legge istituzionale per le primarie che solo noi abbiamo fino a questo momento esercitato. Il punto è altrove: come regolare fra loro le primarie di partito e quelle di coalizione. In ballo c´è l´esito stesso delle prossime elezioni amministrative in Toscana».Le primarie di coalizione escludono le primarie del Pd? «La questione è molto seria e deve essere spiegata bene. Il prossimo anno andranno al voto 215 Comuni toscani su 280, la maggioranza di questi è sotto i 15 mila abitanti e voterà in un unico turno. Quando si fanno le regole si fanno per tutti e se non ci presentiamo con una coalizione rischiamo di perdere molti di questi Comuni».E che "c´azzecca" non fare le primarie di partito?«Se il Pd, laddove si renda necessaria una coalizione, facesse prima le primarie aperte a tutti solo per scegliere il proprio candidato e andasse poi dagli alleati a proporre primarie aperte di coalizione, cosa direbbero gli altri partiti? Si sentirebbero di partecipare con pari dignità alla selezione dei candidati con un partito che in Toscana possiede il 47 per cento? A Firenze si vota con due turni ma dove non ci sono si metterebbe a rischio l´esistenza stessa della coalizione e, alla fine, la possibilità di vittoria nei vari Comuni».Il Pd fiorentino sembra pensarla diversamente.«Penso che a Firenze, come nel resto della Toscana, il Pd sarà la forza politica che selezionerà i propri candidati con le procedure di gran lunga più partecipative. Del resto con una decisione di Berlusconi, è stato appena nominato il coordinatore toscano di Forza Italia e mi pare assurdo che in casa nostra ci si tormenti su una modalità di selezione dei candidati che nessun altro partito effettua con altrettanta democrazia. A Firenze dovremmo forse nel giro di 6 mesi raccogliere le firme per le primarie, fare le primarie aperte di partito, raccogliere le firme per quelle di coalizione, fare le primarie di coalizione, raccogliere le firme per le elezioni e quindi votare eventualmente su due turni? La politica non è la coppa dei campioni della selezione dei candidati. Non bisogna mai perdere di vista l´obiettivo vero che non è vincere le primarie ma vincere le elezioni».Sostituire però le primarie con una mera consultazione interna non significa affidare la scelta del candidato al solo gruppo dirigente? Alla casta della politica?«Non è così. Nessuno vuole fare una semplice consultazione del solo gruppo dirigente. Prendiamo il caso di Firenze, che solleva tanta discussione: se entro il 10 ottobre prossimo le forze politiche riusciranno a trovare un accordo vorrà dire che si fanno le primarie di coalizione. E in quel caso il Pd deciderà i suoi candidati per le primarie di coalizione. In che modo? Secondo lo statuto nazionale può sceglierli anche con un semplice voto degli organi dirigenti, ma noi vogliamo andare oltre. Ed è questo lo sforzo che lodevolmente ha portato avanti il parlamentare Franco Ceccuzzi nella commissione statuto regionale del partito: cioè la possibilità di estendere il più possibile la platea di chi decide le candidature alle primarie di coalizione».Ma cosa succede nel caso, invece che non sia possibile decidere già la coalizione entro il 10 ottobre prossimo?«In questo caso vorrà dire che si faranno le primarie di partito aperte a tutti gli elettori, come da regolamento. Il Pd deciderà così il suo candidato e discuterà eventualmente in un secondo momento con gli alleati riguardo al programma e alla costruzione della coalizione. Quindi mi pare evidente che in tutti i casi a Firenze ci saranno primarie aperte a tutti gli elettori. Che siano di coalizione o di partito, tutti potranno votare».Come spiega allora tanta animosità in questi giorni?«A me pare ci sia una spinta di molti candidati e supporter a fare primarie nel modo a loro più congeniale, senza tenere conto delle necessità collettive. Ma chi dirige il partito, a tutti i livelli, dovrebbe preoccuparsi che più di tutto contino le finalità collettive, non quelle dei singoli. Sono dell´opinione che di tutto ciò si debba discutere ai primi di settembre negli organismi dirigenti fiorentini».


Le reazioni
Tra i critici più accesi c´è l´assessore di Palazzo Vecchio: attenti, perdiamo le elezioni. Billi: niente infingimenti Cioni: "Così non è più il mio partito"
In mattinata una telefonata per ringraziare il segretario cittadino "Basta trucchi, abbiamo già alle spalle la vergogna delle primariette per il Parlamento"
ERNESTO FERRARA
«Giù le mani dalle primarie. Non possiamo tradire gli elettori. Io ho scelto un partito che mi ha dato delle garanzie. Se ora trucca le primarie, se vuole far scegliere il candidato sindaco agli organi dirigenti e non ai cittadini, non è più il mio partito». Il telefono dell´assessore sceriffo Graziano Cioni squilla in continuazione. Lui è nervoso, è arrivato presto nel suo ufficio al terzo piano di Palazzo Vecchio. Alle 12 è alla trentesima telefonata. Batte i pugni sul tavolo. Non manda giù la proposta espressa dal deputato senese Franco Ceccuzzi e sostenuta dal segretario regionale Andrea Manciulli di selezionare, in caso di primarie di coalizione, il nome del Pd per correre alla poltrona più alta dei Comuni dove si vota nel 2009, Palazzo Vecchio compreso, attraverso una consultazione riservata ad iscritti di partito. «Non è la strada giusta, sarebbe una vergogna, perderemmo le elezioni», sbotta. E´ il giorno più tormentato del Pd. Mercoledì scorso, nella riunione della commissione statuto, il "blitz" di Ceccuzzi: in caso di primarie di coalizione, ha proposto il braccio destro di Manciulli, scegliamo il candidato Pd attraverso una consultazione «interna». Per non portare due volte a votare gli elettori Pd, la sua tesi. Ne è nato un putiferio. Tra gli iscritti e nel gruppo dirigente fiorentino. Sconvolti i sostenitori dell´assessore Daniela Lastri, che nella proposta Ceccuzzi hanno visto il tentativo di tagliarla fuori dalla corsa per il sindaco. «Le primarie sono lo strumento più innovativo e dinamico che il Partito Democratico ha introdotto - protesta Cioni - nessuno si può permettere di snaturarle. Non possiamo fare primarie che non siano primarie e scegliere il candidato sindaco attraverso consultazioni interne. Se lo facciamo, stavolta perdiamo le elezioni». Un allarme. Ma anche un monito: «Se il Pd sceglie la strada della consultazione ristretta non è più il mio partito», avverte l´assessore lasciando addirittura balenare la possibilità estrema di lasciare il partito.Poi prende il telefono per ringraziare il segretario Pd di Firenze Giacomo Billi, che alla riunione di mercoledì, dove Ceccuzzi ha lanciato la proposta, si era già messo di traverso rivendicando l´autonomia dei territori e la possibilità di scegliere caso per caso il metodo per individuare le candidature. «La realtà fiorentina è diversa da molte altre della Toscana. E se è vero che lo spirito nazionale del Pd è stato in questi mesi quello di valorizzare i territori e le loro peculiarità, è giusto che Firenze abbia una sua autonomia: per questo la rivendicherò», dice il segretario fiorentino Billi. «Da primarie aperte non possiamo prescindere - aggiunge - e a Firenze il candidato sindaco lo sceglieremo così, senza infingimenti o primarie chiuse». «Non possiamo prendere in giro gli elettori, niente trucchi: abbiamo alle spalle la vergogna delle cosiddette primariette per scegliere i candidati al Parlamento, fu una scelta assurda e sbagliata, se ci penso ancora mi viene la nausea», ricorda anche Cioni.Ma dopo Ceccuzzi due giorni fa, ieri a confermare l´ipotesi è stato lo stesso Manciulli. Come uscire quindi dall´impasse? «Si permetta a Firenze di prendere una sua strada autonoma: le primarie o sono aperte o non sono e non è detto che dappertutto si tengano primarie di coalizione», ha detto ieri Cioni incontrando Manciulli. E anche secondo il segretario fiorentino Billi è questo il modo di uscire dal guado: «A Firenze il Pd ha totalizzato da solo alle ultime elezioni il 50 per cento dei voti. Per questo credo che come partito abbiamo il dovere e la responsabilità di esprimere il candidato sindaco. Credo si possa ipotizzare già dal prossimo settembre un confronto programmatico con gli alleati con cui in questi anni abbiamo ben governato la città. Poi le nostre primarie, ovviamente aperte». Come dire: non è detto che a Firenze si tengano primarie di coalizione. Per quanto a chiederle ufficialmente siano già almeno Sinistra Democratica e Socialisti. Più incerte per ora le posizioni di Verdi e Comunisti Italiani.


La decisione entro il 10 ottobre



Per quella data si deciderà come selezionare i candidati La decisione entro il 10 ottobre
Due le date possibili per le primarie: 25 gennaio o primo febbraio
La linea veltroniana della corsa solitaria, qui in Toscana, si scontra con la necessità di raccogliere più del 50 per cento dei voti. In un panorama nazionale sconsolante, il Pd toscano è deciso a non indietreggiare e per costruire le coalizioni, pensa il segretario toscano Manciulli, servono primarie di coalizione. Dati i rapporti di forza, rischiano di essere primarie prevedibili: facile scommettere sul candidato Pd, piuttosto che su quello Ps o di Di Pietro. C´è però un passaggio: in che modo il Pd sceglie i propri candidati per le primarie di coalizione?Manciulli e il gruppo dirigente toscano ritiene impraticabile la strada di due primarie aperte a tutti gli elettori una dietro l´altra: uno stress che mette a dura prova la partecipazione. Se si fanno le primarie di coalizione meglio non fare quelle di partito. In fondo, secondo lo statuto nazionale di candidati alle primarie di coalizione ne possono essere inviati due. Non solo uno, come dice il regolamento (Manciulli considera cogente lo statuto). E mercoledì, nella commissione statuto regionale piomba la proposta di sostituire le primarie di partito con una consultazione interna: i candidati Pd vengono scelti dagli uomini del Pd. E solo nelle successive primarie di coalizione arrivano gli elettori. E´ qui che scoppia la tempesta. Innovazione di percorso o trucco della casta per autoriprodursi? Il Pd fiorentino teme un ritorno al passato, quando a decidere erano i caminetti fra dirigenti: prima si sceglie il candidato, poi si chiamano gli elettori a ratificare. Lo temono gli ex Margherita come il segretario Billi, che negli organi dirigenti sono minoranza rispetto agli ex Ds, lo temono i supporter dell´assessore Lastri, che avvertono freddezza nei gruppi dirigenti, lo teme l´assessore Cioni, che ha la sua forza «fuori». Delle primarie di partito aperte a tutti gli elettori questa volta non si può fare a meno. A costo dello scontro.Manciulli interviene in prima persona a spiegare. A chiarire che a Firenze si faranno probabilmente primarie di partito, visti i tempi stretti (da qui al 10 ottobre) per rinsaldare e rifondare l´alleanza. Le primarie sono fissate per il 25 gennaio. Al massimo il primo febbraio. Lo scontro si stempera, anche se non si dissolve. Ma restano i rebus: se il Pd sceglierà il candidato con primarie aperte a tutti, come si procederà poi? O il Pd correrà da solo o i futuribili alleati ratificheranno la scelta del candidato. A meno di passare per altre primarie aperte di coalizione.(m.v.)

Sabato 9 Agosto

Il Pd nazionale con Manciulli
"Gli alleati si troverebbero davanti a un fatto compiuto"
Andrea Orlando: "Gli elettori non possono votare due volte in poco tempo" MASSIMO VANNI
(segue dalla prima di cronaca)«Il Pd ha un ruolo essenziale nell´indicare obiettivi e strategie, ma cercare consensi e alleanze coerenti è indispensabile anche in una prospettiva nazionale. Così facciamo in Regione. Così tutti i partiti dovrebbero fare nei territori, anche perché in molti Comuni vaste alleanze sono indispensabili per battere la destra, e questo è un dato che va tenuto conto», sostiene il presidente toscano Martini rilanciando invece le primarie di coalizione. «Le primarie sono davvero aperte quando puntano a costruire ampie intese sui programmi e a coinvolgere tutta la società civile. Puntare su primarie di coalizione non è dunque questione regolamentare, ma una scelta tutta politica, da assumere in tutta la Toscana - continua Martini- solo dopo aver accertato che non è possibile conseguire questo obiettivo si può ricorrere alla scelta subordinata delle primarie di partito, da organizzare anch´esse in modo aperto, coinvolgendo l´intera cittadinanza. E l´idea di due primarie in sequenza mi sembra impraticabile».Impraticabile organizzativamente e politicamente: «Non solo perché la stessa base elettorale sarebbe chiamata a pronunciarsi due volte nell´arco di poco tempo, ma anche soprattutto perché gli eventuali alleati si troverebbero di fronte ad un sostanziale fatto compiuto», spiega il Pd nazionale per voce del responsabile organizzazione Orlando. Di fronte alla necessità di costruire una coalizione cioè, le primarie di partito sarebbero percepite dagli alleati come l´imposizione di un nome già scelto.«Non confondiamo i mezzi con i fini, l´obiettivo è vincere con buone coalizioni e non possiamo fare due primarie a distanza di una settimana. Il percorso indicato dal segretario toscano serve per tutte le realtà», dice anche il parlamentare ex Margherita Antonello Giacomelli. Lo stesso Manciulli insiste: «Di partito o di coalizione, le primarie ci saranno comunque e saranno aperte a tutti gli elettori». Ma il Pd fiorentino non demorde. Mentre nei circoli di base circolano bozze di documenti pro-primarie di partito, a nome dell´ala sinistra del partito Alessio Biagioli scrive: «Il Pd è nato sulle primarie e sulle primarie rischia di affondare se queste non sono lo strumento di coinvolgimento degli iscritti e degli elettori». E aggiunge: «La proposta del segretario regionale è contraria allo statuto regionale e nazionale, che attribuisce diritto di scelta dei candidati agli elettori».Dal fronte degli alleati, Sinistra Democratica avverte di ritenere «indispensabili» le primarie di coalizione aperte a tutti. «Ma anche se i tempi non possono essere dilatati all´infinito, non ci pare né utile né giusto fissare sulla base di atti e scelte interne del Pd scadenze come quella del 10 ottobre», dicono Giuseppe Brogi e Daniele Baruzzi. Primarie di coalizione le chiede anche il Ps con Alessandro Falciani. I Comunisti italiani non sono contrari. Mentre i Verdi le chiederanno solo «se il candidato non ci piace», dice Gianni Varrasi.


Domenica 10 Agosto
Lettera aperta del coordinatore del Forum sulla partecipazione
"Non vogliamo ritornare a un partito di apparato"
Primarie Pd, primi malumori della base
"Quello che leggiamo in questi giorni ci fa temere di tornare indietro di anni"
«Quello che leggiamo in questi giorni ci fa temere di essere riportati indietro di anni, ad un partito d´apparato, dove le decisioni vengono prese da pochi e imposte dall´alto». E´ la lettera aperta al Pd promossa dal coordinatore del Forum sulla partecipazione Giulio Caselli e firmata per ora da una trentina di persone tra coordinatori di circolo, dirigenti cittadini e semplici fondatori. Un documento di una pagina nato dal basso per dire di no alle «ingerenze» e chiedere che il Pd fiorentino scelga il suo candidato sindaco per la disfida elettorale del 2009 attraverso primarie di partito.Il Pd toscano ribadisce che le primarie di partito, secondo lo statuto nazionale, si faranno se entro il prossimo 10 ottobre non ci sarà un accordo politico di coalizione. Se cioè non ci saranno primarie di coalizione, che il presidente della Regione Claudio Martini giudica sempre preferibili dal momento che, per vincere nei vari Comuni, il Pd ha bisogno di alleanze. Non può correre da solo. Ma come si decidono i candidati da inviare alle primarie di coalizione? Secondo lo statuto nazionale si possono presentare coloro che ottengono almeno il 35 per cento dei voti nell´assemblea comunali (cioè al massimo due candidati). Ma alla selezione degli organi di partito la lettera della base oppone e rilancia la selezione dei candidati ricorrendo comunque a primarie del Pd. «Ciò che ha spinto molti di noi ad impegnarci nuovamente o per la prima volta è stata la sfida di costruire un partito nuovo, libero da vecchie logiche e vincoli, dove le decisioni importanti sono davvero prese dalla base e dagli iscritti», si legge nella lettera aperta. E ancora: «Non possiamo condividere l´idea di un candidato che sia in qualche modo imposto, sia che il nome venga indicato da Roma sia che provenga da qualsiasi altra parte, per quanto i nomi proposti ed apparsi siano di assoluto prestigio», c´è scritto nel documento promosso da Caselli e firmato dai coordinatori di circolo Claudio Fantoni (Peretola), Maurizio Sguanci (San Jacopino), Jacopo Ghelli (Varlungo), Rossella Cecchini (Andrea Del Sarto), Enzo Torelli (Coverciano), Demitri Gudas (circolo "Boncinelli"). Ma anche dalla presidente dell´Sms di Rifredi Giovanna Malgeri, dal dirigente cittadino Dario Nistri, dall´ex presidente di Quartiere Walter Rossetti, dalla coordinatrice del Quartiere 4 Barbara Cavandoli, dall´ex segretaria Ds del centro storico Oriella Pieracci.«Se a Firenze prenderanno la decisione di fare primarie di partito è chiaro che si tratterà di una scelta politica», tiene a dire il Pd toscano. Correndo magari il rischio di rendere poi più difficile la costruzione dell´alleanza elettorale. Ma il documento che arriva dalla base non lascia dubbi: «Chiediamo un segnale che ci confermi e conforti sul cammino finora intrapreso dal Pd», dicono i firmatari. E «a differenza di quello che qualcuno crede, i nostri cittadini e i nostri futuri iscritti hanno la maturità di fare scelte importanti e responsabili senza tutori e senza soluzioni preconfezionate», aggiungono dichiarandosi in linea con le posizioni assunte in questi giorni dal segretario cittadino Giacomo Billi e da quello metropolitano Andrea Barducci.
Neppure l´assessore Graziano Cioni demorde: prima di partire per la Val Gardena ha inviato una raffica di «sms» per annunciare «una grande assemblea prima del 15 settembre» dell´associazione Firenze democratica con l´obiettivo di «far conoscere cosa pensiamo per il futuro di Firenze». Cosa pensa Cioni già è noto: primarie di Pd.

sabato 9 agosto 2008

Riceviamo da Ettore un articolo de IL FOGLIO

Viva il centralismo democratico !
Il caso Chiamparino ultimo esempio di un problema dei nuovi partiti.
Una delle caratteristiche storiche della sinistra italiana, la più influenzata tra quelle occidentali dall’impostazione leninista, era la disciplina di partito. La formula del “centralismo democratico” – le organizzazioni di livello inferiore eleggono quelle di livello superiore, alle quali sono subordinate nelle decisioni – resistette a tutte le bufere. Questo non impedì che tendenze politiche contrastanti, o “diverse sensibilità”, come le definiva castamente Giorgio Amendola, si esprimessero nel confronto di organismi dirigenti ristretti, ma l’unità nell’azione e l’esecuzione corale delle decisioni assunte erano sempre assicurate. Sarebbero stati inconcepibili, allora, episodi come quelli che caratterizzano attualmente la vita interna di Rifondazione, dove i consiglieri calabresi decidono di entrare nella giunta, nonostante il divieto esplicito del segretario, e l’organo di stampa del partito rivendica l’autonomia dalla linea vincente del congresso, o nel Partito democratico, dove persino l’innocua petizione per “salvare l’Italia” riceve ripulse e diserzioni e in molti centri è in corso una specie di guerriglia tra amministratori e organizzazioni di partito.Naturalmente sarebbe insensato provare nostalgia per il centralismo democratico, che viene mantenuto come vincolo statutario soltanto nel museo delle cere denominato Partito dei comunisti italiani. In sostanza quel principio organizzativo era l’espressione di quello ideologico secondo cui “la coscienza rivoluzionaria si porta dall’esterno”. Il fatto è che con il centralismo pare se ne sia andata anche la democrazia, intesa come metodo di maggioranza. Le maggioranze congressuali sembrano rappresentare l’ambito ristretto della militanza, che non coincide con quello più ampio del consenso elettorale. Sergio Chiamparino, uno dei sindaci più popolari d’Italia, ha perso il congresso torinese dei democratici, e adesso si sente assediato. L’espediente delle primarie (che dovrebbero scegliere i candidati alle cariche pubbliche e non i leader di partito) non ha sciolto questa contraddizione, che invece tende a esplodere sul territorio e agevola l’organizzazione di correnti nazionali che diventano i veri referenti politici della militanza più attiva. La decadenza di un principio organizzativo obsoleto e soffocante non ha trovato ancora un’alternativa efficace, indipendentemente dalla caratteristica delle leadership, visto che l’indisciplina colpisce tanto Paolo Ferrero quanto Walter Veltroni.
8 agosto 2008

Alcuni commenti agli articoli di Paoli

Interessante l'analisi fatta da Paoli, meno brillante mi appare invece la sua conclusione di rivolgersi alla Regione Toscana. Mi sarei infatti aspettato qualche suggerimento di piu' alto profilo (che ovviamente io non sono in grado di proporre, non essendo un economista ne' un addetto ai lavori).Tuttavia sui sistemi cosiddetti "complessi ", che fanno parte di alcuni miei recenti studi, qualcosa posso aggiungere: -oltre alla "resilienza" ed altri parametri di adattabilita' esistono "meccanismi riparatori" che qualche volta sono automatici, specialmente nei sistemi viventi. Vale a dire che non tutte le dinamiche portano alla rottura. Necessita' infatti vuole che la vita continui. Se questo vale in natura, non vedo come non possa valere anche per le questioni socio-economiche. I poli d'attrazione nascono dalle idee innovative, dagli azzardi, dall'evoluzione culturale, dai confronti coraggiosi, dalle competenze e, soprattutto in questo periodo, dal fare rete o sitema, visto che si parla di "sistemi complessi". Comunque grazie a Paoli per aver fornito ottimi spunti di riflessione che meriterebbero un piu' ampio dibattito peraltro proseguito anche dall'articolo firmato "sequenze". -Regole amministrative- invoca quest'ultimo articolista: Ben vengano, aggiungo io, purche' non si sconfini nella paralisi burocratica o si faccia diventare la burocrazia una scienza.
Paolo Pasquinelli,
Biologo ed Artista Contemporaneo
Condivido l' analisi della situazione ma purtroppo sono in tanti a saperlo fare, molto più difficile secondo me è capire come siamo arrivati a tutto questo ma soprattutto come ...rimediare.Ciao,
Giovanna Baldi
Si certamente pubblicizzare mettere sul mercato come letteralmente dice la parola marketing credo sia importante per dare visibilità a ciò che abbiamo e a ciò che offriamo , è importante però anche vincolare le aziende al territorio in termini di programmazione, investimenti ma anche responsabilità ,nel senso che un azienda o un gruppo che viene attratto dalla convenienza economica e strategica che ha nel investire nel nostro territorio deve essere messa nella condizione di riconoscere e di valorizzare le risorse che noi gli concediamo come territorio e come valore umano senza il quale essa o esso non può arrivare agli obbiettivi strategico economici che si è prefissata , cosi come il valore umano debba riconoscere il valore dell'azienda, o il gruppo per il quale lavora.Insomma, occorre una sinergia come valore, in cui si interiorizzi da ambo le parti il concetto che il benessere, di una città, o di uno stato dipendono dalla coesione del capitale con il fattore umano senza il quale non scaturirà un benessere sociale. il benessere sociale passa per la responabilità individuale e serve per arrivare a far si che l'uomo attraverso il benessere socioeconomico possa sviluppare se stesso secondo le proprie peculiarità e i propri desideri . Credo anche che promovendo (da parte di comuni e provincie ) e finanziando progetti e idee si possa valorizzare il nostro territorio . TI faccio degli esempi: sono stato 2 giorni alle 5 terre, percorrendo a piedi tutto il percorso sul mare notavo come questa gente , malgrado pendii molto ripidi sia riuscita a trasformare un pezzo di territorio apparentemente inutilizzabile in attività come viticoltura e coltivazione di olivi facendone l'attività primaria insieme al turismo compatibile . Domanda o noi cosa manca per poterlo fare sulle nostre colline che guardano il mare ? secondo me nulla ,solo voglia , intraprendenza, passione e lo stimolo delle istituzioni . un abbraccio a presto
Enrico Serena
Paoli è pessimista perchè non tiene conto che per la promozione del ns. terrtorio (Livorno) operano (tanto per dare alcuni esempi):
SPIL
BIC
Sviluppo Livorno
Tre poli tecnologici
InterportoLEM
e che la Toscana dedica al ns. territorio parte dell'attività di altri enti dal Portale Toscana in su.
Insomma un esercito di persone "qualificate" che prendono lo stipendio o gettoni di presenza per aiutarci. Le cose cambieranno sicuramente. O no?
Nino Bonsignori
Condivido ma di parole non ne posso più: fate o facciamo qualcosa che non siano sempre parole e soprattutto compromessi ripeto basta Di Petro compreso.Massimo salvaci perchè a questo punto solo tu lo puoi fare!
redelfiore
Bell'analisi di Paoli.La risposta alla crisi è di tipo settoriale e comunque interamente ascrivibile all'intervento istituzionale.Sono vecchi metodi di natura difensiva che non responsabilizzano l'imprenditore rendendolo l'autentico pace maker dell'intervento senza obblighi significativi nei confronti del mercato e delle parti in causa.Si tampona oggi in attesa della dismissione di domani.Un partenariato sciolto da qualsiasi vincolo e non rispettoso della norma amministrativa condanna la politica (che dovrebbe programmare)ad un ruolo furbesco e subalterno.Difficile ora come ora invertire la tendenza.
sequenze

domenica 3 agosto 2008

sabato 2 agosto 2008

Declino, si fa presto a dire declino!

MASSIMO PAOLI
Declino, si fa presto a dire declino! Ma lo vedi, è tutto intorno a te, lo puoi toccare e ha persino un odore, quello del fritto delle feste che servono a dimenticarlo per un po’, ad esorcizzarlo temporaneamente e consentirci di far come gli struzzi, cacciare la testa sotto la sabbia … sotto al fritto misto, in realtà.
Messa sotto pressione la struttura economico-produttiva, come ogni altra, scricchiola, i suoi avvertimenti sono lunghe lamentose cacofonie. L’impresa tal dei tali venuta qui molti anni fa chiude, un'altra si salva per miracolo, ma poi risulta che è stata venduta ad un’altra impresa ancora, così che da primo fornitore ad un certo punto della filiera diventa un fornitore come gli altri (lungi dall’essere più il “primo” o addirittura è divenuta di fatto un subfornitore). Oppure, come titoli di giornale: salvati 70 posti di lavoro (Trelleborg), passati da Siemens a Continental altri 700, salvati 60mila contenitori (è il caso MSC di qualche mese fa), riformulata l’operazione Rossignolo, salvata la riparazione in porto (per queste ultime due situazione ancora non si può dire, ma magari si dirà), speriamo di non dover dire anche salvati i quasi 800 (tra diretti e no) posti di lavoro Eni, insomma …. salvata, …. deviata in corner, …. rinviata in tribuna….. declino.
Abbiamo detto che è stato soft, e che lo è ancora. Ma la rete si destruttura, la maglia che salta viene rattoppata, e così si avanti per un po’, ma maglia dopo maglia la rete si indebolisce, tutti i sistemi complessi hanno punti di rottura catastrofici. Quale sarà il punto di non ritorno del nostro sistema areale? Per fortuna quegli stessi sistemi complessi sono “resilienti” e ciò vuol dire che resistono come pochi altri alle “deformazioni”, sicché potrebbe essere ancora lontano il momento del brutto risveglio di un giorno che speriamo non venga mai.
Ma allora abbiamo la possibilità per evitare del tutto che quel giorno si presenti!
All’inizio degli anni ’90 si è tentato di proporre a questo territorio, così provato da una deindustrializzazione allora anche più feroce di quella di oggi, se non altro perché l’area aveva 25mila bocche da sfamare in più (tutta gente che, è doloroso e buffo dirlo, ci ha fatto il regalo di andarsene assieme agli insediamenti produttivi perduti), una politica molto costosa e complessa ma di grande successo dovunque sia stata utilizzata al meglio (dal Galles alla Scozia, passando per l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e la Germania dell’est appena annessa, giusto per rimanere solo in Europa). Quella politica si chiama “marketing per l’attrazione di investimenti esogeni”.
Marketing per attrarre investitori e investimenti cioè imprese non autoctone che nella logica della mondializzazione dell’apparato logistico-produttivo trovassero quest’area, la nostra, attraente e conveniente, al punto da installarvi un’unità logistica o produttiva (o logistico-produttiva).
Non so perché, ma quella parola, marketing, un po’ come titola un riuscito programma di parodia televisiva, non la si è voluta, potuta, o forse saputa interpretare per bene (siamo gli unici al mondo e qui parlo come paese, a non saper fare un filo di marketing per l’attrazione, e i dati sugli investimenti in Italia poi ce lo confermano).
Quel concetto, marketing, si è inesorabilmente trasformata nella sua versione nazional-politico-popolare: markette (e speriamo che Chiambretti non voglia i diritti di autore).
E ciò significa che qualche investitore è venuto, anzi importanti imprese hanno investito nell’area, ma perché questa è di per sé conveniente. Noi però, non li abbiamo scelti, non abbiamo negoziato con loro il futuro e abbiamo fatto anche meno per radicarli. Non è ancora troppo tardi per riprendere le redini di quella politica, bisogna coinvolgere pesantemente la Regione Toscana, che deve rendersi conto che se è vero che l’attrazione di investimenti forse non è urgente per la Toscana centrale dei distretti, è profondamente vero che è invece una politica urgente per la Toscana della costa.
Chi ci prova a farglielo capire?

Il Pd sposta al 15 ottobre la scelta se candidarsi

La Repubblica29-07-08,
sezione FIRENZE

ERNESTO FERRARA
Primarie, il Pd toscano sposta di un mese l' inizio della raccolta di firme per chi vorrà candidarsi: non più il 15 ottobre, come nel regolamento nazionale, ma il 15 novembre. Lo ha deciso ieri all' unanimità la direzione regionale del partito, anche se a ratificare la scelta dovrà essere la costituente regionale convocata per il 6 settembre. è il modo di anteporre alla bagarre delle primarie (nel 2009 si vota in 218 su 280 comuni toscani) la conferenza programmatica del partito, il 7 e l' 8 novembre prossimi: sarà quella, nelle intenzioni del segretario regionale Andrea Manciulli, l' occasione per discutere una piattaforma di ampio respiro, sulla cui base affrontare due anni di battaglie, prima le comunali, le provinciali e le europee, poi le regionali nel 2010. Slitta di un mese anche il termine per chi vuole candidarsi e oggi occupa un ruolo istituzionale alla guida di comuni, province o regioni: il giorno x per rendere pubblica la scelta di scendere in campo sarà il 15 ottobre e non più il 15 settembre. è il caso del presidente della Provincia di Firenze Matteo Renzi, che non nasconde di coltivare ambizioni a candidato sindaco. Avrà un mese in più per sciogliere il nodo. Ma lo avranno anche i suoi possibili concorrenti - da Lapo Pistelli a Daniela Lastri ad Achille Serra - che non guidano enti o istituzioni. La conferenza programmatica di novembre sarà preceduta anche, a fine settembre, da una grande giornata di ascolto del mondo del sapere e della cultura. Sarà poi individuata una data unica (probabilmente nella prima metà di gennaio) in cui svolgere le elezioni primarie in tutta la Toscana, un "election day". Forza Italia intanto ribadisce il suo no alle primarie: «Benvenga un intervento da Roma sulla scelta delle candidature».