mercoledì 19 dicembre 2007

IL MANIFESTO POLITICO DI WALTER


Intervista con Veltroni di Giuliano Ferrara - Il Foglio
Roma. Su una poltroncina gialla nell’anticamera del suo ufficio da sindaco, al primo piano del Campidoglio, Walter Veltroni discute con il Foglio per un’ora di cosa intende quando parla di rottura (rupture) democratica. In una delle settimane più importanti per il governo di Prodi, per il Partito democratico e per il destino dell’asse tra il Cav. e W (Cav + W), Veltroni usa parole nuove per definire il suo rapporto tra religione e politica, dà un’interessante interpretazione della guerra in Iraq (che anche Donald Rumsfeld, probabilmente, condividerebbe), dice qualcosa di nuovo su Romano Prodi, su Silvio Berlusconi, sulla Prima Repubblica, su Tangentopoli, sui Pacs, sui Cus, sulla maggioranza, sul fund raising e anche su Alitalia (“La cosa che mi piacerebbe di più è che le proposte di Air France e Air One si incrociassero. Per garantire la forza di un soggetto come Air France e la forza di un soggetto finanziario come banca Intesa, e al tempo stesso però il radicamento nel paese di una compagnia nazionale. Conta l’offerta che viene fatta, contano le strategie industriali, conta sapere per il paese che esito avrà la sua compagnia nazionale”). Entrando nel cuore della sua idea di Partito democratico (la cui vocazione maggioritaria più che a Botteghe Oscure si ispira sempre di più alla filosofia senza tessera e senza congressi dei democrat americani), Veltroni parla in un modo nuovo anche di referendum elettorale: quel referendum fino a ieri “sostenuto ma non firmato” e su cui oggi, invece, Veltroni ammette che, a certe condizioni, potrebbe dire di sì: intravedendo una possibile tutela della “vocazione maggioritaria” nel testo su cui la Consulta darà un giudizio di costituzionalità entro la metà di gennaio.
Due mesi fa tre milioni di elettori scelsero W come leader del Pd; due settimane fa, al quinto piano del palazzo dei gruppi parlamentari, W ha incontrato il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi; tra poche settimane Romano Prodi dovrà affrontare quella verifica di governo di cui sabato Veltroni ha parlato con Romano Prodi: tra un’intervista alle 9.15, un matrimonio celebrato alle 11.30 e un compleanno centenario festeggiato alle 10.30 a casa della signora Broccolo. Quello che parla con il Foglio è un Veltroni un po’ meno spagnolo, sempre meno tedesco, molto americano ma pure un po’ francese. E’ un Veltroni che fa un paio di assist al Cav., che rilegge in modo curioso un aspetto dello strappo di Fausto Bertinotti con Prodi e che, quando si parla di religione e di politica, non ha nulla da ridire sulle parole di Obama (“I laici sbagliano a chiedere ai credenti che entrano in politica di lasciare da parte la religione”). W sorride leggendo la prima pagina del Foglio di sabato sui leader cristiani in corsa in America per la presidenza; e alla domanda: “Che cosa significa Cristo in politica?”, dà una risposta che farà insospettire chi crede che sia “molto difficile essere laici nel paese delle chiese” (Eugenio Scalfari, Repubblica 16 dicembre).
Spiega Veltroni: “Cristo in politica è giusto e legittimo che lo porti chi ha Cristo dentro di sé. E che lo porti e non lo lasci a casa. L’idea che qualche volta la politica ha avuto anzi, che spesso la politica ha, fa parte di una visione del mondo che io non condivido: che la laicità dello stato – che io considero come un valore assolutamente indiscutibile e indisponibile – presupponga una sorta di rinuncia alle identità di ciascuno. Qui dentro però io ci vedo una delle chiavi della possibile convivenza del nuovo millennio: il tema del rapporto tra identità e dialogo. E’ un tempo, questo, in cui di fronte alla paura delle grandi trasformazioni economiche e finanziarie, e della circolazione delle persone con la loro visione del mondo e la loro religione, sembra prevalere in ciascuno l’idea di arroccarsi in una dimensione identitaria: un po’ per conforto, un po’ per rassicurazione; ma con l’idea che questo possa essere l’antidoto al processo di melting pot in corso. Tutto questo lo si può affrontare in due modi: lo si può affrontare accettandolo passivamente. Ma il rischio dell’accettazione passiva è che si finisca con il legittimare anche le forme attraverso le quali questa identità figlia di divisioni culturali, religiose, di concezioni della comunità pubblica diversa dalle nostre, si fa integralista, fino ai rischi del fondamentalismo. Oppure lo si può accettare con l’idea che l’identità non sia uno straccio. E che l’identità sia figlia della storia, delle culture, delle radici, delle ragioni e che sia un valore. Perché se è vero che è necessario il dialogo, il dialogo ha senso se ci sono tante identità. E se qualcuno afferma e difende queste identità. La grandezza della cultura politica dovrebbe essere quella di far convivere la propria identità con la disponibilità all’apertura. Qui sta l’idea del rapporto tra stato laico e punto di vista religioso”.
Veltroni ora entra nel cuore del discorso: “Personalmente non sono credente e non avrebbe senso che io fossi considerato un christian leader, anche perché esiste una sfera che è assolutamente personale che mi dà fastidio dover usare quando c’è qualcosa che è pubblico (ho visto, a proposito del rapporto tra politica e religione, trasformazioni troppo repentine determinate dalle contingenze del momento). Però vorrei che la mia idea fosse chiara: a me ha sempre culturalmente affascinato la vocazione pastorale della chiesa mentre mi piace meno quella chiesa che ogni giorno sforna prescrizioni morali di comportamento: lo considero un po’ una riduzione della grandezza della missione e della funzione della stessa chiesa. Io sono stato molto affascinato da Giovanni Paolo II, l’ho conosciuto ho avuto modo di parlare con lui diverse volte, mi piaceva enormemente la coesistenza in lui di identità e dialogo. Mi piaceva il fatto che sulle questioni che attengono alla responsabilità della chiesa lui avesse le sue posizioni, che per altro misurava con grandissima sapienza. Ma non dimentichiamolo mai è stato il Papa delle invettive contro il capitalismo egoista, è stato il Papa che ha denunciato lo strazio dell’Africa, è stato il Papa più impegnato per la pace e il dialogo tra le religioni. Ecco: a me interessa che nel Partito democratico ci siano persone che portano il punto di vista, le esperienze, la cultura religiosa con la disponibilità a incontrarle laicamente. Come dice il Dalai Lama, ‘la religione deve in qualche misura sempre essere consapevole del carattere parziale, limitato della sua funzione’”.
Manca però, nel discorso di Veltroni, un concetto chiave: la libertà di coscienza. Quella libertà che, due settimane fa, ha portato la cattolica Paola Binetti a votare “no” alla fiducia di Romano Prodi sull’emendamento che a sinistra continuano a chiamare “antiomofobico” e in realtà riguarda l’identità di genere, cioè una formula ideologica. Omofobia è una parola che Veltroni conosce bene; e che, in un certo senso, ha affrontato anche ieri in consiglio comunale, dove è stato votato un testo presentato dal consigliere della Rosa nel Pugno Gianluca Quadrana sul tema del registro delle unioni civili. Veltroni la pensa così. “Su questo argomento, a Roma, abbiamo già fatto un grandissimo passo in avanti. Mi spiego: tutto ciò che è previsto nelle politiche sociali lo diamo attraverso la residenza anagrafica, per cui se due persone risiedono anagraficamente nello stesso posto hanno la possibilità di accedervi indipendentemente dalla natura della relazione che li ha portati a vivere sotto lo stesso tetto. Ecco, penso che quello che si sta facendo in Parlamento con i Cus sia una base abbastanza giusta; cioè l’idea di avere definizione in forma privata dell’identità di relazione che c’è e che può essere diversa da quella della famiglia tradizionale, anche se io sono perché la famiglia costituzionalmente prevista sia assolutamente garantita. Però i Cus sono una buona base su cui ragionare”. E il matrimonio tra omosessuali? “I Cus sono una buona base su cui ragionare”, ripete Veltroni. Che poi aggiunge: “Non mi piace tra i cattolici, tanto quanto non mi piace tra i laici, quando si utilizzano vicende di questa delicatezza a fini simbolici. Alla mia domanda ai presentatori della proposta del registro sulle coppie di fatto, ‘cosa cambia nella vita delle coppie di fatto delle quali parliamo’ la risposta è: ‘Nulla, ma ha un valore simbolico’. Ecco, a me piacciono le cose concrete. Mi piace costituirmi parte civile con il comune quando un omosessuale viene aggredito. Mi piace dedicare una strada a un omosessuale che è stato ucciso e che è vittima dell’omofobia. Mi piacciono le cose che abbiano una loro concretezza nella vita delle persone”.

A sostegno della democrazia elevata a sistema


Con l’implosione dell’Unione Sovietica, con l’affermarsi in modo sempre più massiccio del processo di globalizzazione, in Italia le grandi forze portatrici di onestà e di conseguente elevato livello culturale, hanno annaspato alla ricerca di un sistema adeguato alla mutata temperie.
In questo vuoto di chiarezza politica, il devastante inserimento berlusconiano di anticultura verso lo Stato e le sue forme democratiche, la demolizione e ribaltamento dei valori costituzionali; l’assunzione della irresponsabilità come forma di governo e fuorviante verso le giovani generazioni, sono fattori che hanno destabilizzato e disonorato il sistema Italia sia all’interno che all’esterno del paese.
Il Partito Democratico in questo contesto di disgregazione è la più grande risposta innovativa per ricostruire buona politica, correttezza, cultura, economia, risanamento. Dall’opposizione e dalle altre forze politiche nazionali guardano a questa esperienza con attenzione e rispetto perché ne hanno capito portata e importanza; altrettanta attenzione viene dall’estero dove l’esperienza italiana fa ancora una volta scuola di laboratorio, crescita e riscatto.
Un fatto nuovo, quindi, che però sorprende coloro i quali all’interno dei vecchi partititi costituenti il PD, erano abituati a comportarsi come il sovrano che ascolta la base per saggiarne gli umori e per orientarla ma alla fine è lui che decide quali sono i suoi cortigiani o consiglieri e anche i suoi successori. Con il PD cambia tutto, anche al suo interno, rispetto alle esperienze maturarate in precendenza nei partiti suoi costituenti. Il termine democrazia diviene sostantivo e non orpello.
Pertanto anche nel PD il Re resta nudo. E disarmato. La democrazia sta vincendo e re diviene il popolo, il cittadino, il militante. Il Partito sarà più forte, i suoi ricambi più giovani, moderni, condivisi e più stimati
Nel secolo breve le grandi masse avevano bisogno di riscattarsi dalla miseria più profonda. Una chiesa e un Dio da una parte per farla sopportare senza rivolte; un’ideale e un’altra chiesa dall’altra per riscattare il diritto a una miglior vita terrena. Entrambe regni di chi, fattosi prete, acquisiva il diritto di regnare e di scalarne i livelli massimi. L’obiettivo era chiaro e le lotte erano intestine. Da sempre i gruppi più scaltri, aggressivi, meno scrupolosi, hanno sopraffatto gli altri, quelli più idealisti, fiduciosi e scrupolosi.
I nuovi termini di confronto e di scontro hanno bisogno di dirigenti eletti per fare politica, della quale davvero, debbono poi rispondere ai cittadini e militanti del PD. Risponderenno dovutamente attraverso le primarie con voto segreto. Compiti nuovi quindi: dove il dirigente anzichè occupato a garantirsi sostenitori e successori farà politica formando anche nuovi quadri che poi sarà l’elettore a deciderne ruolo e apprezzamento.
Marzino Macchi

venerdì 7 dicembre 2007

Diario del Partito Democratico

La rubrica di Claudio Frontera

LUCI E OMBRE DELL'AVVIO DEL PD

Molte più le luci di questo atteso inizio del Pd, ma alle ombre, per quanto minime, è sempre buon metodo prestare grande attenzione.
Dunque parliamo prima del grande impatto positivo, e vediamo i risultati del PD in un mese e mezzo dalle primarie del 14 Ottobre:

  • ha restituito credibilità alla politica, che si trovava sotto botta per la campagna sulla “casta” e gli attacchi di Grillo e Confindustria e indebolita per la delusione del popolo di centrosinistra nei confronti del governo Prodi;
  • ha rimesso in movimento la partita essenziale delle riforme istituzionali ed elettorale, necessarie a ricreare in modo stabile un circuito di fiducia tra cittadini e Stato con nuove proposte e coraggiose iniziative;
  • ha movimentato un sistema politico prigioniero delle sue stesse rigidità, provocando, con la forza della novità e della rottura degli schemi, il collasso della Casa delle Libertà, oggi alla ricerca di n nuovo assetto e divisa al suo interno, nonché nuovi processi di aggregazione delle forze più piccole, sia a sinistra che al centro;
  • ha conquistato e consolidato un’immagine di forte innovazione nel panorama politico italiano, sia per quanto riguarda il rinnovamento generazionale che per quanto riguarda la parità di genere, vera svolta storica della politica italiana, nella quale, con la nascita di un PD con organismi costituenti composti con equilibrio di genere, per la prima volta le donne sono pienamente protagoniste ;
  • si è avviato nel modo giusto, a partire dalla scelta di un simbolo bello, efficace e significativo, un processo costituente che è anche costruzione e radicamento di un vero partito capace di innovare, ma per svolgere fino in fondo il ruolo che la Costituzione repubblicana assegna ai partiti politici, quali organizzatori fondamentali della vita democratica nazionale e locale.

Molto meno rilevanti, ma da non sottovalutare, gli aspetti su cui agire per prevenire difficoltà e problemi:

durante la fase costituente, fatta di organismi provvisori, processi e percorsi, i vecchi partiti Ds e Margherita non ci sono più e il Pd trova oggettive difficoltà ad essere in campo sul territorio, sulle cose che interessano i cittadini, come il lavoro, il futuro del Welfare, la sicurezza, la qualità della vita delle città, ecc. con proposte e iniziative. Nel frattempo, però la politica non si ferma, a livello nazionale, regionale e locale. Quali e dove sono le opportunità di schierare il Pd, per quanto provvisorio nei suoi assetti, sui problemi di cui ogni giorno si parla. Spetta evidentemente ai coordinatori e ai coordinamenti ad ogni livello l’impegnativo compito di coinvolgere il nuovo partito sulle cose reali, aiutandolo a discutere. Chi non vuole un forte PD non lo contrasta direttamente, dopo il risultato imponente di partecipazione del 14 Ottobre, ma può essere tentato di svuotarlo e delegittimarlo, escludendolo dalle decisioni concrete. C’è il rischio di una confusa fase fatta di discussioni aeree sui massimi sistemi, forum tematici senza coordinamento, riunioni senza conclusioni, ecc Alla fine un simile processo porterà probabilmente alla nascita di un nuovo soggetto politico, con un’identità e una cultura frutto di un lungo processo di maturazione. Alla lunga, è probabile. Ma il futuro dell’Italia si decide a breve termine, per la crisi evidente di un assetto politico e di governo fondato su una maggioranza limitata e profondamente divisa e il PD rischia di trovarsi, suo malgrado, alla finestra. Lo stesso dicasi per i livelli locali, dovunque caratterizzati, in maniera diversa e diversamente intensa, da riorganizzazioni e ridefinizioni di alleanze e priorità. E’ urgente che il PD sia in campo, ogni giorno, come la gente che ha votato il 14 ottobre si aspetta.

Claudio Frontera,
costituente regionale

DIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO

LA RUBRICA DI CLAUDIO FRONTERA
MANIFESTO PROGRAMMATICO DEL PD TOSCANO.
L’Assemblea costituente regionale del PD ha deciso, in attuazione del dispositivo nazionale, tra l’altro, anche di avviare il percorso per costruire un documento politico regionale, da approvare da parte della stessa assemblea costituente regionale secondo modi e tempi espressamente previsti, dotandosi, a tale scopo, di una Commissione regionale, incaricata del compito di redigere il testo da sottoporre all’assemblea per l’approvazione.
La Commissione si è riunita per la prima volta il 4 dicembre 2007 a Firenze. Ha eletto un Presidente e una Relatrice, nelle persone di Michele Gesualdi e di Stella Targetti e ha sviluppato una prima riflessione su metodo di lavoro e finalità del documento, che è stato chiaramente denominato dalla Costituente Regionale, come “Manifesto Programmatico del Pd Toscano”.
Essendo stato chiamato a far parte della Commissione, mi sono interrogato sugli obiettivi attesi del lavoro della Commissione stessa, partendo proprio dalle coordinate salienti del documento da elaborare contenute nel suo titolo e ho proposto al dibattito una mia riflessione, volutamente schematica, basata sull’analisi puntuale delle caratteristiche del documento, desunte dal titolo.
Punto per punto:

1) Manifesto: Questo primo termine significa, con tutta evidenza, che quello di cui c’è bisogno, è un documento breve ed efficace. L’efficacia di un prodotto si misura in rapporto allo scopo del suo uso. In questo caso lo scopo non può essere più chiaro: il documento deve essere utile per comunicare, comunicare idee-forza capaci di entrare in relazione con i tanti elettori del 14 ottobre e con l’intera opinione pubblica. Pertanto, deve saper comunicare. Il “concetto-base” del documento, la sua impostazione, il suo sviluppo, devono puntare alla sintesi, alla chiarezza, alla conquista dell’attenzione e del consenso. Non deve essere una summa, un inventario, un’enciclopedia e nemmeno un proclama, un elenco di “occorre”, un libro dei desideri.

2)Programmatico: un elaborato di proposte, di strategie, di priorità, di traguardi, di obiettivi, ma anche di metodi, strumenti, mezzi, procedure per realizzarli. Quindi, mi sembra chiaro, una cosa ben diversa da una carta dei valori. In una parola, un documento di governo, coerente, chiaramente identificabile con finalità riconoscibili e condivisibili. Non deve essere un ecumenico insieme di propositi tra loro non conciliabili, un imponente e dettagliato documentone, e nemmeno un generico decalogo buono per tutti gli usi. Si deve poter leggere chiaramente, in esso, una cultura riformista in campo; una cultura riformista di tipo nuovo, non semplicemente pragmatica, né inutilmente retorica, capace di prendere le distanze dalla politica degli annunci e di saper vedere le criticità, anche nel buon governo, dove è necessario..

3) del PD: c’è bisogno di un documento in cui si rispecchi non l’‘identità, concetto statico, vecchio, fatalmente tendente a cristallizzarsi in un’ideologia –e non ce n’è bisogno. Quella che si deve rispecchiare nel manifesto è piuttosto la volontà di un partito di tipo nuovo, aperto alla partecipazione degli elettori e dei cittadini, di essere e non solo di “voler essere” maggioritario. Ossia capace di proporre sintesi avanzate e provvisorie, cioè in progress, sulle problematiche più sentite, tali da raccogliere ampio consenso e, in pari tempo, capaci di innovare profondamente. Abbiamo visto significativi esempi in campo di questo modo di essere partito-tendenzialmente-maggioritario, con gli interventi di Veltroni su sicurezza, riforme istituzionali, fisco. Seguiamone la traccia.

4) toscano : si deve certamente tener conto del quadro nazionale, ma il dato rilevante per noi è che in questa regione siamo storicamente forza di governo. Governiamo la Regione e la quasi totalità degli enti locali, in coalizioni più o meno ampie, più o meno solide, ma tutte ancorate ad un robusto riformismo moderno, europeo, capace di essere qualificato riferimento a livello nazionale ed internazionale. Il fatto è che il governo regionale opera sulla base di un Programma Regionale di Sviluppo datato 2006-2010! Siamo nel 2007 : il governo della regione non comincia oggi e nemmeno domattina. E’ quindi tutt’altro che semplice elaborare un documento programmatico in questo contesto. In che senso? Intendo dire che se il Manifesto sarà troppo generico non servirà a nulla e quindi, in un momento costituente, potrà essere persino controproducente. Se sarà troppo dettagliato non avrà molto valore di fronte a quell’imponente sistema programmatorio che è proprio della regione Toscana. Se sarà troppo conforme ai riferimenti culturali presenti nella programmazione attuale, sarà privo di quel significato innovativo che ci si attende. Se sarà troppo “novista” rischia di essere frainteso. Occorre dunque molto equilibrio, ma anche molta fantasia, coraggio e disponibilità a pensare in modo nuovo per fare qualcosa di veramente utile. Non sarà facile, ma sono certo che faremo un buon lavoro.
Claudio Frontera
costituente regionale

giovedì 6 dicembre 2007

PD, primarie per eleggere i delegati


L'UNITA'

6/11/07
Domani il segretario Veltroni apre a Firenze la campagna di costruzione del partito
Sonia Renzini
SARÀ la base del partito democratico a scegliere i delegati che voteranno i segretari provinciali e comunali. Secondo un sistema ormai collaudato: primarie all'americana all'insegna delle pari opportunità. Perché, i votanti dovranno necessariamente eleggere un uomo e una donna, o la scheda sarà considerata nulla. C'è di più. Chiunque potrà autocandidarsi senza alcuna necessità
di raccogliere firme per la presentazione. Lo ha annunciato ieri il segretario regionale del Pd Andrea Manciulli insieme alla vice Caterina Bini e Antonello Giacomelli dell'esecutivo nazionale.
L'occasione, la campagna nazionale per la costruzione del Pd Walter Veltroni che partirà ufficialmente domani da Firenze con il segretario Walter Veltroni (al Palazzo dei congressi alle 21). «11 nostro obiettivo è arrivare in due mesi ad avere i primi rappresentanti territoriali del partito - dice Manciulli - nascerà un luogo del Pd in ogni comune e in ogni quartiere. Vogliamo una casa collettiva che ognuno deve avere a disposizione, per questo saremo presenti anche con i gazebo nelle piazze». 11 regolamento, approvato dal coordinamento regionale il 29 novembre,
prevede che tutti i cittadini che hanno votato per le primarie del 14 ottobre possano richiedere
e ricevere il certificato di"fondatore del Pd", dopodiché potranno partecipare alle assemblee
dei circoli di base. In realtà, il certificato potrà essere richiesto anche da chi il 14 ottobre non ha votato, basterà che si rivolga agli uffici tecnici amministrativi provinciali non oltre il giorno precedente allo svolgimento della propria assemblea. «La volontà di recuperare la partecipazione anche di chi non ha votato il 14 ottobre è un'intuizione toscana - dice Giacomelli - e fa parte di un modello che viene discusso attentamente a livello nazionale».

A chi riceve il certificatoverràchiesto un contributo volontario per finanziare la fase costituente
del Pd sul territorio. I fondatori saranno poi chiamati a partecipare alle assemblee dei rispettivi
circoli di base, convocate tra il 12 dicembre e il 31 gennaio dai coordinatori territoriali provvisori eletti lo scorso 24 novembre. Durante le assemblee dei circoli verranno eletti i delegati di quelle comunali e territoriali. Chi vorrà, potrà presentare la propria autocandidatura a delegato agli uffici tecnico-amministrativi provinciali o all'inizio dei lavori dell'assemblea del circolo. Due le schede che saranno ricevute da ogni "fondatore": una per l'elezione dei delegati all'assemblea comunale e una per votare quelli dell'assemblea territoriale. I delegati eletti si riuniranno dopodiché, insieme agli eletti delle primarie del 14 ottobre, entro il 10 febbraio per eleggere il coordinatore di circolo e il segretario comunale. Prevista, invece, entro il 24 febbraio la conclusione dei lavori per l'elezione del segretario provinciale. «Ciò che vogliamo è un partito aperto aicittadini», conclude Manciulli.

lunedì 3 dicembre 2007

La casta partitica non molla il potere

La Repubblica
3 dicembre 2007, pag. 19
di Mario Pirani
Avvertenza per il letto­re: questo è un pezzo sul potere partitocra­tico. Se si parla del di­segno di legge che ha per titolo "Interventi per la qualità e la si­curezza del Servizio sanitario nazionale", approvato dal Consiglio dei ministri, è solo perché lo assumiamo come parametro tipico dell'invadenza della nomenklatura. Ricordo ai lettori che Repubblica ha condotto su questo punto una lunga batta­glia senza successo per ottene­re misure che sbarrassero la ge­stione ospedaliera al potere politico.
Se su quest'ultimo, infatti, ri­cade su scala nazionale e regio­nale il compito di elaborare e fissare le linee guida della politica sanitaria e di quant'altro at­tiene alle strategie per attuarla, questo stesso potere dovrebbe arrestarsi laddove subentra la cura e l'assistenza diretta ai pazienti, soggette, se mai, al filtro tecnico delle indispensabili strutture di verifica e controllo. Figura di raccordo fra i due pia­ni è il direttore generale. A que­sto schema dovrebbero corrispondere criteri di nomina coerenti: i direttori generali, pur es­sendo naturalmente il braccio operativo del governo regionale, andrebbero selezionati in base ad acclarate competenze professionali ma le defatiganti trattative sulla suddivisioni di questi posti tra le varie correnti della maggioranza di volta in volta in auge e la drastica sosti­tuzione di buoni e cattivi senza differenza, quando subentra un'altra maggioranza, com­provano che il criterio è un al­tro: quello della affidabilità e appartenenza politica. Pazien­za se i guasti si fermassero qui e i medici fossero salvaguardati da simile servaggio. Non è così e su queste colonne l'ho raccontato più volte, fino a stanca­re me e i lettori, con molti esem­pie giuste proteste. I primari dei vari reparti o dirigenti di II livel­lo (e, ancor peggio i "primarietti") vengono designati dai direttori generali e così anche i primari, ancor prima di dimo­strare le loro specifiche compe­tenze professionali, sono og­getto di un mercato dove so­vente la presunta affidabilità politica soverchia un curriculum eccellente. Ho detto «pre­sunta» affidabilità perché assai spesso un medico politicamente neutrale deve, se c'è una selezione in vista, cercarsi affanno­samente una qualche sponso­rizzazione partitica per gareggiare con qualche possibilità di successo. Quando ascese al go­verno Prodi ci si attese una svol­ta, anche per il gran parlare che si fece sulla trasparenza, il me­rito, le qualità di eccellenza che andavano raggiunte per far ri­salire l'Italia. Italianieuropei, la fondazione di D'Alema e Ama­to, organizzò tre seminari sulla Sanità dove venne esplicita­mente discussa la proposta, illustrata su Repubblica, per il varo di un sistema concorsuale severissimo per i primari, con esclusione assoluta di qualsiasi ingerenza dei direttori genera­li, ed esito certificato da classi­fiche inderogabili e da giurie qualificate estratte a sorte su scala nazionale. Molte discus­sioni, anche private, ebbero luogo con Livia Turco che si di­chiarò convintissima (non cre­do di svelare un segreto) essere questo l'unico metodo per evitare l'influenza partitica nelle nomine. Non celò, peraltro, qualche preoccupazione per la resistenza delle regioni, in par­ticolare le "rosse" Emilia e To­scana che, dietro l'avallo di una indubbia efficienza, pretende­vano che la legge non scalfisse i poteri di nomina attribuiti ai direttori. Ne è uscita una proce­dura bizantina: la giuria è di cinque membri (di cui uno nominato dal direttore generale) e gli altri quattro scelti (sempre sotto controllo del direttore ge­nerale) fra una rosa di otto pri­mari sorteggiati in ambito re­gionale (perché non naziona­le?). I criteri di valutazione dei concorrenti restano estrema­mente generici. Dopo di che fra tre candidati prescelti senza classifica, sarà sempre il diret­tore generale a decidere. Tanto valeva lasciar le cose come stanno. Quanto al resto della legge vi sono alcune innovazio­ni positive come l'estensione della formazione degli specializzandi agli ospedali e non solo ai policlinici universitari. Assai dubbioso invece il giudizio sul­la creazione di un Sistema na­zionale di valutazione, laddove già esistono l'Agenzia naziona­le per i servizi sanitari regionali, il Siveas (Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assi­stenza sanitaria), l'Agenzia per il farmaco, ecc. Occorrerebbe un organismo tecnico indipen­dente di alta e riconosciuta qualifica, non certo un ennesi­mo ente di nomina pubblica. Resta la fievole speranza che il Parlamento modifichi in me­glio la legge. Ma la sostanziale convergenza di tutte le forze politiche nella manomissione della Sanità lascia pochi spazi.

sabato 1 dicembre 2007

RIFORME, BETTINI: INTESA POSSIBILE

MA SARA' TUTTO VERO???
ROMA - L’ultimo giorno da senatore di Goffredo Bettini ricomincia con una messe di riconoscimenti nell’aula di palazzo Madama. I capigruppo dell’opposizione Schifani, Matteoli, Castelli, Storace hanno apprezzata tutti la scelta di Bettini di lasciare il seggio senatoriale per dedicarsi alla costruzione de1 Pd. In un Paese dove normalmente gli incarichi si tende ad accumularli, Bettini è andato in controtendenza, “finalmente qualcuno che invece di tre mestieri ne fa uno hanno detto”.
Venerdi ci sarà l'incontro con Berlusconi: che cosa vi aspettate?
“Veltroni e il Pd sono riusciti a rimettere in moto il sistema politico. Arriviamo a questo incontro dopo aver visto tutti gli altri, ma è chiaro che quello con Berlusconi assume un risalto particolare. Sarebbe un fatto molto importante, inutile negarlo, se sulla legge elettorale si verificasse una convergenza”. Berlusconi dice di preferire il sistema spagnolo.
“Sono prese di posizione dalle quali si capisce che i punti di convergenza con la nostra pro- posta possono essere molti. 1l cosiddetto Vassallum da noi avanzato, un proporzionale moderatamente corretto in senso maggioritario, è in grado di dare un vantaggio alle forze più grandi e di semplificare il quadro politico”.
II leader dell’opposizione parla anche di riforma dei regolamenti. Berlusconi dice di preferire ilsistema spagnolo.
“E' un altro passo avanti in direzione di quel che Veltroni sostiene: aprire una stagione complessiva di riforme”.
E se poi il. Cavaliere vi chiede la data delle elezioni?
“Questo è un tema neanche lontanamente trattabile. Il governo Prodi pur con tutte le difficoltà sta lavorando bene, recupera persino consensi. Berlusconi che ha intelligenza politica sa che quella de1 governo è un'altra partita rispetto agli incontri sulle riforme”.
Un governo istituzionale non favorirebbe l’intesa?
“Per noi c'è Prodi fino alla fine de1 suo mandato”.
Non è peregrina però la tesi di chi dice fatta la nuova legge elettorale si vota. “Consumata la fase delle riforme che riguarda legge elettorale e modifiche istituzionali, una fase che presumibilmente occuperà molti mesi di lavoro, verificheremo se le forze che sostengono Prodi giudicheranno esaurita o meno l'esperienza del governo. Ma certamente a quel punto le elezioni non avrebbero un carattere traumatico”.
Ma il Vassallum non è che favorisca l a nascita di un centro. I Pezzotta, i Tabacci li ammazzate politicamente nella culla?
“Ma perchè dovremmo favorire la formazione di un nuovo centro che condiziona e sceglie ogni volta chi tra i due grandi partiti dovrà governare? Il Pd nasce anche per raccogliere le forze moderate e cattoliche che non scelgono la destra.. Non possiamo ridurre questa nostra ambizione. Altrimenti il Pd diventerebbe una “Cosa 4”, e noi non la vogliamo.Il messaggio ai Pezzotta e Tabacci è che il Pd è una cosa totalmente nuova e democratica un partito the ha dentro enormi spazi anche per loro e per la cultura e la storia the rappresentano”.
C’è sempre il referendum, sullo sfondo.
“ll referendum è meglio dell’attuale legge elettorale, ma è il massimo della contraddizione rispetto al progetto de1 Pd e anche, a quel che vedo, de1nuovo partito di Berlusconi: favorisce le ammucchiate coatte, quando noi aspiriamo invece ad alleanze più omogenee e in grado di raccogliere consenso maggioritario”.
Veniamo al Pd: lo convocherete il congresso?
“In poco più di un mese il Pd ha svolto una attività impressionante: abbiamo nominate un esecutivo con tante donne; sono stati insediati i segretari regionali con i coordinamenti; sono stati eletti i coordinatori provinciali; è stata aperta la sede nazionale; è stato presentato il nuovo simbolo. Ci apprestiamo ora ad aprire ottomila circoli in tutt’Italia per impiantare il partito tra i cittadini. Stiamo discutendo in tre apposite e ampie commissioni la nostra carta dei valori, il codice etico e lo statuto. E' ovvio che dopo questa fase costituente ci sarà un congresso. Ma non sarà un appuntamento simile a quelli che ci stanno alle spalle, modalità, tempi e forme le striamo discutendo nella commissione statuto. Per tutto questo ritengo assurdo, fuori tempo e fuori luogo, l’odg che alcuni hanno presentato per um congresso subito. Volevano l’uovo prima di aver fatto crescere la gallina”.
E delle polemiche su alcune nomine interne e de1 tesoriere Sposetti che non vuole dare soldi a Veltroni, che dice?
“Tutti devono cominciare a entrare nell’ottica del nuovo partito. Ci dobbiamo abituare a non considerarci piu degli ex di qualcosa. La polemica verso Follini è ingiustamente velenosa, Follini è autorevolissimo e bravo, oggi è un dirigente de1Pd. Se ci mettessimo a fare reciproci esami de1 sangue, ognuno dovrebbe continuamente rendere conto de1 proprio passato. Anche le esternazioni di Sposetti sono fuori luogo. Da l’impressione di trattare le risorse dei Ds come se fossero sue. Ripetere che egli non darà un soldo al Pd, alla fine acquista un significato politico inquietante: come a dire, davanti a un eventuale fallimento de1 Pd, rimane sempre in piedi una alternativa politica con ingenti finanziamenti".
Organismi dirigenti
Commissioni