sabato 29 settembre 2007

SILLABARIO

SOCIETÀ CIVILE

JüRGEN HABERMAS
La società civile è composta da quelle associazioni e movimenti che più o meno spontaneamente intercettano e intensificano la risonanza suscitata nelle sfere private di vita dalle situazioni sociali problematiche, per poi trasmettere questa risonanza, amplificata, alla sfera politica. Il nucleo della società civile è costituito da una rete associativa che istituzionalizza - nel quadro d´una "messa in scena" di sfere pubbliche - discorsi miranti a risolvere questioni d´interesse generale...
Una vitale società civile può svilupparsi solo nel contesto di una cultura politica liberale, nonché su una base di un´intatta sfera privata. Essa può dunque fiorire solo in un mondo di vita già razionalizzato. In caso diverso sorgono dei movimenti populistici che difendono alla cieca le tradizioni ossificate d´un modo di vita minacciato dalla modernizzazione capitalistica.

Marshall McLuhan

La tendenza in politica sarà di allontanarsi dalla delega conferita agli eletti, per avvicinarsi a un coinvolgimento diretto della collettività nelle decisioni di governo

Ralf Dahrendorf

Il termine "società civile" (civil society) è più suggestivo che preciso. Esso fa pensare a individui che intrattengono fra loro rapporti improntati a civiltà

Zygmunt Bauman

La società civile rende la libertà individuale sicura: in quanto nella vita quotidiana non rappresenta più un problema, ma viene presa per acquisita

Norberto Bobbio

La società civile rappresenta il luogo dove si svolgono, specie nei periodi di crisi istituzionale, i processi di delegittimazione e di rilegittimazione

giovedì 27 settembre 2007

L´amaca

GIOVEDÌ, 27 SETTEMBRE 2007
La Repubblica
MICHELE SERRA
Fare i conti nelle tasche degli altri. E farli tignosamente, con rabbia e con il dito puntato, farli al centesimo e farli in pubblico, tu guadagni più di me, tu spendi troppo, tu mi costi un sacco, tu sprechi, tu pesi sul mio bilancio, vergognati tu, no vergognati tu….
E´ questa la politica? Questa schifosa contabilità, questa dittatura della convenienza, questo parlare solo di quattrini? Neanche Marx, che pure metteva la durezza dell´economia al centro di ogni cosa, e se la rideva delle bellurie idealiste, poteva prevedere che ci saremmo ridotti così. Non si parla d´altro, nell´Italia di queste settimane. Di qualunque cosa o persona ci si chiede "quanto costa?", di chiunque si sospetta che intaschi prebende immeritate, che scrocchi qualcosa, che sia parassita di qualcun altro. Capita perfino che la onesta e austera senatrice Menapace, una vita in autobus, l´esatto contrario della "casta" (la casta! la casta! la casta!), finisca sotto accusa per un volo di Stato per conto della Commissione parlamentare di cui è presidente. Menapace sul banco degli spreconi o dei furbi è un paradosso e pure un segnale d´allarme. Vuol dire che, in questa ennesima notte della Repubblica, tutti i gatti sono bigi. E nel gran fracasso i veri disonesti, i veri ladri, i veri arroganti godono. Grazie alla confusione, aumenta di parecchio la loro speranza di eterna impunità.

Antipolitica, per chi suona la campana

La Repubblica del 27 settembre 2007,
di Ezio Mauro

C'è qualcosa di impopolare e tuttavia necessario da dire ancora sull'assalto dell'antipolitica al cielo italiano di questo sgangherato 2007. Niente di ciò che sta avvenendo sarebbe possibile se sotto la crosta sottile di questa crisi dei partiti che diventa crisi di rappresentanza, si allarga alle istituzioni, corrode il discorso pubblico, non ci fosse un'altra crisi ben più profonda che continuiamo a ignorare perché non la vogliamo vedere. E' la decadenza del Paese, l'indebolimento della coscienza di sé e della percezione esteriore, la perdita di peso specifico e di identità culturale. Ciò che dà forma contemporanea ad un'idea dell'Italia, la custodisce aggiornandola nel passaggio delle generazioni, la testimonia nel mondo, garantendo una sostanza identitaria agli alti e bassi della politica, ai cicli dell'economia, all'autonoma rappresentazione del Paese che la cultura fa nel cinema, nella letteratura, nel teatro, nella musica, nei media o in televisione.

Se questa idea che il Paese ha di se stesso, e che il mondo ha di noi, non si fosse fiaccata fino a confondersi e smarrirsi, il sussulto di ribellione ai costi crescenti della politica, alla lottizzazione di ogni spazio pubblico con l'umiliazione del merito, all'esibizione pubblica dei privilegi avrebbe preso la strada di una spinta forzata al cambiamento e alla riforma. Non di un disincanto che si trasforma in disaffezione democratica mentre la protesta diventa una sorta di secessione dalla vita pubblica: un passaggio in una dimensione parallela - ecco il punto - dove l'idea stessa di cambiamento cede alla ribellione, e alla cattiva politica si risponde cancellando la politica e abrogando i partiti. Come se cambiare l'Italia fosse impossibile. O, peggio, inutile.

Un Paese che dedica quattro serate tv a miss Italia, riunisce una trentina di persone in un vertice di maggioranza attorno a Prodi, inventa un cartoon politico come la Brambilla per esorcizzare il problema politico della successione a Berlusconi, vede restare tranquillamente al suo posto il presidente di Mediobanca rinviato a giudizio con altri 34 per il crac Cirio, forma due partiti anche per discutere l'eredità Pavarotti e dà ogni sera al Papa uno spazio sicuro nel suo maggior telegiornale, ha la proiezione internazionale che questo triste perimetro autunnale disegna. Un'Italia in forte perdita di velocità, dove l'unico leader capace di innovazione è un manager straniero come Sergio Marchionne mentre il ceto politico è l'elemento più statico, immobile, in un sistema che perde peso e ruolo in Europa e nel mondo. Perché la moda, il Chianti e le Langhe non possono da soli sostenere e rinnovare la tradizione e l'ambizione di un Paese che non può essere soltanto l'atelier dell'Occidente, o la sua casa di riposo.

Ma se tutto questo è vero, e purtroppo lo è, l'antipolitica è soltanto una spia - e parziale - dell'indebolimento di un sentimento pubblico e di uno spirito nazionale, qualcosa che va molto al di là delle dimensione strettamente politica e istituzionale. È quel che potremmo chiamare il senso di una perdita progressiva di cittadinanza in un Paese che perde intanto ogni piattaforma identitaria comune, ogni appartenenza sicura, qualsiasi cultura di riferimento. Come può questo Paese non perdere sicurezza, coscienza, peso, capacità di rappresentare se stesso e di valorizzarsi, innovando e modernizzando?

Il "V-day", a mio giudizio, è una prova di questo impoverimento. Solitudini politiche sparse, delusioni individuali, secessioni personali si riuniscono in uno show, come se cercassero "soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche". È quella che Zygmunt Bauman chiama la comunità del talk-show, con gli idoli che sostituiscono i leader, mentre il potere dei numeri - la folla - consegna loro il carisma, capace a sua volta di trasformare gli spettatori in seguaci. Attorno, la celebrità sostituisce la fama, la notorietà vale più della stima, l'evento prende il posto della politica e trasforma i cittadini da attori a spettatori: pubblico.

Ma come si fa a non vedere che in questa atrofia del discorso politico, che cortocircuita se stesso trasformando il "vaffanculo" nella massima espressione di impegno civile dell'Italia 2007, c'è la decadenza di ogni autorità, il venir meno di ciò che si chiamava "l'onore sociale" dei servitori dello Stato, il logoramento vasto del potere nel suo senso più generale: il potere in forza della legalità, in forza "della disposizione all'obbedienza", nell'adempimento di doveri conformi a una regola.

Se è questo che è saltato, il vuoto allora riguarda tutti, non soltanto la classe politica. È l'establishment del Paese nel suo insieme che invece di sentirsi assolto dal pubblico processo al capro espiatorio politico, deve rendere conto di questo deficit complessivo di rappresentanza, di questo impoverimento del sistema-Italia, di questa secessione strisciante, dello smarrimento non solo del senso dello Stato ma anche di uno spirito repubblicano comune e condiviso. Troppo comodo partecipare al valzer dell'antipolitica dagli spalti di un capitalismo asfittico nelle sue scatole cinesi, di una finanza che cerca il comando senza il rischio, di un'industria che dello Stato conosce solo gli aiuti e mai le prerogative.

Quando la crisi è di sistema e l'indebolimento del Paese è l'unico risultato visibile ad occhio nudo, davanti alla secessione strisciante di troppi cittadini dalla cosa pubblica bisognerebbe che l'establishment italiano evitasse di contare in anticipo le monetine da lanciare contro la politica, aspettando la supplenza e sognando l'eredità. Meglio chiedersi, finché c'è tempo, per chi suona la campana.

Il PD sorprenderà e spiazzerà

24 settembre 2007
Non so quale sarà l'esito della consultazione del 14 ottobre, ma di una cosa sono certo, e la voglio dire sin d'ora perché tutti l'abbiano chiara: il PD sarà un partito che sorprenderà e spiazzerà, perché farà scelte non classificabili secondo i canoni tradizionali della politica italiana. Farà scelte sulla base della capacità delle sue decisioni di dare risposte concrete e non ideologiche alle domande reali degli italiani.
E sarà un partito pluralista, perché un grande partito è per definizione tale; ma non sarà un partito di "ex", perché dal 15 ottobre comincia un'altra storia: nasce un partito nuovo, un luogo dove ci sarà una pluralità di punti di vista, di teste, di culture, ma senza ossificazioni, senza correnti.
E a un qualsiasi ragazzo che entrerà in una sede del Partito Democratico, tanto per capirci, nessuno dovrà mai permettersi di chiedere con chi si schiera, "da che parte sta". Quella che comincerà, ripeto, è un'altra storia.
Walter Veltroni

Partecipiamo insieme per cambiare la politica

26 settembre 2007

Veltroni parlando ai sedicenni in occasione della manifestazione "C'è voglia di futuro" li ha esortati a farsi avanti in prima persona
(ANSA) - ROMA, 27 SET - "La politica quando diventa mestiere e' brutta come poche altre cose, ma se e' bella e' quella che ha cambiato il mondo. Partecipiamo la politica e partecipandola cambiamola".
Il sindaco di Roma e candidato alla guida del Pd Walter Veltroni inneggia alla buona politica per spronare i giovani di 16 anni che il 14 ottobre potranno votare alle primarie del Pd.
Veltroni denuncia i mali di certa politica, "una logica autoriproduttiva micidiale, tende a diventare una fabbrica di potere ed invece va cambiata per mostrare che il potere non e' un fine ma un mezzo necessario per fare le cose che si credono giuste".
Il sindaco di Roma, favorevole anche al voto dei sedicenni alle amministrative, ha incontrato studenti romani e di altre parti d'Italia delineando l'orizzonte del Partito nuovo. Ma non si e' sottratto dalle domande di attualita', come quella sull'antipolitica incarnata da Beppe Grillo.
"Ci sono - ha spiegato il candidato alla guida del Pd - due tipi di antipolitica. Quella che da' voce al malumore ed e'manifestazione di un malessere e poi c'e' l'antipolitica della politica perche' la politica alimenta da sola certi sentimenti: e' invasiva, onnipresente, si chiude e parla un linguaggio tutto suo, nel basket si chiama il 'tagliafuori' e per di piu' parla un linguaggio in cui non ci sono ideali e valori".
Lo sforzo del Pd e' per Veltroni "una politica lieve che ha meno voglia di occupare gli spazi dei consigli di amministrazione ed e' poi necessaria un autoriforma della politica perche' si metta fine alla logica che o e' bianco o e' nero e ad una carica di odio che non c'era neanche quando c'erano il Pc, la Dc e l'Msi".

mercoledì 26 settembre 2007

C'è un fatto nuovo nella politica italiana: la nascita del Partito
Democratico, per migliorare la politica e l'Italia.
Stare alla finestra ed aspettare ? Protestare contro le cose che non vanno
senza rimboccarsi le maniche?
C'è un'altra possibilità: essere di esempio, meritare fiducia, voglia di
esserci. Lo possiamo fare insieme

Insieme verso il Partito Democratico

incontro pubblico
Venerdì 28 alle ore 18
alla Sezione DS La Rosa

partecipano

Claudio Frontera (Comitato per WalterVeltroni)
Sergio Landi (Comitato per Enrico Letta)
Giampaolo Bitossi (Comitato per Rosy Bindi)

Desideriamo conoscere le tue opinioni

L'iniziativa è promossa dalle Associazioni

“Per il Partito Democratico”- “libertàEGUALE”-”Incontriamoci”-”Piazza
Maggiore per l'Ulivo”
che ringraziano la Sezione “la Rosa” per la cortese disponibilità

domenica 23 settembre 2007

"O siamo capaci di sconfiggere le idee contrarie con la discussione, o dobbiamo lasciarle esprimere.

Non è possibile sconfiggere le idee con la forza, perchè questo blocca il libero sviluppo dell'intelligenza"
Ernesto Che Guevara

giovedì 20 settembre 2007


A cena con
Veltroni



Venerdì 21 settembre
ore 19.30
alla Stazione Marittima
di Livorno

PARTITO DEMOCRATICO, 5 COSE DA FARE

La Repubblica del 20 settembre 2007, pag. 1
di Mario Pirani

Non prendiamoci in giro. La nascita del Partito democratico non sta maturando attraverso una "fusione calda", malgrado le speranze suscitate e che erano sembrate coagularsi in due momenti: i congressi di scioglimento di Ds -Margherita e la presentazione della candidatura Veltroni. Dopo quei passaggi ci si attendeva un rilancio che aprisse subito le porte del costituendo partito a forze sociali fin qui mortificate, a intelligenze creative fin qui messe ai margini, a spiriti liberi pronti a impegnarsi. La delusione è, per contro, palpabile. Il timore che la perigliosa iniziativa sfuggisse di mano alle due nomenclature di riferimento ha prodotto un macchinario selettivo barocco e antidemocratico. Il suo funzionamento è difficilmente comprensibile, di nessuna attrattiva, dissuasivo nei confronti di ogni desiderio di partecipazione. Lo spezzatino delle liste per circoscrizione, la duplicazione delle medesime (più di una per candidato), la designazione delle candidature ad opera di piccoli gruppi di vertice addetti alla bisogna, il rifiuto di permettere le preferenze, così da controllare e gestire rigidamente l'ordine di ogni lista dei designati, (ricalcando l'aborrita - a parole - legge elettorale vigente): questi gli aspetti salienti del marchingegno messo in piedi. Ben altro sarebbe stato l'effetto se si fosse votato in tutta Italia per i soli candidati alla leadership (Veltroni, Letta, Bindi, ecc.) attraverso un voto cui partecipassero per internet o per suffragio al seggio tutti i militanti e i simpatizzanti che lo volessero (le tecnologie computerizzate di controllo impediscono ormai le duplicazioni), versando una quota e sottoscrivendo un breve impegno di adesione. L'aver inoltre applicato alla Costituente un federalismo spinto, accompagnando all'elezione del segretario nazionale, quella dei leader regionali, oltre ad aver scatenato in ogni capoluogo una lotta personale asperrima, ha tracciato i binari di un partito localistico, prefigurando una federazione di micropotentati, di feudi di signori delle tessere e dei voti, restii a far propri i valori di una politica nazionale e ancor meno europea. Alla partizione ideologica di partenza si assommerà, così, quella regionalistica. Tutto questo potrebbe forse non incidere più che tanto se i candidati di maggior rilievo e, in primo luogo, Walter Veltroni riuscissero a svincolarsi dai lacci che lo spirito di conservazione dei partiti d'origine hanno loro imposto e che forse hanno accettato con troppa rassegnazione, subendo oggi le leggi del compromesso, per far meglio domani. Sol che questa non è una fase che consenta una lunga marcia per arrivare a medio termine a secernere sapientemente una nuova classe dirigente, capace in un prossimo futuro non meglio definito, di dirigere il nuovo partito dei riformisti, a vocazione maggioritaria, come ha detto Veltroni e, cioè, in grado di governare, scegliendo maggioranze coerenti. La fase attuale è, per contro, di rapido e rovinoso smottamento del rapporto di fiducia tra la democrazia rappresentativa e masse crescenti di cittadini, molti dei quali o sfiduciati o preda di ogni ventata demagogica e distruttiva. Potremmo attardarci ad analizzarne le cause, capire quali sono state le realizzazioni sottovalutate e gli errori non perdonati del governo Prodi (il maggiore dei quali, a mio avviso, è stato quello di sostenere ad ogni occasione che l'elettorato è destinato a capire domani, forse fra qualche anno, la giustezza delle cose di cui oggi si lamenta). Potremmo, inoltre, elencare le ancor più gravi pecche in cui sono incorsi i partiti (culminate da ultimo in un impeto suicida nell'apertura delle porte del Festival dell'Unità all'appello squadristico di Beppe Grillo per la distruzione di ogni partito presente e futuro, tranne ovviamente il suo). Qui ed ora urge, però, ben altro che acute disamine politologiche. Urge prendere atto di una situazione, confermata da tutti i sondaggi (vedi quello di Diamanti del 18 us) e descritta su queste colonne da Eugenio Scalfari con uno dei più drammatici pezzi che abbia mai concepito in tutta la sua vita e di cui sottoscrivo ogni parola ("Il popolo cerca il giudizio universale", Repubblica, 16 us). Aggiungo, però, che se oggi "c'è un crescente rifiuto di questa politica, di questi partiti, di questi uomini politici" e se gli appelli di Beppe Grillo danneggiano solo la sinistra e fanno ben contento Berlusconi "che da 15 anni fa politica in nome dell'antipolitica", ebbene questo desolante quadro è il frutto non di una mutazione antropologica che ha reso il popolo di sinistra refrattario ai valori della politica ma della delusione amarissima per il degrado etico, la pochezza, la litigiosità, l'incoerenza, la presunzione, l'arroganza, la proterva occupazione del suolo pubblico di ogni ordine, grado e qualità a cui una parte notevole dei ceti dirigenti dell'arco governativo si è lasciata andare in questi anni, senza incontrare resistenza e denuncia da parte di chi dissentiva tacendo. Questo ha sovente anche cancellato la percezione della differenza, nell'azione pratica e persino nelle parole, tra destra e sinistra. Eppur tuttavia c'è ancora una possibilità reale di riscossa. Non è affatto detto che almeno la metà degli italiani, che ha votato centro sinistra nelle ultime elezioni politiche e amministrative, sia perduta per sempre o stia passando armi e bagagli nel campo di Berlusconi e Beppe Grillo, uniti sotto spoglie diverse in un unico disegno. C'è un dato nell'ultimo sondaggio Demos-Eurisko, su cui Ilvo Diamanti si sofferma ("Repubblica" 16 settembre), che indica chiaramente uno spazio di ripresa, laddove afferma: "La candidatura di Walter Veltroni ha smosso le acque stagnanti in cui rischiava di affondare il Pd... Insieme a Fini egli appare ancora il leader politico più amato dagli italiani..... L'elettorato potenziale del Pd è molto più ampio di quello attuale. Le stime oggi gli attribuiscono poco più del 26% dei voti ma la quota di coloro che ritengono possibile votarlo è molto più ampia. Intorno al 44%. La componente dei "democratici indecisi" è costituita in larga misura (40%) da elettori incerti "se" e "per chi" votare... sulla soglia che separa speranza e delusione". Ecco, dunque, il campo dove Veltroni dovrebbe giocare la sua partita. Con rapidità, spregiudicatezza, coraggio. Affrontando la questione di fondo che lui non ha fin qui eluso ma non ne ha fatto, certo, il centro della sua campagna: la crisi attuale della politica e la necessità urgente di rifondarne il messaggio. Se quello di Beppe Grillo ha raccolto 300.000 adesioni, l'assai meno urlato Decalogo (mi scuso per la citazione) da me proposto il 24 maggio us su questo giornale ne ha raccolte 150.000. I nostri lettori, ma credo la stragrande maggioranza degli italiani al di fuori della "casta", volevano e vogliono dei segni concreti di cambiamento: 1) Un governo snello ed efficiente, di 15 ministri, di cui 7 o 8 donne e 45 sottosegretari, non di più; 2) Un taglio drastico dei privilegi e degli stipendi del pletorico ceto che vive sulla politica: più di mille parlamentari, diecine di migliaia di consiglieri regionali, comunali, provinciali, delle comunità montane e quant'altro; 3) Un disboscamento delle migliaia e migliaia di società a partecipazione pubblica, degli assessorati inutili, delle sovvenzioni clientelari; 4) La fine della lottizzazione delle cariche negli enti pubblici, nelle Asl, nei ministeri; 5) L'estromissione dei partiti dalla Rai. Basterebbe questo per rompere il clima di delusione e rassegnazione, recuperando, quanto meno, incerti e indecisi. Veltroni, certo, potrebbe obbiettare che queste cose non dipendono ancora da lui. E' vero, ma è pur possibile, come ha suggerito Piero Fassino all'ultima Festa dell'Unità, vincolare nel corso della prossima Costituente ad alcune decisioni, regole e norme di comportamento tutti i dirigenti e gli esponenti istituzionali del nuovo Partito, raccogliere e rispondere - è sempre Fassino che parla - "all'indignazione nel vedere il merito, la capacità, la fatica dello studio travolti da concorsi truccati, appalti guidati, assunzioni di favore". Veltroni non può e non deve proporsi affatto di scalzare Prodi. Deve, però, convincersi che nella sua campagna per la leadership del nuovo Partito gioca contemporaneamente una partita futura, di cui oggi gli italiani debbono percepire le caratteristiche essenziali e credibili. Per questo deve dire ora che tipo di governo ha in mente. Deve proporre ora un tavolo Stato-Regioni che riporti i governi locali a dimensioni anche di spesa compatibili con la pubblica decenza. Deve dire ora come vuol mettere fine alla lottizzazione. Ed, infine, dovrebbe anche aggiornare schemi invecchiati di comunicazione. Ad esempio le cose che ha detto e scritto negli ultimi mesi sono ricche di idee e proposte giuste. Avvolte, però, in articoli troppo lunghi, in discorsi troppo alti ancorché accattivanti, redatti con un linguaggio non sempre adatto a tradursi in un messaggio immediato, secco, comprensibile a tutti. Mi dicono abbia aperto un blog. Ne faccia ampio uso e tramite internet entri in contatto, il più possibile, con quanti non può incontrare direttamente. Lasci perdere le defatiganti mediazioni. Non c'è più il tempo. Si rivolga direttamente alla gente. Gli è ancora possibile farsi ascoltare.

mercoledì 19 settembre 2007

Centro di Documentazione Movimento Ecumenico Italiano
Libri per il dialogo
I partiti politici
di Emanuele Rossi
ne parlano
dott. Bruno Manfellotto
dott. Claudio Frontera
dott. Alessandro Morelli
Modera
prof. Riccardo Burigana
Giovedì 20 Settembre - Ore 18.00
Sede CeDoMEI
via delle Galere 35 - Livorno

sabato 15 settembre 2007

Lunedì 17 settembre 2007 alle ore 21,15 in Via Grande 91, Livorno
Il saggio di Marina Valensise

S A R K O Z Y La lezione francese
Introduce Guido Guastalla
Presentano il libro
Sen.Domenico Contestabile, già Vicepresidente Senato della Repubblica
Dott. Claudio Frontera, Segreteria DS toscana – Comitato Veltroni
Sarà presente l’autore

mercoledì 12 settembre 2007

sabato 8 settembre 2007



7 settembre 2007
Poca tv e basta politichese
Mi vedrete poco in televisione, non voglio partecipare al tritacarne: chiunque fa questo lavoro e lo ha fatto costruendosi il consenso pezzo per pezzo, sa che questo non nasce in televisione. Noi dobbiamo smetterla di parlare con un linguaggio politichese, con la lingua di "Porta a Porta" o delle trasmissioni televisive, dobbiamo parlare il linguaggio dei cittadini e per questo dobbiamo essere un grande partito popolare. I cognomi dei nostri avversari sono state le parole più pronunciate dalla sinistra in questi anni e questo non va bene, l'ho detto anche ieri sera alla festa dell'Unità di Genova.
Le primarie non sono una campagna elettorale tra avversari, se c'è una cosa di cui gli italiani si sono stufati è la litigiosita e il nostro partito non nasce contro qualcuno o contro qualcosa. Io non ho mai attaccato o aggredito nessuno, e anche se altri ci attaccheranno noi dovremo sempre saper parlare alla maggioranza degli italiani.
Walter Veltroni

Veltroni:non facciamoci del male come al solito



Sia un confronto civile tra persone che si stimano per aprire e fare più forte il Pd-Lettera aperta ai candidati alla segreteria del Partito Democratico Carissimi,la decisione del Comitato dei 45, presieduto da Romano Prodi, di affiancare alla elezione dei delegati all’assemblea costituente, quella del segretario del Partito democratico, è stata un passaggio tutt’altro che scontato. La mera logica procedurale avrebbe anzi richiesto una netta distinzione tra i due momenti: prima la costituzione del nuovo partito e poi, sulla base del nuovo statuto, l’elezione degli organismi dirigenti.Se il Comitato ha deciso diversamente, anche contro le perplessità di alcuni, tra i quali io stesso, è perché ha valutato che un’accelerazione del percorso verso il Partito democratico fosse necessaria, per offrire una risposta politica alle difficoltà nel rapporto tra il centrosinistra e il Paese, confermate dal negativo risultato delle elezioni amministrative della scorsa primavera.Si è detto che il Paese non avrebbe capito un itinerario troppo lungo, al punto da apparire autoreferenziale. E che il percorso costituente avrebbe dovuto risultare da subito politicamente incisivo, capace di corrispondere alla diffusa e perentoria domanda, al tempo stesso, di nuove forme democratiche e di nuovi contenuti programmatici del nostro agire politico.Accettando di candidarci alla segreteria del Partito democratico, tutti noi ci siamo assunti la responsabilità di corrispondere a questa duplice aspettativa. Sia come singoli, ciascuno avanzando le proprie proposte, sia nei rapporti tra di noi, che stanno già assumendo la delicata e decisiva funzione “costituente” della dialettica politica interna al partito che nasce.Si fa spesso riferimento e paragone con le primarie americane, senza però considerare che negli Stati Uniti si tratta di una tradizione, di un’organizzazione e di una pratica consolidate negli anni, mentre qui da noi è qualcosa di nuovo e di decisamente diverso, perché alla scelta della persona, del leader, si accompagna contestualmente la costituzione di un partito. Cosa che richiede tanta più attenzione, saggezza, spirito unitario e vorrei dire “delicatezza”, perché il modo in cui ci comportiamo contribuirà inevitabilmente a definire l’immagine e la stessa identità del Pd.Il Partito democratico risulterà più o meno innovativo, agli occhi dei cittadini, anche a seconda di quanto riuscirà ad esserlo il nostro modo di competere, perfino lo stile, il tratto umano col quale sapremo rapportarci tra di noi.Penso che i cittadini considererebbero innovativo e quindi interessante, degno di essere seguito e in grado di invogliare alla partecipazione, un confronto che rappresentasse una cesura netta rispetto agli aspetti deteriori del nostro ancora acerbo bipolarismo politico.Se il principale difetto del bipolarismo italiano è quello di reggersi più su coalizioni “contro” l’avversario, che su solide alleanze “per” il governo dell’Italia, penso che l’ultima cosa che dovremmo fare, se non vogliamo da subito rinchiuderci nello stereotipo della rissa politica da talk-show, è impostare la nostra competizione nel segno della critica reciproca anziché della proposta al Paese. Costruendo un clima grottesco tra persone che si stimano e hanno sempre lavorato lealmente insieme.I cittadini non sopportano più un confronto politico meramente critico e demolitorio nella dialettica tra avversari. Lo considerano inaccettabile tra alleati. Tra esponenti dello stesso partito lo giudicherebbero semplicemente deprimente. Vorrebbe dire che mentre ci accingiamo a fondare un partito nuovo, ci apprestiamo anche ad impostarne il confronto interno secondo i vecchi e logori schemi del più deteriore professionismo politico, per i quali ciò che conta non è lavorare in modo limpido e aperto per tradurre i valori in programmi e per costruire attorno ad essi il necessario consenso, ma come “posizionarsi” in vista di futuri organigrammi; come conquistare, magari solo per poche settimane, un supplemento di “visibilità” da far valere nelle future spartizioni, come organizzare componenti correntizie per “pesare” e quindi “condizionare” i futuri assetti e le future leadership.Nel proporre la mia candidatura ho presentato, al Lingotto di Torino, una piattaforma politica che è stata accolta con attenzione e interesse anche in ambienti economici, sociali e culturali da tempo critici nei riguardi del centrosinistra. Non penso affatto che sia l’unica piattaforma possibile e sono convinto che tutte le candidature che sono state avanzate rappresentino una ricchezza.Al tempo stesso credo che il Paese si aspetti dalla nostra competizione un confronto chiaro e trasparente sui grandi temi che riguardano il suo presente e il suo futuro, come quelli che ho cercato di affrontare da Torino in poi: il rapporto tra sviluppo e ambiente, la necessità di un nuovo patto tra generazioni per la sostenibilità del nostro welfare e di un nuovo patto fiscale, il difficile rapporto tra immigrazione e sicurezza, la sfida della società della conoscenza, la necessità di un incisivo pacchetto di riforme elettorali e istituzionali.Tutti noi, credo, abbiamo il dovere di dire come la pensiamo su questi e su altri temi. Per quanto mi riguarda sono favorevole a procedere diversamente rispetto alle primarie che designarono Romano Prodi come candidato premier dell’Unione e a dar vita ad un confronto pubblico sulla base delle regole che ci siamo dati e con pari dignità di tutti i candidati.Allo stesso modo, ci accomuna il dovere di favorire, attraverso lo strumento degli apparentamenti tra candidati alla segreteria e liste per l’assemblea costituente, l’elezione di una platea che sia davvero rappresentativa del grande popolo del Partito democratico.Ci accomuna dunque il dovere di adoperarci per far nascere liste che vedano il mescolarsi delle culture politiche, un forte rinnovamento generazionale che si accompagni al riequilibrio di genere e la presenza, accanto ai dirigenti politici dei due partiti, Ds e Margherita, che hanno avuto il merito di rendere possibile la nascita del Pd, di tanti amministratori eletti direttamente dai cittadini e soprattutto di una vasta rappresentanza del mondo del lavoro, della cultura, delle professioni, del volontariato e dell’associazionismo.Le regole approvate dal Comitato dei 45 ci chiedono di dar vita, come è giusto e doveroso, ad una campagna elettorale sobria, che privilegi l’uso di mezzi alla portata di tutti ed eviti una ulteriore lievitazione dei costi della politica che risulterebbe inaccettabile agli occhi della stragrande maggioranza dei cittadini. Del resto, non abbiamo bisogno di farci conoscere: la storia di ciascuno di noi è nota e parla da sé. Da parte mia, a queste regole e a questi criteri di condotta mi atterrò con scrupolo.Un’ultima considerazione. La nascita del Pd rappresenta uno degli appuntamenti di maggior rilievo della storia politica italiana. Davanti a noi ci sono immense possibilità, grandi potenzialità. So bene però, perché conosco il nostro passato, che a non farci mai difetto è stata una speciale capacità di farci del male da soli, spesso proprio nei momenti più importanti e carichi di opportunità. Voglio credere che il Pd sarà la terapia giusta, che potrà guarirci da questa sindrome.Dipenderà da ciascuno di noi. Dai nostri comportamenti, dalle nostre parole, dipenderà il grado di apertura del Partito democratico, la sua capacità di coinvolgere gli italiani e di conquistare il loro consenso, la profondità del suo segno di novità, che verrebbe meno se a dominare fossero invece logiche improntate a personalismo, protagonismo o correntismo. Logiche vecchie e piccole che finiscono con l’allontanare chi non le vuole condividere. Ma sono certo che non sarà così. Sono certo che tutti insieme sapremo animare una competizione che potrà segnare una tappa fondamentale nel cammino di riforma democratica dell’Italia.

Walter Veltroni