giovedì 6 novembre 2008

OBAMA PRESIDENTE USA. "E IO DICO: YES, WE CHANGED"

Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti.

Una vittoria schiacciante, netta, totale, inappellabile. Un esito addirittura imprevedibile nelle proporzioni in cui è maturato: circa il doppio dei grandi elettori ottenuti dal rivale McCain ed un vantaggio netto anche nel voto popolare non lasciano spazio a recriminazioni: in una notte sono stati spazzati via tutti i dubbi sulla regolarità del voto, tutti i retropensieri sul pregiudizio razziale che avrebbero potuto condizionare molti elettori nel segreto dell’urna. L’America, come sempre nei momenti cruciali della propria storia, dimostra ancora una volta di non avere paura del cambiamento, nonostante le sue contraddizioni. Molti cercheranno di gettare acqua sul fuoco, di raccomandare prudenza, di predicare concretezza. Io non voglio essere tra questi, almeno oggi.
E’ accaduto qualcosa di grandioso questa notte, la cui portata è difficilmente comprensibile: non c’è in gioco, infatti, solo l’aspetto emozionale della vicenda, ma il senso di una prospettiva storica .
Immanuel Kant nel 1798 pubblicava “Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio”, uno dei saggi più straordinari che il XVIII secolo abbia partorito. Kant, pur riconoscendo senza sconti le atrocità e gli eccessi della Rivoluzione Francese, la considerava un segno, un indicatore del fatto che sì, nonostante tutto, la Storia viaggia sempre in una direzione, quella del progresso.
Ebbene, l’elezione di Obama mi sembra un segno , una bandiera piazzata, mossa da un vento che spira sempre dalla stessa parte, anche se a volte con intensità scarsa o nulla: basti pensare alla condizione dei neri due secoli fa, basti pensare al fatto che ci volle una sentenza della Corte Suprema nel 1954 per consentire ai ragazzi di colore di frequentare le università .
Forse Obama non sarà il miglior Presidente degli Stati Uniti d’America e deluderà i milioni di elettori che è riuscito a mobilitare per arginare la deriva alimentata dall’illusione liberista, dall’incompetenza di Bush e da una politica estera fallimentare.
Il punto è però un altro, sostanziale, seppur in molti ne riconoscano solo il valore simbolico: un afroamericano sarà l’uomo più potente – e con le maggiori responsabilità – del mondo.
Questa notte si è aperta una era nuova, piena di incognite, ma soprattutto di grandi speranze.
L'America ha dimostrato di essere pronta per il primo presidente nero, che sarà ora chiamato al compito più difficile. Guidare il Paese certo, ma anche evitare di deludere le enormi aspettative che si sono andate creando nel corso della campagna elettorale, che lo stesso senatore democratico ha contribuito a creare con il suo messaggio, - speranza e cambiamento, - ripetuto migliaia di volte, durante ogni comizio, ogni intervista, ogni discorso.
Obama ci ha creduto e, lasciando con un palmo di naso i suoi detrattori, che lo ritenevano troppo o troppo poco, - troppo giovane, inesperto, arrogante, troppo poco qualificato, addirittura troppo poco nero, - ha strappato una vittoria storica. Un risultato che riporta alla memoria leader che sono stati in grado di cambiare l'America, dall'ex presidente John F. Kennedy al leader dei diritti civili Martin Luther King, il cui segno è rimasto indelebile, e non solo per la loro tragica fine.
E noi?
Obama ha dichiarato: “Gli Stati Uniti sono il posto dove tutto è possibile”. Obama, giovane, colto, slanciato, intelligente, di colore, parla di futuro, di innovazione. “Il cambiamento è arrivato”, ha detto. “La nostra vittoria è partita dal basso”.
Da noi quando arriverà? Gerontocrazia e oligarchia regnano ovunque.
E' come se vivessimo in una stanza piena di aria viziata. Chi vuole aprire la finestra, portare venti di cambiamento, puliti, onesti, viene massacrato, o emarginato, combattuto.
E' come se stanotte si fosse tutti invecchiati di colpo. Cosa siamo diventati? Cosa ci aspetta senza un cambiamento radicale? Forse riusciremo a spalancare la finestra, loro non molleranno mai, noi neppure.

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