martedì 7 agosto 2007

Il Trasversalismo buono è fatto di confronto

MARTEDÌ, 07 AGOSTO 2007
Il Tirreno

Politica e dintorni
In questi giorni sul Tirreno si fa un gran parlare di trasversalismo. Desidero intervenire nel dibattito con alcune riflessioni. In politica la parola trasversalismo è una brutta parola con significati ambigui, con diverse accezioni, comunque sempre negative, o quanto meno insinuanti e intrise di sospetti... Ritengo che essere trasversali non sia, di per sé, né positivo né negativo. Ci sono e ci sono stati movimenti trasversali; ad esempio c’erano movimenti giovanili un secolo fa, all’inizio di questo secolo o ancora negli anni Venti e Trenta; c’erano movimenti giovanili che partecipavano ai partiti socialdemocratici, c’era un giovanilismo fascista, un giovanilismo nazista, che non è la stessa cosa di quello fascista. Cosa vuol dire giovanilismo? C’è un trasversalismo che è semplicemente di carattere demagogico-populistico, come era il giovanilismo di destra e anche quello di sinistra. L’esigenza che, oggi, in politica, abbiamo è di uscire da questi “-ismi” e di misurarsi sul concreto delle questioni. Andare a vedere che cosa si sostiene in materia di esigenze, domande del mondo giovanile e così via e su questo confrontarsi. C’è, poi, un trasversalismo che significa raccordare diverse forze politiche sulla base di obiettivi e strategie comuni,e questo può andar bene; non è questo che si fa quando si costruiscono alleanze, coalizioni? E’, invece, negativo il fenomeno, la cultura del trasversalismo inteso come inciucio, quello che Gad Lerner definisce “l’istinto dei partiti, e, in generale delle classi dirigenti, al compromesso”, quel trasversalismo sinonimo di patto collusivo. E’ quello che è avvenuto nel 2005 - la vicenda dei “furbetti” e delle loro scalate con sponda politica - quel trasversalismo che, secondo Paolo Mieli, sembra aver assunto i caratteri di una vera e propria “associazione a delinquere”, nella quale erano coinvolti, con diverse responsabilità, personaggi dei vari schieramenti. Quando, invece, si tratta di culture, anche se di culture politiche, ritengo più opportuno parlare di confronto, dialogo. Il mondo non è più suddivisibile in classi sociali; il pianeta è sempre più un insieme confuso di elementi, per cui occorre cercare di rendere questa confusione “dialogica”, perché altrimenti, prima o poi, scade nel conflitto, così occorre che queste distinzioni di cultura, di linguaggio, di civiltà, di religione diventino elementi di un rapporto dialogico. E’ perciò necessario intendersi, comprendere le rispettive diversità di linguaggi, saper tradurre una lingua in un’altra, saper costruire analogie: il problema si affronta con una vera cultura dialogica, altrimenti si ottiene o la guerra o l’omologazione, ed entrambe le soluzioni non sono adeguate. C’è forse bisogno di soggetti capaci di mettere insieme persone che si assumano il compito di aiutarci a guardare un po’ più lontano di quanto è oggi possibile fare con la politica. Occorre, cioè, una classe politica non rinchiusa in se stessa e la disponibilità di spendere un po’ di tempo per migliorare la qualità della nostra vita pubblica da parte di persone che oggi fanno altro.
Daniela Miele

1 commento:

Unknown ha detto...

è difficile essere trasversali in Italia, dove esiste un leader che è anche titolare (come in un'azienda) del centrodestra. La politica costa e i soldi ce li ha sopratutto una personcina.