La Repubblica
Domenica, 23 Marzo 2008
ANDREA MANZELLA
Quale parlamento ci aspetta? Ora la preoccupazione dominante (e comprensibile) è quella numerica. Chi vincerà, chi perderà? La risposta ce l´hanno spiegata in tanti. Ed è tanto semplice da far paura. A ballare non sono più in due, come nel 2006, ma in quadriglia (Democratici, Popolo delle Libertà, Arcobaleno, Udc). E ora che si mena una danza a quattro, secondo la diversissima musica politica di ciascuna regione, i risultati al Senato sono imprevedibili e incontrollabili.La "lotteria" del 2006 è diventata un flipper. Se una (o tutte e due) delle formazioni "minori" toccano la sbarra dell´8 per cento in una regione, non si sa dove rimbalzerà il pallino: e quali potranno essere le sue conseguenze per le due liste maggiori. Certo, faranno una "corsa all´indietro" (rispetto al 2006). Ma quale delle due, sia pure rinculando, riuscirà comunque ad avere, con il premio, maggiori seggi? E, alla fine, quale sarà la somma dei più e dei meno nelle regioni per calcolare chi ha vinto al Senato? Questa incertezza del Senato contagerà anche la Camera. Certo, alla Camera è tutto più semplice: chi prende un solo voto in più, ha larga maggioranza. Ma se questa maggioranza non ne avrà una corrispondente del Senato, non si potrà governare.Quel che si era visto, che già si sapeva, è divenuto più complicato. E davvero, nelle condizioni del Paese, non c´era alcuna ragione logica perché, con le elezioni del 13 aprile si dovesse rischiare, peggiorato, lo stesso disastro della "legislatura di venti mesi" appena chiusa. Non c´era alcuna ragione logica perché i parlamentari del centro della destra andassero al suicidio politico, affondando il tentativo Marini di un "governo per la riforma elettorale". Ma non c´era neppure alcuna ragione logica, nella vecchia storiella tropicale, perché lo scorpione, a metà del guado, pungesse mortalmente il caimano, che gli stava dando un "passaggio" per attraversare il fiume...Incerti i numeri del nuovo Parlamento, migliorerà però la qualità delle persone? Può darsi. Ma per ora il meccanismo elettorale, che il centro-destra ha rifiutato di cambiare, sembra aver accentuato e non attenuato i suoi effetti perversi. Il sistema delle liste bloccate per grandissime circoscrizioni ha concentrato il potere di decisione nelle mani di cinque-sei persone, dalla estrema destra all´estrema sinistra. E, secondo la lezione dei grandi cinici, il potere è inutile se non se ne abusa... L´impressione generale è dunque che il rapporto territoriale eletto-elettori si sia quasi del tutto sfilacciato, salvo per le "code di lista", fatte di candidati a morte. E che le "nomine" parlamentari siano state ripartite quindi semplicemente sulla base della "rendita storica" delle circoscrizioni. Si dubita che queste nomine "ottriate dall´alto" possano migliorare la qualità del personale politico. La sensazione è che il modello di funzionamento degli ultimi parlamenti abbia sagomato le scelte elettorali. E che dunque abbia prevalso l´ideal-tipo della fedeltà del parlamentare-premi-bottone: reversibile, e sostituibile. Come nelle ultime legislature, si è guardato soprattutto al lavoro di Assemblea, quasi sempre tribunizio e declaratorio. Senza pensare che, forse, nel prossimo parlamento ritornerà essenziale il lavoro nelle Commissioni parlamentari. Dove la capacità avvocatesca vale poco: e contano competenza specifica e attitudine al confronto ragionato ed esperienza (la seniority dei grandi parlamenti, che non significa affatto età avanzata). Un parlamento così, per fare che? Subito la modifica dei regolamenti parlamentari, "subito santo": quasi tutti proclamano. Ma non dipende dai regolamenti il fatto che ci siano due Camere che possono essere a composizione così diversa che l´una dia la fiducia al governo e l´altra la neghi (è accaduto appena ieri, il 24 gennaio). Non dipende dai regolamenti il fatto che il Senato che dovrebbe avere una "base regionale" – di rappresentatività territoriale (a ben capire la Costituzione) – sia in realtà del tutto distaccato dal sistema delle autonomie. Non dipende dai regolamenti il fatto che le grandi leggi di organizzazione dello Stato – la legge Finanziaria, la legge comunitaria, la legge sulla presidenza del consiglio e sul numero dei ministeri, la legge sulle Autorità indipendenti, le leggi sulla pubblica amministrazione – siano tutte in grave crisi di rendimento e oggetto di laceranti interrogativi: così come i sistemi da esse creati. È evidente allora che un decisivo ricorso all´autonomia regolamentare può venire "dopo" quegli essenziali cantieri riformisti che si devono aprire (e chiudere) "prima". L´autonomia parlamentare deve avere un indirizzo per poter dare senso ed efficacia alle riforme interne alle Camere. Certo, le Camere appena riunite, possono decidere che la realtà dei gruppi parlamentari corrisponda sempre alla realtà che si è proposta agli elettori. E che finisca subito lo sconcio (e le spese) della moltiplicazione dei gruppi e dei giornaletti germinati da una stessa lista elettorale. Nessuno può illudersi, però, che sia questa la riforma che ci cambierà la vita. Né cambierà la vita del Parlamento: se questo non sarà prima capace di fare le riforme essenziali di tipo costituzionale e legislativo. Il parlamento che ci aspetta sarà dunque più paralizzato, un po´ più oligarchico, un po´ più scarso di quello che ha vissuto la «breve vita infelice» della XV legislatura? Può essere. Ma il bello della democrazia parlamentare è che c´è anche, piena, l´altra possibilità: se appena si alza lo sguardo. E cioè che lo stesso dramma politico della brusca cesura, l´accelerazione di ricomposizioni a partito, il senso diffuso di ultimo treno, il riconoscimento di errori la cui riparazione non si può più rinviare: tutto questo costituisce un cocktail perché questa volta si apra, vero e senza trucchi, il tempo delle regole.È questa possibilità che ci motiverà a votare, il 13 aprile, per il parlamento. Grande è, dopo 15 anni, il disordine repubblicano. Ma solo in parlamento, comunque eletto, si potrà ritrovare il filo della "democrazia governante". In un Paese che ora – secondo le parole di un gran vecchio della Repubblica – «è quello che ha oggi il tasso più basso di democrazia di tutto l´Occidente».