Sandra Bonsanti, 06-11-2007
La Biografia // Addio, Enzo Biagi // “Vedrai” mi diceva sicuro il mio compagno Giovanni che di libertà molto aveva studiato e molto sapeva “vedrai che un giorno di Berlusconi rimarrà soprattutto il ricordo dell’uomo che tolse la parola a Enzo Biagi”. Aveva capito che fra tutte le ferite che gli anni del cavaliere avevano dato alla cultura e alla politica del nostro paese, quella inferta al pluralismo dell’informazione colpiva non solo l’essenza stessa della nostra delicata democrazia, ma soprattutto i sentimenti della gente, che aveva ormai identificato in Biagi l’uomo, il giornalista libero e scomodo, che criticava sorridendo, che si opponeva con la forza delle idee e non con le grida della superficialità.
Che usava parole semplici e antichi detti popolani per fare a pezzi le falsità dei nuovi slogan pubblicitari.
A poche ore dalla sua morte, dal suo addormentarsi quasi raccontando a se stesso e agli altri la cronaca di un addio, i media di tutto il mondo si trasmettono la notizia della scomparsa del grande giornalista che Berlusconi, il proprietario della Tv privata, cacciò dalla televisione pubblica. Con una decisione contro la quale i vertici politici del tempo, furono timidi, impacciati, un po' vigliacchi.
Del suo allontanamento Biagi parlava sempre con una punta di ironia che celava però un grande dolore. Quasi continuasse a meravigliarsi di come poteva essere stata fatta una offesa tanto profonda, a lui, ai suoi telespettatori, alla libera informazione. E oggi, a poche ora dalla sua morte, è inevitabile cominciare così il flusso dei ricordi. Che per quanto mi riguarda risalgono alla primavera del 1981, a un bellissimo viaggio in Costarica, Colombia e Messico che facemmo al seguito di Sandro Pertini. Fu allora che, vedendolo faticare nella salita della piramide Maya sotto un sole spietato mi permisi di comprargli e regalargli un cappellaccio di paglia che però gli stava benissimo e da allora il cappello messicano diventò fra noi uno scherzo col quale ci si salutava ogni volta. “Lo conservo, sai!”. Era soprattutto il ricordo di un bel viaggio, con una persona così speciale e stravagante come era l’allora presidente della Repubblica a cui Enzo voleva un gran bene. Erano, proprio quelli, i giorni della scoperta della P2: mentre eravamo in Messico Pertini fu informato del blitz di Turone e Colombo ad Arezzo e del ritrovamento degli elenchi. Sia Pertini che Biagi presero molto sul serio la scoperta della loggia segreta, uno non volle mai ricevere al Quirinale chi era comparso nelle liste; l’altro, per quella vicenda, lasciò il “Corriere” e venne a “Repubblica”. Altri tempi.
A tutti ha insegnato qualcosa: nel giornalismo e nei rapporti umani. In uno dei suoi viaggi in Italia venne a trovarmi a Firenze. Allora io dirigevo “Il Tirreno” e lui pensò che potessi avere uno sguardo privilegiato sulla Toscana. Era strano essere intervistati da Enzo… parlavo del mio giornale, ma sapevo che lui sapeva tante più cose di me, conosceva la storia di quel giornale e la inquadrava nella storia d’Italia. Le firme dei direttori non erano solo delle firme, ma pagine di una vicenda che lo aveva appassionato per tutta la vita. Mi adoprò soprattutto perché gli raccontassi le storie della gente semplice: era sempre lì che lui voleva arrivare, alla base della civiltà, e a ciò che col passare degli anni costruisce quella memoria comune che in Toscana è ancora assi forte, e che lo affascinava.
Così, quando nel 2003 si trattò di lasciare il giornale per Libertà e Giustizia, fu per me obbligata la via del suo ufficio in galleria; Enzo era già uno dei garanti di LeG e a lui avrei chiesto un consiglio definitivo. Mi ascoltò affettuosamente, come sempre e poi mi disse: “Purché tu resti solo e sempre una giornalista, cioè libera”. Cosa che ho cercato di fare, in questi anni, insieme agli amici e ai soci, ricordandoci sempre, anche nelle piccole decisioni, che il nostro garante era lì, e non dovevamo deluderlo mai. Spero di esserci riuscita.
E poi, oltre al maestro di giornalismo e di libertà, ci mancherà l’uomo, l’amico che tra le carte e le fotografie del suo ufficio, ci svelava il segreto per far fronte al dolore, quando la morte si porta via le persone care. “Io giro per casa, da solo la sera e parlo con lei, faccio come se fosse nella stanza accanto, e so che da qualche parte mi sta ascoltando anche se non sento più le sue parole”.
Fiero, orgoglioso, libero, caro Enzo, dicevi che nelle fasi storiche difficili (e pensavi ai tuoi 14 mesi di partigiano) serve soprattutto avere dei maestri, dei punti di riferimento di cui ci si fida e che ti aiutano a trovare la strada. Parlavi di altri, ma credo che tu sapessi d’esserlo ormai tu la nostra guida. Presente e silenziosa: ma c’eri e per questo, anche, si facevano, si dicevano e si pensavano certe cose.
Ciao, caro garante, caro amico e maestro.
La Biografia // Addio, Enzo Biagi // “Vedrai” mi diceva sicuro il mio compagno Giovanni che di libertà molto aveva studiato e molto sapeva “vedrai che un giorno di Berlusconi rimarrà soprattutto il ricordo dell’uomo che tolse la parola a Enzo Biagi”. Aveva capito che fra tutte le ferite che gli anni del cavaliere avevano dato alla cultura e alla politica del nostro paese, quella inferta al pluralismo dell’informazione colpiva non solo l’essenza stessa della nostra delicata democrazia, ma soprattutto i sentimenti della gente, che aveva ormai identificato in Biagi l’uomo, il giornalista libero e scomodo, che criticava sorridendo, che si opponeva con la forza delle idee e non con le grida della superficialità.
Che usava parole semplici e antichi detti popolani per fare a pezzi le falsità dei nuovi slogan pubblicitari.
A poche ore dalla sua morte, dal suo addormentarsi quasi raccontando a se stesso e agli altri la cronaca di un addio, i media di tutto il mondo si trasmettono la notizia della scomparsa del grande giornalista che Berlusconi, il proprietario della Tv privata, cacciò dalla televisione pubblica. Con una decisione contro la quale i vertici politici del tempo, furono timidi, impacciati, un po' vigliacchi.
Del suo allontanamento Biagi parlava sempre con una punta di ironia che celava però un grande dolore. Quasi continuasse a meravigliarsi di come poteva essere stata fatta una offesa tanto profonda, a lui, ai suoi telespettatori, alla libera informazione. E oggi, a poche ora dalla sua morte, è inevitabile cominciare così il flusso dei ricordi. Che per quanto mi riguarda risalgono alla primavera del 1981, a un bellissimo viaggio in Costarica, Colombia e Messico che facemmo al seguito di Sandro Pertini. Fu allora che, vedendolo faticare nella salita della piramide Maya sotto un sole spietato mi permisi di comprargli e regalargli un cappellaccio di paglia che però gli stava benissimo e da allora il cappello messicano diventò fra noi uno scherzo col quale ci si salutava ogni volta. “Lo conservo, sai!”. Era soprattutto il ricordo di un bel viaggio, con una persona così speciale e stravagante come era l’allora presidente della Repubblica a cui Enzo voleva un gran bene. Erano, proprio quelli, i giorni della scoperta della P2: mentre eravamo in Messico Pertini fu informato del blitz di Turone e Colombo ad Arezzo e del ritrovamento degli elenchi. Sia Pertini che Biagi presero molto sul serio la scoperta della loggia segreta, uno non volle mai ricevere al Quirinale chi era comparso nelle liste; l’altro, per quella vicenda, lasciò il “Corriere” e venne a “Repubblica”. Altri tempi.
A tutti ha insegnato qualcosa: nel giornalismo e nei rapporti umani. In uno dei suoi viaggi in Italia venne a trovarmi a Firenze. Allora io dirigevo “Il Tirreno” e lui pensò che potessi avere uno sguardo privilegiato sulla Toscana. Era strano essere intervistati da Enzo… parlavo del mio giornale, ma sapevo che lui sapeva tante più cose di me, conosceva la storia di quel giornale e la inquadrava nella storia d’Italia. Le firme dei direttori non erano solo delle firme, ma pagine di una vicenda che lo aveva appassionato per tutta la vita. Mi adoprò soprattutto perché gli raccontassi le storie della gente semplice: era sempre lì che lui voleva arrivare, alla base della civiltà, e a ciò che col passare degli anni costruisce quella memoria comune che in Toscana è ancora assi forte, e che lo affascinava.
Così, quando nel 2003 si trattò di lasciare il giornale per Libertà e Giustizia, fu per me obbligata la via del suo ufficio in galleria; Enzo era già uno dei garanti di LeG e a lui avrei chiesto un consiglio definitivo. Mi ascoltò affettuosamente, come sempre e poi mi disse: “Purché tu resti solo e sempre una giornalista, cioè libera”. Cosa che ho cercato di fare, in questi anni, insieme agli amici e ai soci, ricordandoci sempre, anche nelle piccole decisioni, che il nostro garante era lì, e non dovevamo deluderlo mai. Spero di esserci riuscita.
E poi, oltre al maestro di giornalismo e di libertà, ci mancherà l’uomo, l’amico che tra le carte e le fotografie del suo ufficio, ci svelava il segreto per far fronte al dolore, quando la morte si porta via le persone care. “Io giro per casa, da solo la sera e parlo con lei, faccio come se fosse nella stanza accanto, e so che da qualche parte mi sta ascoltando anche se non sento più le sue parole”.
Fiero, orgoglioso, libero, caro Enzo, dicevi che nelle fasi storiche difficili (e pensavi ai tuoi 14 mesi di partigiano) serve soprattutto avere dei maestri, dei punti di riferimento di cui ci si fida e che ti aiutano a trovare la strada. Parlavi di altri, ma credo che tu sapessi d’esserlo ormai tu la nostra guida. Presente e silenziosa: ma c’eri e per questo, anche, si facevano, si dicevano e si pensavano certe cose.
Ciao, caro garante, caro amico e maestro.
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