mercoledì 7 novembre 2007

La Livorno che vorrei


Gli articoli di Mario Lancisi su Livorno che cambia hanno fornito tanti spunti per aggiornare l’idea che abbiamo della nostra città e dei suoi problemi.
Un quadro mosso, fluido, aperto.
Ci sono gli effetti devastanti della competizione internazionale su quello che resta dell’industria, ma anche le nuove opportunità della cantieristica da diporto, le carenze strutturali del nostro porto, i ritardi nelle strategie della logistica toscana, ma anche le nuove occasioni date dai rapporti commerciali con nuove aree del mondo.
I nuovi manager dell’industria hi-tech che collaborano con la Nasa e quelli dei servizi che si sentono a loro agio più nello scenario internazionale che in quello locale, ma anche la pesantezza dei problemi dell’occupazione e della precarietà, le sofferenze economiche delle famiglie alle prese con bassi salari, mutui e affitti, il carico ambientale della produzione energetica, il degrado del centro urbano, e, per ultimo, anche l’acutizzarsi delle conseguenze dell’immigrazione.
La città appare frastornata, talvolta stanca e ripiegata su se stessa. Le sue tradizioni sono ridotte spesso a folklore, piuttosto che rappresentare una importante riserva di memoria storica.
Una città adolescente, che non vuole crescere, come ha sintetizzato Mons. Abbondi, che l’ama e l’ha capita come pochi altri.
Eppure non mancano davvero le energie che scaturiscono dal volontariato, dal pullulare di forme espressive artistiche e culturali giovanili, le intelligenze che brillano e che trovi in giro in ogni parte del mondo, dove le porta la ricerca dell’eccellenza e lo sviluppo della professione.
Di che cosa ha bisogno allora Livorno per uscire in piedi da questo passaggio stretto, nonostante le occasioni perse (che il prof. Paoli efficacemente ha ricordato) e il crescente isolamento dal contesto regionale, nazionale ed internazionale?
Ha bisogno di una nuova visione politica, di un’idea più moderna della città e del suo ruolo e la capacità di costruire, su di essa, un ampio consenso.
Credo, non da ora, nell’importanza di un nuovo soggetto politico come il Partito Democratico, perché penso e spero serva anche a Livorno, come in Toscana e in Italia, a far emergere una moderna, indispensabile “politica delle cose”, una politica seria, competente e lungimirante, capace di accompagnarci nel nuovo percorso. E’ la voglia di sfidare il cambiamento, salvaguardando il meglio della propria storia, l’unica vera forza che può prevalere su polemiche sterili e nuove paure. Ma questa condizione non si realizza senza una vera, ampia, continua discussione nelle sedi istituzionali e non solo. Troppe volte la convenienza a breve termine, nella nostra città, porta a tacere, a non esporsi, a preferire il rituale e facile scontro ideologico al proficuo confronto politico, a sprofondare ogni stimolo e ogni sollecitazione nel sospetto, nel dileggio e nell’indifferenza.
Aiuterebbero iniziative straordinarie, non è il momento della normale amministrazione.
Penso a passaggi che altre città (da Torino a Roma, a Genova solo qualche giorno fa con una conferenza su porto e città, preparata benissimo dalla neoeletta sindaca Marta Vincenzi), hanno sperimentato in momenti cruciali del loro sviluppo, chiamandole di volta in volta “Stati generali della Città” o più modestamente “Conferenza economica cittadina”.
Fate voi, l’importante è che il confronto politico coinvolga tutti, voli alto, guardi ai cambiamenti del mondo, esca dalla chiacchiera e si misuri su numeri, dati, progetti, scelte . Se non ha paura di discutere, Livorno ce la farà..
Claudio Frontera
costituente regionale

2 commenti:

Ettore Bettinetti ha detto...

Claudio Frontera, oggi=" La livorno che vorrei." Massimo Paoli, ieri = "Così Livorno va alla deriva." L'ufficio diocesano per i problemi sociali, a Giugno. Gli interventi più recenti per una LIVORNO AL FUTURO. La situazione è veramente matura per una riflessione comunitaria che, partendo da conoscenze rinfrescate (il più oggettive e meno figlie dell'ansimare locale possibile), conduca ad una possibile idea-progetto per i prossimi vent'anni, realmente condivisa dalle varie componenti socio-economiche della nostra realtà. Come si può rilevare dal documento diocesano per le elezioni amministrative del 2004 e dai comunicati, conseguenti gli incontri dell'ufficio diocesano con sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, una tale ipotesi e disponibilità – di fatto divenuta appello – si è consolidata negli ultimi due-tre anni. Il comunicato del Giugno scorso era titolato, non a caso: “Urgente una progettualità ed una operatività in grado di incidere positivamente nel tessuto dell'area livornese”; una vera progettualità esclude, o quasi, 'precipatati' improvvisi, anche se interessanti, importanti e stimolatori di un radicale rinnovamento locale. Come non accogliere gli appelli dei Frontera e dei Paoli a rimboccarsi decisamente le maniche per le competenze e le conoscenze di tutti? come non condividere l'urgenza di uscire dalle secche per non sfasciare definitivamente la barca? Polemiche e responsabilità retrodatate, a tempo e luogo. Ora non è il momento. Verrà anche quello, ma a motore avviato.

Ettore Bettinetti ha detto...

Claudio Frontera, oggi= “La Livorno che vorrei”. Massimo Paoli, ieri = “Così Livorno va alla deriva”. L'ufficio diocesano per i problemi sociali, ultimi tre anni: “per una LIVORNO AL FUTURO”. La situazione è veramente matura per una progettualità comunitaria che, partendo da conoscenze rinfrescate (il più oggettive e meno figlie dell'ansimare locale possibile), conduca ad obiettivi condivisi per i prossimi vent'anni. Già lo annotavamo nel documento per le elezioni amministrative del 2004 e nei comunicati, conseguenti gli incontri dell'ufficio diocesano con sindacati dei lavoratori, coi lavoratori e con gli imprenditori. Il più recente era titolato, non a caso: “Urgente una progettualità ed una operatività in grado di incidere positivamente nel tessuto dell'area livornese”. Puntare uniti verso obiettivi di lungo respiro condivisi. Le tappe intermedie di breve medio periodo sono una conseguenza che, nell'autonomo esercizio dei rispettivi ruoli, ciascuno individua e persegue camminando non a casaccio e raccogliendo ciò che capita a tiro. Come non accogliere, perciò, gli appelli dei Frontera e dei Paoli a rimboccarsi le maniche e mettere veramente in campo le competenze e le conoscenze di tutti a questo scopo? come non condividere l'urgenza di uscire dalle secche? Non è questo il momento di polemiche o denuncia di responsabilità retrodatate. Verranno a tempo e luogo. Verranno a motore avviato. Altrimenti è immobilismo.