lunedì 3 dicembre 2007

La casta partitica non molla il potere

La Repubblica
3 dicembre 2007, pag. 19
di Mario Pirani
Avvertenza per il letto­re: questo è un pezzo sul potere partitocra­tico. Se si parla del di­segno di legge che ha per titolo "Interventi per la qualità e la si­curezza del Servizio sanitario nazionale", approvato dal Consiglio dei ministri, è solo perché lo assumiamo come parametro tipico dell'invadenza della nomenklatura. Ricordo ai lettori che Repubblica ha condotto su questo punto una lunga batta­glia senza successo per ottene­re misure che sbarrassero la ge­stione ospedaliera al potere politico.
Se su quest'ultimo, infatti, ri­cade su scala nazionale e regio­nale il compito di elaborare e fissare le linee guida della politica sanitaria e di quant'altro at­tiene alle strategie per attuarla, questo stesso potere dovrebbe arrestarsi laddove subentra la cura e l'assistenza diretta ai pazienti, soggette, se mai, al filtro tecnico delle indispensabili strutture di verifica e controllo. Figura di raccordo fra i due pia­ni è il direttore generale. A que­sto schema dovrebbero corrispondere criteri di nomina coerenti: i direttori generali, pur es­sendo naturalmente il braccio operativo del governo regionale, andrebbero selezionati in base ad acclarate competenze professionali ma le defatiganti trattative sulla suddivisioni di questi posti tra le varie correnti della maggioranza di volta in volta in auge e la drastica sosti­tuzione di buoni e cattivi senza differenza, quando subentra un'altra maggioranza, com­provano che il criterio è un al­tro: quello della affidabilità e appartenenza politica. Pazien­za se i guasti si fermassero qui e i medici fossero salvaguardati da simile servaggio. Non è così e su queste colonne l'ho raccontato più volte, fino a stanca­re me e i lettori, con molti esem­pie giuste proteste. I primari dei vari reparti o dirigenti di II livel­lo (e, ancor peggio i "primarietti") vengono designati dai direttori generali e così anche i primari, ancor prima di dimo­strare le loro specifiche compe­tenze professionali, sono og­getto di un mercato dove so­vente la presunta affidabilità politica soverchia un curriculum eccellente. Ho detto «pre­sunta» affidabilità perché assai spesso un medico politicamente neutrale deve, se c'è una selezione in vista, cercarsi affanno­samente una qualche sponso­rizzazione partitica per gareggiare con qualche possibilità di successo. Quando ascese al go­verno Prodi ci si attese una svol­ta, anche per il gran parlare che si fece sulla trasparenza, il me­rito, le qualità di eccellenza che andavano raggiunte per far ri­salire l'Italia. Italianieuropei, la fondazione di D'Alema e Ama­to, organizzò tre seminari sulla Sanità dove venne esplicita­mente discussa la proposta, illustrata su Repubblica, per il varo di un sistema concorsuale severissimo per i primari, con esclusione assoluta di qualsiasi ingerenza dei direttori genera­li, ed esito certificato da classi­fiche inderogabili e da giurie qualificate estratte a sorte su scala nazionale. Molte discus­sioni, anche private, ebbero luogo con Livia Turco che si di­chiarò convintissima (non cre­do di svelare un segreto) essere questo l'unico metodo per evitare l'influenza partitica nelle nomine. Non celò, peraltro, qualche preoccupazione per la resistenza delle regioni, in par­ticolare le "rosse" Emilia e To­scana che, dietro l'avallo di una indubbia efficienza, pretende­vano che la legge non scalfisse i poteri di nomina attribuiti ai direttori. Ne è uscita una proce­dura bizantina: la giuria è di cinque membri (di cui uno nominato dal direttore generale) e gli altri quattro scelti (sempre sotto controllo del direttore ge­nerale) fra una rosa di otto pri­mari sorteggiati in ambito re­gionale (perché non naziona­le?). I criteri di valutazione dei concorrenti restano estrema­mente generici. Dopo di che fra tre candidati prescelti senza classifica, sarà sempre il diret­tore generale a decidere. Tanto valeva lasciar le cose come stanno. Quanto al resto della legge vi sono alcune innovazio­ni positive come l'estensione della formazione degli specializzandi agli ospedali e non solo ai policlinici universitari. Assai dubbioso invece il giudizio sul­la creazione di un Sistema na­zionale di valutazione, laddove già esistono l'Agenzia naziona­le per i servizi sanitari regionali, il Siveas (Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assi­stenza sanitaria), l'Agenzia per il farmaco, ecc. Occorrerebbe un organismo tecnico indipen­dente di alta e riconosciuta qualifica, non certo un ennesi­mo ente di nomina pubblica. Resta la fievole speranza che il Parlamento modifichi in me­glio la legge. Ma la sostanziale convergenza di tutte le forze politiche nella manomissione della Sanità lascia pochi spazi.

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