Italia, 16 settembre 2008Il Partito Democratico è sempre più profondamente ammalato: non sa fare opposizione (ha convocato una manifestazione il 25 ottobre senza sapere per cosa si dovrebbe manifestare); la democrazia interna è sempre più debole, tanto che le direzioni nazionale, regionali e provinciali sono state fatte con un listone letto dal segretario e ratificato dai presenti; non è più aperto alla società, ha evitato accuratamente le primarie alle scorse elezioni, aprendo la porta a sconfitte inaspettate e clamorose (da Roma a Viareggio), ed ora sembra pronto a ricascarci, grazie all'europorcellum tentatore. Inoltre la classe dirigente ormai si mostra anacronistica e incapace di rinnovarsi, è il risultato della fusione freddissima tra DS e Margherita, ed ha perso tutta la parte nuova che c'era stata nella fase di gestazione del PD. Per non parlare di come il PD governi stancamente gli enti locali ancora in mano al centrosinistra. Quale è la malattia che ha ridotto così cieca la classe dirigente del PD? Mi rifiuto di pensare che sia la malafede, cioè l'egoismo e la volontà di gestire l'esistente per salvarsi il posto di lavoro nelle giunte, negli enti consorziati e in parlamento. Io credo semplicemente che si sia compiuto un solo errore, ma fatale: si è fatto il PD senza capire che dovevamo anche cambiare il nostro modo di pensare e di agire, ed abbiamo portato nel PD la vera eredità del PCUS, l'ossessione del PCI-PDS-DS, soprattutto dove e quando si governava: la sindrome del controllo totale. Perché non si fanno le primarie? Perché si ha paura di non saper gestire la situazione se non vince il candidato designato. Perché si fanno le liste bloccate? Perché si ha paura di non poter gestire gli equilibri interni se viene eletta quella invece di quell'altro. Provate a pensare a tutte le cavolate recenti del PD, tutte si spiegano con la sindrome del controllo totale. Condizione necessaria per guarire è capire che malattia abbiamo. E qualcuno che provi a fare un pò di terapia sperimentale.
martedì 16 settembre 2008
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1 commento:
Il Partito Democratico ci sta imbrogliando?
Quando ci sono elezioni vicine la situazione si esaspera, accade da sempre. Questa volta poi, nel campo del Partito Democratico, ci sono alcune novità che contribuiscono a esasperarla ancora di più: una sono le primarie, l’altra (ancora più importante) è che i lavori per costruire veramente il PD sono in corso, anzi sono appena iniziati.
L’atmosfera che mi sembra di percepire è di sbando, soltanto che non è quel tipo di sbando che segue alla demolizione di qualcosa, ma che precede la costruzione di quel qualcosa. Ci sono mille visioni diverse (e non tutte ben organizzate) che cercano di imporsi sulle altre; e poi ci sono le ambizioni personali, le voglie di rivalsa, l’idea di poter approfittare della confusione per salire qualche gradino….insomma, c’è di tutto.
Particolarmente agitati e rumorosi sono coloro che imbracciano e sventolano la bandiera delle primarie, da loro intese non semplicemente come uno strumento per selezionare i futuri dirigenti, ma come una prova che, a seconda di come la si affronterà, farà capire di quale pasta è fatto questo PD. Le primarie, dicono più o meno, non sono un semplice momento di passaggio, sono al contrario il momento decisivo della fondazione del partito. E contestano aspramente le affermazioni fatte dei vertici del partito che ai loro occhi sembrano sminuirne l’importanza e, ancora più aspramente, quelle nelle quali gli pare di scorgere il fastidio che i capi dimostrerebbero verso le primarie veramente libere.
Il mio istinto abbastanza ribelle mi porterebbe a schierarmi dalla parte dei duri-e-puri-delle-primarie, ma l’abitudine ad affrontare con distacco i problemi mi induce a non farlo. Il motivo è molto semplice: qualsiasi tipo di organizzazione deve avere un abbozzo di forma iniziale e la sua progettazione non può essere di competenza che di coloro che sono stati eletti per guidare quella nascente organizzazione. E’ questo insomma il vero primo mattone: l’insieme degli organismi che sono stati eletti. Loro la forma dell’oggetto da costruire l’hanno soltanto abbozzata e neanche con inchiostro indelebile, ma soltanto a matita. Quel contorno va rispettato, i colori vanno messi dentro il suo perimetro, non si può permettere a ciascuno di colorare dove gli pare, magari sopra i colori stesi da un altro.
Esco dalla metafora: anni fa il Partito Democratico americano era messo molto male. Prima fu necessario rimettere in ordine i suoi conti; fatto questo fu affidata la sua conduzione a un segretario di ferro: Howard Dean. Sotto la sua guida quello che era un partito rarefatto è diventato una organizzazione compatta e radicata sul territorio. Questo non ha affatto ridotto i margini di libertà del singolo militante e dirigente, soltanto che ha indirizzato e convogliato le loro energie e ha potenziato la squadra. L’esempio come si vede riguarda un partito davvero democratico di una nazione che, almeno a me, sembra democratica; non sono andato a cercare il Partito Comunista cinese.
Ci si iscrive in un partito per fare qualcosa insieme agli altri. E’ questo qualcosa che importa e per farlo, dato che lo riteniamo utile per migliorare la società, dobbiamo essere disposti a cedere qualcosa, anche qualcuna delle nostre nobilissime intenzioni.
Il Partito Democratico secondo me non sta imbrogliando nè tradendo nessuno, sta soltanto cercando di nascere con i piedi saldi per terra e la testa ben funzionante. L’importante è che gli attuali dirigenti riescano a conciliare la necessità di frenare lo spontaneismo di tanti con quella di costruire un partito in cui la partecipazione attiva sia considerata un principio fondante. Se a questo si uniranno le energie che oggi troppo spesso vengono spese immaginando una forma partito che non può reggere, il successo sarà possibile.
Roberto Malfatti
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