sabato 6 settembre 2008

Un articolo di Massimo Paoli

L’industria dell’auto sta vivendo un momento di reale fibrillazione dovuto alla repentina quanto negativa svolta congiunturale dei mercati serviti.
Da un lato la crisi economica libera un sempre minor reddito disponibile per spese “importanti” nelle mani degli utilizzatori-consumatori.
Dall’altro l’elevato controllo oligopolistico della raffinazione, ormai di nuovo in mano ad una sorta di “sette sorelle”, rende molto rigido e alto il prezzo delle varie benzine potendo prendere a scusa e rialzare, quando il prezzo del petrolio greggio rialza, ma evitando accuratamente di ribassare (almeno nelle stesse proporzioni del rialzo), quando questo arretra.
Due fenomeni che convergendo hanno depresso la capacità di acquisto di auto a livello internazionale.
Ma non è vero che va male per tutti. Non va male per chi ha saputo interpretare la traiettoria tecnologica del risparmio energetico (vedi Toyota), non va male per chi ha saputo interpretare la traiettoria tecnologica del minor impatto ambientale (di nuovo vedi i giapponesi e qualche europeo), non va male per i produttori emergenti dei paesi in via di forte sviluppo (vedi Tata). Va malissimo invece per le “immagini ambulanti” dello spreco e dell’insensibilità ambientale (vedi i mercati SUV statunitense, anche -30% nel corso d’anno, ed europeo).
L’area vasta pisano-livornese vanta un insediamento di componentistica auto che era forte (ai tempi belli contava quasi 3mila occupati diretti ecc. ecc.).
Oggi si dice che i problemi di questo insediamento industriale sono riferibili alla crisi Fiat. E’ vero, ma questo dipende forse dal destino “cinico e baro”?
No, ovviamente, questo dipende unicamente dal fatto che questo importante insediamento industriale, l’area vasta l’ha ricevuto in omaggio dalla storia.
Non l’ha programmato veramente, non ha scelto i suoi protagonisti (per alcuni ci è andata benissimo, per altri no, e credo che gli operai della Delphi se lo stiano chiedendo a chi è andata peggio), non ha scelto i loro ruoli nella filiera automotive, ha subito più che governato praticamente tutti gli insediamenti.
In termini tecnici si potrebbe dire che è mancato del tutto anche solo uno straccio di politiche per il marketing d’area al fine dell’attrazione di investimenti industriali.
E questa nel 2008 comincia ad essere una grave responsabilità politica.Quindi non si dica che va male qui (ed i nuovi problemi di Magna non sono che scricchiolii sinistri che dovrebbero aguzzare l’ingegno e non il piangersi addosso) perché va male dappertutto. Non è così e non ce la possiamo cavare dando la colpa al fato, o peggio riferirsi alla bieca filosofia del “mal comune mezzo gaudio”, perché il mal comune non ha conseguenze “comuni” (i bravi ed i fortunati non se la passeranno come i gonzi) e perché con un intelligente marketing per l’attrazione degli investimenti le cose potrebbero andare ben diversamente

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