Istruzione: non solo tagli ma strategie studiate a tavolino
Molto si è parlato in questi giorni della “bufera Gelmini” con tutto il flusso di detriti che porta con sé un’ondata di piena che di fatto copre quanto di buono si era cominciato a fare per avvicinare l’Italia ai nuovi standard europei di istruzione e formazione che partiranno ufficialmente e presumibilmente senza ritardi dal 2012.
In tutte queste discussioni si è spesso attribuito al decreto che vuol riformare il sistema scolastico una sottesa volontà non tanto dettata da scelte di merito ma semplicemente dalla necessità di far quadrare i bilanci dello stato facendo passare l’idea che questa sia la vera ragione che travalica e domina quella della riforma del sistema scolastico.
Ora, se sicuramente l’obiettivo di far quadrare il bilancio non è assente da questo ragionamento è anche vero che dobbiamo considerare se ci siano delle altre questioni, più nel merito delle scelte politiche di cui il governo Pdl è portatore e che si esprimono in modo chiaro anche riguardo ai temi dell’istruzione e della formazione. Parlare quindi solo di necessità di bilancio che dettano tutte le politiche del governo potrebbe essere solo una parte del problema e, da un certo punto di vista, neanche la più grave, per quanto negativa.
Una prima considerazione riguardo all’approccio conservatore riguarda il concetto di costo applicato all’erogazione dei servizi pubblici, fra cui intendiamo anche l’istruzione e i servizi scolastici. Parlare in modo generico di tagli porta infatti con sé una precisa filosofia che vede il servizio pubblico solo come un costo e non già come investimento. Questo significherebbe, secondo il primo approccio, che un servizio pubblico, che quindi porta con sé un alto “ritorno” in termini di “valore sociale” viene interpretato solo dal punto di vista del valore economico nella misura in cui debba produrre utili o efficienza solo contabile.
Il problema, che è tuttora parte di ampi dibattiti su scala mondiale su cui si interrogano molti economisti e sociologi a diversi livelli è che pare ormai accertato come un investimento sui servizi sociali, che di per sé può essere guidato si da criteri di efficienza nell’utilizzo delle risorse ma senza essere comandato solo dall’analisi costo-beneficio economica deve (dovrebbe) essere misurato nel valore di crescita sociale che realizza verso una comunità, sia nazionale che territoriale/locale. Ed è pure ormai dimostrato come questo risultato sociale sia in realtà ben misurabile, non sia cioè solo una bella dichiarazione d’intenti. Infatti, attraverso specifiche analisi dell’incremento del Pil, sia a livello nazionale che locale è possibile misurare quanto un servizio strategico per la crescita sociale di una comunità possa incidere nel miglioramento dei parametri di misura del benessere della stessa.
In questo senso un governo che parla solo di tagli alla scuola potrebbe far pensare che stia cercando di consolidare un vero e proprio approccio politico dettato da una precisa filosofia di pensiero di stampo un po’ antico e non già di rispondere solo a necessità di tipo contingente. E questo, se così fosse, sarebbe ancora più grave poiché dimostra il tentativo di incidere in modo profondo nel contesto e nei modi in cui si manifesta la vita sociale di un paese senza che i cittadini abbiano piena coscienza della reale portata del cambiamento che è in atto e, soprattutto, delle conseguenze negative che ne deriveranno oltre quelle immediate dei tagli al personale della scuola e il decadimento dei livelli qualitativi di erogazione dei servizi.
Ma non è solo questo. L’altro approccio o filosofia che sembra essere sottesa riguarda l’istruzione e la formazione e, vede la contrapposizione fra un modello di apprendimento “cognitivo” (uso il termine per semplificare) rispetto ad un modello che valorizza i risultati di apprendimento (che è quello europeo). Cioè si assiste ancora una volta ad estenuanti dibattiti sui tempi di fruizione della materia oggetto di studio ma non si accenna a come i risultati di apprendimento, che ogni persona produce in modo diverso e a seconda del contesto formativo-educativo in cui si trova a vivere, vengano in realtà prodotti e realizzati. Peccato che l’Unione Europea abbia “partorito” un sistema denominato EQF (European Qualification Framework) che identifica 8 livelli di apprendimento, da quello di base all’alta formazione, e che legge ogni livello in termini di risultato di apprendimento, in modo indipendentemente (come concetto) dai tempi e dai modi in qui questo possa essere avvenuto, in questo volendo considerare anche gli apprendimenti non formali che derivano da esperienze di lavoro o di vita e non solo quelle scolastiche in senso stretto.
E’ questa una novità importante, che cela una sua complessità di cui qui non mi dilungo e sarà pienamente attuata a partire dal 2012 alla fine di un lungo periodo di sperimentazione, e che ha visto già molti soggetti muoversi nella giusta direzione, fra le prime sicuramente la Regione Toscana e lo stesso governo Prodi attraverso alcuni provvedimenti significativi presi dall’allora ministro Fioroni.
Tutto questo che fine farà? Il dubbio è quindi che la nuova riforma che il ministro Gelmini ci propone sia espressione non solo della volontà di operare tagli, ma anche nell’intenzione di voler applicare una sorta vetero-liberismo (contrapposto al welfare, per quanto in discussione) e di una buona dose di antieuropeismo o euroscetticismo che dir si voglia. Di questo è opportuno essere consapevoli.
Daniele Bettinetti
Esperto di formazione, consulente Sistema Regionale delle Competenze, Regione Toscana
L'articolo è stato pubblicato su Il Corriere di Livorno del 20 ottobre
Molto si è parlato in questi giorni della “bufera Gelmini” con tutto il flusso di detriti che porta con sé un’ondata di piena che di fatto copre quanto di buono si era cominciato a fare per avvicinare l’Italia ai nuovi standard europei di istruzione e formazione che partiranno ufficialmente e presumibilmente senza ritardi dal 2012.
In tutte queste discussioni si è spesso attribuito al decreto che vuol riformare il sistema scolastico una sottesa volontà non tanto dettata da scelte di merito ma semplicemente dalla necessità di far quadrare i bilanci dello stato facendo passare l’idea che questa sia la vera ragione che travalica e domina quella della riforma del sistema scolastico.
Ora, se sicuramente l’obiettivo di far quadrare il bilancio non è assente da questo ragionamento è anche vero che dobbiamo considerare se ci siano delle altre questioni, più nel merito delle scelte politiche di cui il governo Pdl è portatore e che si esprimono in modo chiaro anche riguardo ai temi dell’istruzione e della formazione. Parlare quindi solo di necessità di bilancio che dettano tutte le politiche del governo potrebbe essere solo una parte del problema e, da un certo punto di vista, neanche la più grave, per quanto negativa.
Una prima considerazione riguardo all’approccio conservatore riguarda il concetto di costo applicato all’erogazione dei servizi pubblici, fra cui intendiamo anche l’istruzione e i servizi scolastici. Parlare in modo generico di tagli porta infatti con sé una precisa filosofia che vede il servizio pubblico solo come un costo e non già come investimento. Questo significherebbe, secondo il primo approccio, che un servizio pubblico, che quindi porta con sé un alto “ritorno” in termini di “valore sociale” viene interpretato solo dal punto di vista del valore economico nella misura in cui debba produrre utili o efficienza solo contabile.
Il problema, che è tuttora parte di ampi dibattiti su scala mondiale su cui si interrogano molti economisti e sociologi a diversi livelli è che pare ormai accertato come un investimento sui servizi sociali, che di per sé può essere guidato si da criteri di efficienza nell’utilizzo delle risorse ma senza essere comandato solo dall’analisi costo-beneficio economica deve (dovrebbe) essere misurato nel valore di crescita sociale che realizza verso una comunità, sia nazionale che territoriale/locale. Ed è pure ormai dimostrato come questo risultato sociale sia in realtà ben misurabile, non sia cioè solo una bella dichiarazione d’intenti. Infatti, attraverso specifiche analisi dell’incremento del Pil, sia a livello nazionale che locale è possibile misurare quanto un servizio strategico per la crescita sociale di una comunità possa incidere nel miglioramento dei parametri di misura del benessere della stessa.
In questo senso un governo che parla solo di tagli alla scuola potrebbe far pensare che stia cercando di consolidare un vero e proprio approccio politico dettato da una precisa filosofia di pensiero di stampo un po’ antico e non già di rispondere solo a necessità di tipo contingente. E questo, se così fosse, sarebbe ancora più grave poiché dimostra il tentativo di incidere in modo profondo nel contesto e nei modi in cui si manifesta la vita sociale di un paese senza che i cittadini abbiano piena coscienza della reale portata del cambiamento che è in atto e, soprattutto, delle conseguenze negative che ne deriveranno oltre quelle immediate dei tagli al personale della scuola e il decadimento dei livelli qualitativi di erogazione dei servizi.
Ma non è solo questo. L’altro approccio o filosofia che sembra essere sottesa riguarda l’istruzione e la formazione e, vede la contrapposizione fra un modello di apprendimento “cognitivo” (uso il termine per semplificare) rispetto ad un modello che valorizza i risultati di apprendimento (che è quello europeo). Cioè si assiste ancora una volta ad estenuanti dibattiti sui tempi di fruizione della materia oggetto di studio ma non si accenna a come i risultati di apprendimento, che ogni persona produce in modo diverso e a seconda del contesto formativo-educativo in cui si trova a vivere, vengano in realtà prodotti e realizzati. Peccato che l’Unione Europea abbia “partorito” un sistema denominato EQF (European Qualification Framework) che identifica 8 livelli di apprendimento, da quello di base all’alta formazione, e che legge ogni livello in termini di risultato di apprendimento, in modo indipendentemente (come concetto) dai tempi e dai modi in qui questo possa essere avvenuto, in questo volendo considerare anche gli apprendimenti non formali che derivano da esperienze di lavoro o di vita e non solo quelle scolastiche in senso stretto.
E’ questa una novità importante, che cela una sua complessità di cui qui non mi dilungo e sarà pienamente attuata a partire dal 2012 alla fine di un lungo periodo di sperimentazione, e che ha visto già molti soggetti muoversi nella giusta direzione, fra le prime sicuramente la Regione Toscana e lo stesso governo Prodi attraverso alcuni provvedimenti significativi presi dall’allora ministro Fioroni.
Tutto questo che fine farà? Il dubbio è quindi che la nuova riforma che il ministro Gelmini ci propone sia espressione non solo della volontà di operare tagli, ma anche nell’intenzione di voler applicare una sorta vetero-liberismo (contrapposto al welfare, per quanto in discussione) e di una buona dose di antieuropeismo o euroscetticismo che dir si voglia. Di questo è opportuno essere consapevoli.
Daniele Bettinetti
Esperto di formazione, consulente Sistema Regionale delle Competenze, Regione Toscana
L'articolo è stato pubblicato su Il Corriere di Livorno del 20 ottobre
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