martedì 14 ottobre 2008

SUICIDIO DEL CAPITALISMO FACILE


MARTEDÌ, 14 OTTOBRE 2008
Il Tirreno
LE RAGIONI DELLA CRISI
MASSIMO PAOLI
La crisi finanziaria che sta scuotendo il mondo, come tutti i grandi eventi economici mette in discussione il sistema. In molti oggi pensano di riconoscere in questa crisi l’inizio della fine del capitalismo. In realtà il capitalismo cui sembrano pensare quelli che ritengono o sperano che abbia finalmente iniziato il suo definitivo declino è già morto da tempo, e senza averli avvertiti. Questa infatti non è la crisi del capitalismo liberale, è semmai, la crisi prima di tutto ideologica, oltre che tecnica, della degenerazione di quella forma del capitalismo. E’ la sconfitta di un sistema di valori che non appartiene affatto al rigore ideale di quel modello (che, vedrete, da domani sarà rievocata e rimpianta da molti). E’ la crisi del capitalismo oligarchico-populista e post-industriale, del capitalismo facile, quello di carta appunto, nel quale anche un “bischero” qualsiasi può fare soldi e un “genio” perderli, perché il principio non è più lo “scambio” di un bene o servizio che prima di tutto deve essere pensato e poi prodotto con tutti i rischi e la complessità che ciò comporta, ma la “scommessa” fine a sé stessa. Un capitalismo che non richiede competenze tecnologiche e organizzative, saperi ed esperienze, è il capitalismo dei 28enni (mille scuse ai 28enni bravi) come si disse, quando qualche anno fa un giovinastro che, sorprendentemente, poteva operare senza limiti e senza controllo fece fallire la banca Barclays. Un capitalismo che non è più fondato sugli ideali di realizzazione, per i quali l’importante era concretizzare i propri sogni, ma su quelli fondati sulla pura accumulazione del danaro senza aggettivi. Un capitalismo che cede alla mitologia del denaro fine a sé stesso anche le sue logiche più profonde a partire dai principi meritocratici. Che senso ha in effetti che il maggior responsabile di Lehman Brothers nell’anno del fallimento della banca da lui diretta abbia guadagnato come sembra oltre 400 milioni di dollari? Questo non è capitalismo è la sua degenerazione post-industrial-managerial-finanziaria. Una degenerazione pericolosa perché alla fine induce fenomeni “reali” profondi. Qualche anno fa, nel mio piccolo, anticipando questo tema me la prendevo con questa tendenza anticapitalistica del capitalismo finanziarieggiante, mettendo in luce come i 500 top manager delle imprese di maggior valore quotate a Wall Street già nel 2005 guadagnavano diverse volte il monte salari di tutti i loro addetti, ma, affermavo, non avrebbero mai consumato quanto i loro addetti (soprattutto se questi avessero guadagnato anche solo poco di più, magari a discapito dei loro sontuosi stipendi). La via che ha condotto questo capitalismo post-industriale ad affossare sé stesso è anche costellata di queste scempiaggini. Distruggere la classe media arricchendone una parte, iper-minoritaria, e ploretarizzandone un’altra, ultra-maggioritaria, è la strada maestra per un ritorno ad un capitalismo cavernicolo ben conosciuto. Perché distruggere i redditi medi significa far crollare i consumi, indebolire la domanda aggregata interna e via con la più semplice e conosciute delle spirali perverse. E’ anche vero che intere popolazioni vivevano e vivono molto al disopra dei loro mezzi e come per qualsiasi famiglia, prima o poi questo provoca una razionalizzazione. Quello in corso è quindi anche un necessitato riassestamento del tenore di vita dell’intero popolo nord americano, seguirà inevitabilmente qualche cosa di analogo anche per la vecchia Europa, speriamo che i nuovi attori sulla scena economica mondiale, India, Cina, resto dell’Asia e finalmente anche diversi paesi del sud-america, compensino la frenata con la loro dinamicità. Se conoscessimo i confini del dissesto, oggi potremmo fare anche altre e più precise valutazioni, invidio molto chi a questo punto della crisi sembra avere già le idee chiare. Io non me la sento ancora di parlare di conseguenze, la crisi è appena iniziata e mi sembra proprio di essere immerso in uno degli aforismi più belli e misteriosi di Eraclito: il fulmine governa ogni cosa. Il fulmine nella notte ci illumina e d’improvviso scorgiamo tutto quanto intorno a noi, ma subito tornano le tenebre, che a quel punto sembrano ancora più profonde. Così siamo adesso, un fulmine ogni tanto ci illumina e ci sembra di aver capito, ma subito è di nuovo tutto buio.

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