domenica 24 agosto 2008

SE FOSSERO VERE PRIMARIE...

IL TIRRENO
DOMENICA, 24 AGOSTO 2008

Il popolo riformista di centro e di sinistra non è mai stato così frastornato come oggi. La sconfitta elettorale di aprile è stata dura e per molti inattesa, almeno nelle dimensioni; la nuova leadership veltroniana, nonostante un significativo 33 per cento, ne è uscita colpita e indebolita; la sinistra radicale è scomparsa dal Parlamento mentre è emersa una fascia fortemente protestataria che si riconosce in Antonio Di Pietro. Quando si perde, poi, più marcate emergono discrepanze e contraddizioni che una vittoria avrebbe invece aiutato a ricomporre o a mascherare. E dio solo sa quanto profonde siano le diversità d’accento all’interno del giovane Partito democratico. È così che il gruppo dirigente battuto da Berlusconi si presenta alla festa di Firenze (del Pd? dell’Unità?), il tradizionale appuntamento con il quale riprende il dibattito politico dopo la pausa estiva. Vedremo, ascolteremo, cercheremo di capire. Ma l’impressione è che nessuno abbia chiaro in mente che cosa fare, quale sia il progetto sul quale impegnare la nuova formazione, e duole che l’estate se ne sia andata solo nel valutare se fosse opportuno o meno partecipare a varie commissioni bipartisan (Alemanno, Calderoli) per discutere di non meglio definite riforme e nel vano impegno di regolare vecchi conti interni: le discussioni masochiste sulle scelte di Chiamparino, l’amaro caso Bassolino (se ne ricordano ora?), la guerra sul nome di candidati a cariche importanti (valga per tutte la poltrona di sindaco di Firenze). In quanto alle truppe del Pd il rischio, per dirla con Arturo Parisi, “è che precipitino dalla schizofrenia alla depressione”. Il caustico ex ministro sarà anche un ferreo oppositore della leadership veltroniana, ma per arrivare a parlare così le cose da quelle parti non devono andare per niente bene. Certo, “depressione” suona alquanto provocatorio, ma che cambia se scegliamo invece delusione, disaffezione, incertezza? Quel che è certo è che sarà maledettamente difficile ridare slancio all’opposizione e a chi ha scommesso sul neonato partito del centro sinistra. Per una questione di contenuti, ma anche di modi e di forme che in politica contano altrettanto e che forse si stanno colpevolmente sottovalutando. Nel passato recente, i soli due momenti in cui militanti e simpatizzanti del centro sinistra si sono ritrovati uniti e vogliosi di ricominciare a combattere è stato quando sono stati chiamati a votare per le primarie, per scegliere Prodi prima e Veltroni poi come candidato premier. È vero, allora c’era un nemico da combattere - Berlusconi - capace di chiamare al voto e di mettere tutti d’accordo, ma non si deve dimenticare che nelle file del Pd le prime delusioni sono cominciate quando dalle primarie nazionali si è passati a quelle locali e al responso popolare si è preferito il voto di apparato. Con il risultato che in molti casi sono state poi le stesse elezioni a trasformarsi in paradossali primarie, il che ha inevitabilmente penalizzato i candidati di bandiera, da Roma a Pisa a Carrara. Temo che il meccanismo al quale si sta pensando per i prossimi appuntamenti elettorali non sia quello che gli elettori si aspettano: saranno molto probabilmente primarie di coalizione e non di partito. Una scelta difensiva il cui unico scopo sembrerebbe quello di non dare ulteriori scossoni a equilibri interni e di alleanze già difficili e precari. E invece da oggi in poi non è questo in discussione, ma prima di tutto la capacità di conservare e “fidelizzare” quanti hanno creduto nella novità del Pd, riportarli a discutere, a credere nel loro ruolo e nella possibilità di incidere sulle scelte successive. Ad avere fiducia in un progetto e in un partito che fin dalla definizione del suo gruppo dirigente mostri di credere in comportamenti affatto diversi da quanti si siano visti finora. È una scommessa, ma non ci sono molte alternative.
Bruno Manfellotto
P.S. A proposito di festa dell’Unità: un abbraccio affettuoso ad Antonio Padellaro e auguri alla “nostra” Concita De Gregorio.

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