mercoledì 27 agosto 2008

Ancora sulle primarie : una riflessione a seguito dell' articolo di Marco Filippi

L’ultimo editoriale del Direttore del Tirreno ha individuato il tema delle primarie come dirimente per il futuro del Pd. Il bivio è chiaro. Da una parte la strada che vede le primarie (secondo lo Statuto parte costitutiva del DNA del PD) come un valore e anche come strumento per conciliare unità e partecipazione, ruolo degli iscritti e proiezione esterna del partito, aiutandolo a superare le difficoltà attuali in una prospettiva di forte apertura; dall’altra la strada che, senza negare apertamente le primarie, le sommerge di “se, ma, però, tuttavia”, ne svuota il significato innovativo e difende una concezione statica e chiusa del partito.
Queste due direzioni di marcia si sono materializzate negli interventi che hanno fatto seguito all’editoriale. Da una parte Claudio Frontera, apprezzando l’accordo di Firenze per “primarie di coalizione aperte”, voluto dal segretario regionale Manciulli, sollecita il PD ad abbracciare dovunque, anche a Livorno, senza riserve, la via dell’innovazione. Se messo in condizione di partecipare serenamente alla scelta dei candidati e della classe dirigente, il “popolo delle primarie” darà prova di maturità e di capacità di leggere i contenuti politici espressi dalle diverse candidature.
Questa opzione, non a caso manifestata da chi crede nella novità del PD da molto prima dei congressi costitutivi, è la via dell’innovazione e della fiducia negli iscritti. E’ una via costruttiva, per l’unità del partito, intesa nell’unico modo in cui oggi si può praticare e cioè come rispetto e cittadinanza di una pluralità di culture politiche.
L’altra strada si è manifestata nell’intervento di Marco Filippi nel quale le primarie retrocedono al banale compito di ratificare scelte fatte dall’alto, in un’ottica vecchia, in cui la funzione dirigente del partito è letta come “prerogativa di un gruppo”. Le opinioni diverse dalla sua non sono riconosciute come legittime, ma bollate come “distorsioni”. Agli iscritti e agli elettori del PD non viene riconosciuta maturità e capacità di giudizio autonome, ma solo l’opportunità di adeguarsi a scelte fatte come se fossero le sole possibili. Conseguentemente si alimentano fantasmi di presunti, perfidi candidati alla ricerca di spazio, senza parlare dei “candidati di fatto” attivissimi nel non lasciare “spazio”. Tra l’altro, in modo incomprensibile per i più, si rievocano passate “consultazioni interne”, nelle quali , pur ottenendo zero preferenze nelle consultazioni, in virtù delle “prerogative del gruppo dirigente”, il nome di Filippi uscì a sorpresa come candidato senatore ed automaticamente, in base alla legge elettorale-“porcellum”, “nominato” parlamentare, ruolo nel quale è stato successivamente, senza primarie o consultazioni, confermato d’ufficio. E’ questo il modello? L’invocazione di umiltà, nonché di gratitudine verso chi in passato gli ha aperto le strade dell’impegno politico, Filippi dovrebbe comunque rivolgerle solo a se stesso. Il bivio è chiaro: è tra due strade e non tra due persone. Chi non vuole che il PD cresca, accentua - e sicuramente accentuerà anche nelle prossime settimane - la lettura personalistica del dibattito interno, sperando nel traino assicurato da chi ricopre pro tempore incarichi importanti, non importa se per merito o per fedeltà. Chi dà fiducia al partito richiama invece l’attenzione agli argomenti , con quell’ottimismo della volontà che è alla base della politica come servizio e non della politica come carriera.


Daniela Miele
Coordinatrice territoriale
Associazione INCONTRIAMOCI
Livorno 27/08/08

2 commenti:

Ettore ha detto...

Cara Daniela,
concordo. Non abbiamo il problema di scegliere Franco o Giuseppe, Laura o Elena; ma la necessità e l’urgenza di definire il percorso di costruzione del PD ai vari livelli (che non può essere quello concordato in questo o quel clan, di vecchia o nuova discendenza) o soprattutto individuare gli obiettivi generali, regionali e locali attraverso un processo credibile di formazione delle decisioni. Un percorso che riguardi prima di tutto il ‘cosa’ e poi il ‘chi’ è in grado di rappresentarla ai vari livelli. La memoria del passato e la capacità e possibilità di leggere il presente sono essenziali, perciò le primarie sono uno strumento di sintesi di quanto percepito nel breve periodo in una data realtà ‘territoriale’ non la proposta delle scelte di questo o quel gruppo interno od esterno al partito, di recente o antica composizione. A Livorno istituzioni e partito tendono ad essere un tutt’uno con la conseguente ricaduta negativa. C’è chi cerca lo scontro sulle persone per nascondere, probabilmente, la debolezza della propria proposta e posizione (quando ce n’è una!) o riscopre l’antica abitudine della propria fazione a confondere l’organizzazione del consenso alle proprie posizioni ed idee come il solo momento ‘democratico’ possibile (salvo farne a meno perché ‘i tempi sono stretti e non lo consentono’). Non per caso avverto, come molti e non da oggi, la mancanza di un “progetto Livorno” condiviso, che guardi ai prossimi 15-20 anni. Possiamo permetterci il lusso di continuare a farne a meno?
Ettore Bettinetti

PrecarioinRAI ha detto...

Concordo anch'io. Livorno ha bisogno di progettualità e soprattutto di un confronto costruttivo sulle scelte future, che vada oltre la gestione del presente e la riparazione dei danni provocati da errori passati. Lo spirito delle primarie, per come lo intendo io, deve andare oltre i personalismi. Non intendo aggiungere altro al commento di ettore, ha già detto tutto lui, con molta chiarezza e apprezzabile capacità di sintesi.