Ecco in versione integrale il commento di cui è uscita il 15 giugno un’ampia sintesi sul “Tirreno”
TOCCA PRENDERLA DI PETTO
Il mio commento al voto ha corso molto sulle ali del web e mi ha fatto giungere messaggi da molti giovani amici, in prevalenza toscani ma un po’ da dovunque, che si interrogano sul futuro del Pd.
Le domande
Sono sempre gli stessi, perché non ci consultano? L’apparato è inamovibile? Perché si parla di scissione? Sollecitano ai propri dirigenti risposte che non arrivano. Mi permetto allora di intervenire di nuovo.
Avete ragione
Avete ragione, ma così tanta ragione che l'unica conclusione a cui si può giungere è che il partito del "popolo delle primarie", il partito del "si può fare", il partito del nuovo, della ragionevolezza e della speranza, allo stato, ha fallito e, forse, se non ci saranno scosse radicali, è destinato al peggio. O a sopravvivere per inerzia.
I molti perché
I perché sono molti, stanno a Roma, ma stanno anche in ognuna delle sedi territoriali e delle teste dei dirigenti dei due partiti d’origine che frequentano una contraddizione insanabile tra il dire e il fare. Ci sono mille esempi (mercoledì scorso sul Corriere, Galli Della Loggia ne fa uno – che riprenderò), molti anche nei nostri pressi.
Domande
Alle vostre domande che contengono una qualche salutare ingenuità vorrei aggiungerne altre. Chi ha deciso chi fossero i candidati sindaci? Come? Chi ha deciso chi fossero i candidati al parlamento? Come? Chi ha deciso quali fossero le alleanze sui territori? Come? Oltre a non aver consultato nessuno, vi risulta che - di questo - qualcuno sia stato almeno informato prima? A me no. Chi ha deciso i programmi locali di governo? Chi ha messo la sicurezza al primo posto in termini così scriteriati e perentori? C'è stato un assalto all'arma bianca dei rom e me lo sono perso? C'è stata un'assemblea generale e me la sono persa?
Io iscritto?
Per fare una cosa nuova bisogna essere nuovi o, almeno, produrre nuove idee. Accreditare correnti e correntine, lobbies da due soldi come è avvenuto ovunque (a Roma, a Venezia, a Taranto, a Pisa eccetera eccetera eccetera) è semplicemente il contrario di quel che andava fatto. Ma è stato fatto, e ora? Ora solo un cedimento strutturale o un sussulto possono rimediare a una situazione che sembra l'ultimo baluardo di una resistenza conservatrice destinata comunque a soccombere. C'è un'altra possibilità che sta prendendo piede (D'Alema ha dichiarato: "Io iscritto al PD? Non mi risulta. Sono un simpatizzante, diciamo"): ognuno torna a casa propria.
Se ci fosse Obama
Scelta sciagurata ma meno ipocrita, forse, di questo limbo dove si galleggia tra poltrone, poltroncine e municipalizzate. Dove ognuno pensa a rivendicare per sé e i suoi. Dove si ha un concetto di proprietà di un partito che era nato per cancellare quel concetto. Dove chi dissente o interroga è un nemico animato da chissà quali reconditi fini. Dove, comunque, il dialogo, il confronto, sono aboliti. Qualcuno mi ha scritto: “ci vorrebbe Barack Obama”, e si è risposto che con queste teste, con queste regole (le firme, le appartenenze, le quote, i tempi), avrebbe difficoltà a candidarsi al consiglio comunale di Lamporecchio.
La casta siamo noi
Il ceto politico (materialmente lo stesso da decenni) che ci ha portato fin qui galleggia nel proprio brodo, si autoriproduce o si ricambia solo con delle controfigure cooptate e perciò conniventi (i "giovani dirigenti" spesso non sono migliori, anzi). Avete traccia di persone nuove (davvero) in qualche anfratto della nomenclatura cittadina, regionale, nazionale? La famosa casta - lo avevo già scritto - è identificata nei politici del centrosinistra, gli altri sono ritenuti altro dagli elettori.
Incorreggibili
Come avrete capito sono radicalmente pessimista. Non vedo circolare lo straccio di un'idea. Non vedo possibilità di cambiare. Vedo, invece, un governo che acquisisce meritatamente popolarità con scelte (per ora annunciate, è vero, ma almeno annunciate), alcune anche giuste, che la nostra storica propensione al litigio e alla mediazione al ribasso ci ha impedito di compiere. La situazione e i suoi responsabili sono incorreggibili, siamo spacciati e per molti anni.Che fare?Se continua così, la pietra tombale verrà dagli esiti delle prossime elezioni amministrative.
Che fare, dunque?
Sciolti direi. Chi, come me, ha frequentato questa speranza vivendola come un’ultima spiaggia, ha un'età per cui non è pensabile che possa progettare qualcosa che vedrà realizzato, si metterà il cuore in pace e, dalla finestra, guarderà, spero, qualcuno di voi che, forte di un'altra età, smetta di fare domande e prenda l'iniziativa. Proponendosi esponendosi.
Proponetevi
Perché dobbiamo pensare sempre che il problema è altro da noi? Che qualcuno ci deve rendere conto? Che noi siamo i buoni e ci basta questa consapevolezza, intima e narcisistica, e qualcun altro ci debba - addirittura - questo riconoscimento? Le risposte che aspettate non ve le darà nessuno, provate a prendervele. Lo spazio è poco ma il mugugno è altissimo e molto molto diffuso. Il perché di quel che è avvenuto, anche in Toscana, sta anche nel fatto che pochi - se non certi vecchi arnesi che gridavano come Sansone - hanno compiuto questa scelta. Per pudore, per pigrizia, per conformismo, per pavidità, per calcolo. Perché ci hanno fatto credere che le regole del gioco fossero quelle.
Uccidere il padre
Della Loggia conclude il suo ragionamento dicendo che bisogna uccidere il padre (il vecchio apparato) e poi procedere a una selezione dei nuovi senza criteri di provenienza, ha ragione. Mescolarsi a partire dal merito, aggiungo io. Solo voi, però, potete farlo. Se fosse avvenuto, qui e altrove, le cose non sarebbero andate così. Lì sta la speranza. Lo so è difficile, faticoso, crudele forse, ma quella è la via. Prenderla di petto. L'alternativa è il lamento perpetuo. Un mio amico diceva: "Se non hai una soluzione fai parte del problema", mi è sempre sembrato un grande insegnamento e un ottimo motivo per averlo amico.
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