mercoledì 4 giugno 2008

La Bisteccopoli dei Marta boys così affonda Genova la rossa

LA REPUBBLICA

30 Giugno
Dalla Curia alla sinistra, il declino della Lanterna
Uno scandalo da recessione, con mazzette da 5000 euro nemmeno date ma promesse
Sotto accusa i giovani rampanti che circondavano il sindaco nella sfida elettorale
Ma il filone più consistente riguarda Profiti, "pezzo grosso" del Vaticano

CURZIO MALTESE
GENOVA - Uno scandalo da quattro soldi sta facendo crollare il «muro di Genova», l´ultima roccaforte rossa d´Italia. E´ una tangentopoli da recessione, con mazzette da cinquemila euro neppure date ma promesse in cambio di altre promesse di appalti. Soldi pochi, vergogna tanta. Perché si parla di mense scolastiche, perché butta fango sull´album di famiglia della sinistra genovese e perché nel suo piccolo è una storia che racconta dei grandi problemi del Paese. La miseria del nuovo ceto politico, prima mediocre che corrotto. Il regolamento di conti a sinistra fra gli ex compagni dei Ds, che ormai possono liberamente odiarsi nel Pd senza i vincoli della fedeltà di partito, come fanno da anni il sindaco di Genova Marta Vincenzi e il governatore della Liguria, Claudio Burlando. Infine, sullo sfondo, il collasso delle metropoli, pezzi d´Italia ormai ingovernabili, preda di guerre per bande. Ieri è toccato a Napoli, oggi a Genova. Le due più povere, le più fragili. La sola Genova conta debiti per un miliardo e 400 milioni, più o meno come l´Alitalia, 2.300 euro per abitante, compresi vecchi (tanti) e bambini (pochi). Ma domani la tempesta può arrivare a Roma, Torino, Milano, Firenze, Bologna. Cominciamo dalla storia vera, con i personaggi in carne e ossa e, si vedrà, dalla carne assai debole. Si tratta, fra l´altro, di una bisteccopoli. C´è un mercante di carni di Alessandria, Roberto Alessio, che vuole entrare «a tutti i costi» negli appalti scolastici genovesi. Siamo nella primavera del 2007, campagna elettorale per le comunali, con l´attuale sindaco Marta Vincenzi, pasionaria dei Ds, in corsa per la successione all´amatissimo sindaco Beppe Pericu. E qui entrano in scena i «Marta boys», i trentenni rampanti di cui la Vincenzi si circonda per vincere la sfida dentro la sinistra, prima ancora che contro la destra, all´insegna della novità, «discontinuità» dice lei, insomma il «largo ai giovani» nella città più vecchia d´Italia. La Marta magari ci crede davvero, a quei ragazzi figli di amici e compagni vuole bene. Nel discorso al consiglio comunale, a metà il sindaco scoppia a piangere: «Mi sento pugnalata alla schiena». I ragazzi (si fa per dire) ci credono molto meno. Se la tirano da staff elettorale all´americana, spendono e spandono, forzano sondaggi, vantano amicizie altolocate e pensano agli affari loro. Nella piccola banda dei «Marta boys» sono rappresentate democraticamente tutte le anime della sinistra. Il portavoce della Vincenzi, Paolo Francesca, è il classico neo rampante, cresciuto nella Fgci ma col mito del rampantismo craxiano. Agli esordi dalemiano e poi all´occorrenza veltroniano, infaticabile organizzatore di eventi pseudo culturali, prima a Pavia, dov´è inseguito dagli esposti dell´ex sindaco Elio Veltri per le spese faraoniche del cosiddetto «Festival dei Saperi», poi a Genova. Un tipo sveglio, con l´inevitabile società di consulenza («alla Velardi» spiega lui), la cartucciera di telefonini assortiti, i completi Dolce & Gabbana e l´aria del bon vivant. Accanto a lui c´è il compagno «no global», Massimiliano Morettini, ex dirigente dell´Arci e braccio destro di Agnoletto al Genoa Social Forum. Il terzo è Massimo Casagrande, l´anima moderata e bipartisan, figlio di operai divenuto a prezzo di sacrifici anche morali un avvocato della Genova bene. Tutti fra i trenta e i quaranta, con l´eccezione dello «zio Claudio», il sessantenne Fredazzoni, ex sindacalista dei camalli, l´«aristocrazia leninista» del porto, che oggi è l´unico ancora in galera, perché non parla, non racconta nulla ai magistrati. Come il «compagno G», il mitico Greganti. E´ l´affidabile Fedrazzoni, l´ex camallo, a tenere i rapporti con il mercante di carni Alessio e con il «pezzo grosso del Vaticano», il professor Pino Profiti, ex dirigente della Regione Liguria e consulente personale del segretario di stato vaticano, il cardinal Tarcisio Bertone. I «Marta boys» giocano a fare i padroni della città e, come quelli veri, la sera si ritrovano al ristorante «Europa», in galleria Mazzini, per decidere i destini della Lanterna. Tutti i giornali hanno raccontato questo rito del potere genovese. Ma loro i giornali non li leggono, i magistrati invece sì. Così i pm mandano i carabinieri a piazzare le microspie sotto i tavoli, li pizzicano uno per uno e li portano dentro. Le intercettazioni, centinaia di pagine, come usa oggi finiscono su Internet. Si tratta di smargiassate, millanterie, robetta di pretura che forse finirà in nulla o in prescrizione. «Anche queste cifre sono lo specchio della crisi economica di Genova», commenta a ragione Marta Vincenzi. Ma intanto, che schifo. A leggere le intercettazioni, sale la rabbia dei concittadini, le mani prudono. Soprattutto per chi conosce lo stato delle scuole genovesi. Tutte fuori dalle norme di sicurezza, molte fatiscenti, senza soldi neppure per i maestri di sostegno, con i genitori costretti a infilare la carta igienica negli zaini dei ragazzini. E questi che sanno tutto, da amministratori e pure da padri di figli piccoli, si mettono a speculare sulle mense dei bambini.Si capiscono le lacrime amare e pubbliche di Marta Vincenzi. Ancor più si comprende il dolore privato delle famiglie dei «traditori», brava gente di sinistra con un passato di militanza pura. Nel salotto del padre di Casagrande sono esibiti i cimeli di una vita da operaio: la medaglia ricevuta da bambino da Palmiro Togliatti per il volantinaggio dell´Unità, la foto del banchetto dello stoccafisso gestito per vent´anni alle feste di partito e la laurea in giurisprudenza del figlio. Il padre di Morettini è stato un eroe della rivolta del ‘60, con i morti in piazza, e poi un ingegnere licenziato dall´azienda per aver scioperato, unico impiegato, con gli operai. La politica per loro era impegno, ideali. Per i figli privilegiati, una merce in vendita a cinquemila euro. «E´ una storia di padri e figli e di mancata trasmissione di valori» dice il vecchio sindaco Beppe Pericu. «Non solo a sinistra, non solo a Genova. Anche fra gli imprenditori, i commercianti, la borghesia cittadina e italiana. Non condivido certi tratti di Marta Vincenzi, soprattutto il suo masochismo nel cercarsi conflitti non necessari. Ma capisco le sue difficoltà. Io discutevo con gruppi sociali organizzati, lei si trova a trattare con le tribù». La sinistra genovese si può consolare pensando che in fondo i veri scandali cittadini sono altri. Il più grave è quello del porto, dove l´inchiesta dei magistrati ha scoperchiato un «sistema di feudi medievali». Così lo definisce il nuovo presidente dell´autorità portuale di Genova, Luigi Merlo, succeduto al vecchio Giovanni Novi, travolto dallo scandalo insieme al leggendario Paride Batini, da mezzo secolo capo dei camalli. Nella stessa bisteccopoli ligure, il filone d´inchiesta vero e consistente riguarda gli appalti nell´Asl di Savona, dov´è coinvolto in prima persona il «pezzo grosso del Vaticano», il professor Giuseppe Profiti. Le cifre infatti sono ben altre. Qui il mercante Alessio avrebbe confessato di aver pagato mazzette di 200 mila euro, non le briciole genovesi. Profiti è oggi presidente dell´ospedale romano del Bambin Gesù, equivale a ministro della Sanità del Vaticano, ed è braccio destro amministrativo del cardinal Bertone, il cui nome ricorre cinquanta volte nelle intercettazioni. Il Vaticano l´ha difeso come nessun altro indagato dai tempi di Marcinkus. La sala stampa ha emesso subito un comunicato di totale solidarietà e piena fiducia. Il personale del Bambin Gesù, di proprietà vaticana, ha letteralmente chiuso i cancelli in faccia ai finanzieri inviati dai pm per perquisire l´ufficio del presidente. «Questo è suolo vaticano, se volete perquisire la stanza del professor Profiti occorre la richiesta dal ministro degli Esteri». Benedetto XVI in persona, nella visita in Liguria, ha abbracciato in pubblico Profiti, in pieno scandalo, e l´ha salutato come un amico: «Ci vediamo presto a Roma». L´atteggiamento della Chiesa ha scandalizzato perfino don Gianni Baget Bozzo: «Forse anche la Chiesa, come la sinistra genovese, dovrebbe cominciare a riflettere su certi disinvolti affari». Per il resto, la più lucida testa della destra genovese non ha dubbi: «Questo scandalo è una ricaduta della guerra fra la Vincenzi e Burlando, a sua volta effetto del regolamento di conti a sinistra in atto in tutto il Paese, da Napoli a Genova a Roma. Nel vecchio Pci, fino ai Ds, qualcuno li avrebbe fermati, ma nel Pd nessuno ha la forza o l´autorità per dire: basta. Il risultato è che a Genova il sistema di potere della sinistra è finito. Se si votasse domani, la destra vincerebbe a mani basse. Ma non si voterà, perché la destra non ha un progetto, culturalmente non esiste e non sarebbe in grado di governare. Si limita a fare da spettatrice del disastro degli avversari e della città».

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