lunedì 2 giugno 2008

Il Che Guevara tatuato e il fascismo «percepito»



Corriere della Sera
2008-06-02
Particelle elementari
di Pierluigi Battista
E così, dopo il caldo percepito, dopo l'inflazione percepita, dopo l'insicurezza percepita, ora l'Italia pensosa che rilascia insindacabili passaporti culturali viene a scoprire l'ultimo fantasma: il fascismo percepito.Non importa che il capo della spedizione punitiva del Pigneto esibisca orgoglioso il tatuaggio del «Che» Guevara anziché la svastica. Egli resta pur sempre un fascista. Inconsapevole, ma fascista. A sua insaputa, ma fascista. Suo malgrado, ma fascista. Il fascismo essendo la sintesi comportamentale di un modo d'essere violento e sopraffattorio, chi mai si rifugiasse goffamente in emblemi di sinistra nel mentre sprofonda in cruente manifestazioni di violenza e sopraffazione, resterebbe comunque, in interiore homine, un fascista. Tempo fa Umberto Eco svelò l'esistenza dell'«Ur-fascismo», di un fascismo primigenio ed archetipico che di volta in volta (più di sovente nei dintorni di una vittoria elettorale della destra) si incarna proditoriamente in qualche passaggio cruciale della storia italiana. Oggi, calendario elettorale alla mano, è il tempo di una nuova reincarnazione dell'Ur-fascismo. Che si annida dove meno te lo aspetti. Che si camuffa, si nasconde, si acquatta nei chiaroscuri del nostro irredimibile carattere nazionale. Fino a scoprire che nel petto di chiunque agiti una spranga, maneggi una bottiglia incendiaria, si sfoghi nei raid di quartiere, palpita per sempre, e immancabilmente, un cuore nero. Un cuore Ur-fascista.E perciò, se il preside di Lettere della «Sapienza» romana viene assediato da gruppi di dimostranti che (con o senza tatuaggio del «Che») mai e poi mai si percepirebbero fascisti, nel Consiglio di facoltà prenderà la parola qualcuno, come Giulio Ferroni, per abbinare alla doverosa solidarietà nei confronti del collega Guido Pescosolido l'altrettanto doverosa e sempiterna fedeltà al carattere antifascista dell'Università. Ci mancherebbe. L'Ur-fascismo percepito, del resto, non è una creatura della storia ma il frutto impalpabile e atemporale di una psicologia luciferina e di un incurabile morbo della mente. A Luciano Canfora che sul nostro giornale riconduceva al fascismo ogni deplorevole inclinazione alla prepotenza violenta, Stenio Solinas chiede lumi: come definire allora le innumerevoli e atroci violenze di cui l'umanità si è macchiata nel corso dei millenni, fino alla fatidica data del 1922, quando in Italia il fascismo percepito si materializzò finalmente nel fascismo tout court? Già: quando nella storia si è manifestata la prima volta non la realtà, bensì la percezione del fascismo?Arduo affidarsi a un responso preciso. Anche perché i vapori del fascismo percepito stagnano grevi in qualcosa di indefinibile e di inafferrabile. Quante volte in questi giorni ci è capitato di leggere che la reviviscenza percepita della malattia Ur-fascista si alimenterebbe di un nebuloso «clima», di una minacciosa «atmosfera», di un imprendibile «umore» che dal giorno delle elezioni in qua starebbero avvelenando l'Italia? Ecco perché tutto diventa più ambiguo e indecifrabile. E un regolamento di conti nel cuore di una borgata romana finisce inesorabilmente per fascistizzarsi, fascistizzando addirittura la santa icona del povero e incolpevole «Che»: un «Che» Guevara percepito.
Si diffonde un nebuloso «clima», una minacciosa «atmosfera», un vago «umore»

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