2008-06-29
FILIPPO ANDREATTA
UNA PROPOSTA PER I DEMOCRATICI
Con un po' di ritardo, si è aperto il dibattito sulla leadership del Pd dopo la sconfitta elettorale, e questa può essere un'occasione per affrontare alcuni nodi decisivi per il futuro dell'opposizione. A rigor di logica, tre strade sono possibili per Walter Veltroni. In primo luogo, potrebbe rassegnare le dimissioni, in modo inconsueto per l'Italia ma in linea con la maggior parte dei grandi partiti occidentali, e soprattutto quelli meno ideologici come il Pd ambisce ad essere. Il problema con questa soluzione è che lascerebbe il partito nella bufera, e la leadership verrebbe assunta quasi sicuramente da un comitato di notabili che rischierebbe di essere ancora meno efficace di un leader sconfitto. In secondo luogo, e questa sembra la strada seguita da Veltroni, la leadership potrebbe negare che vi sia stata una vera sconfitta, e cercare di rimanere in sella a tutti i costi per tutta la legislatura. Questa strada comporta un patto scellerato tra Veltroni e la nomenklatura di Ds e Margherita, che in cambio di un prolungamento della vita dell'attuale leadership chiederebbe le solite garanzie che hanno già frustrato il successo dei vecchi partiti. Fin dall'inizio Veltroni è stato ambiguo nei confronti delle nomenklature di Ds e Margherita, accettando una candidatura «istituzionale» e imponendo le liste bloccate alle elezioni. Ma dopo le elezioni c'è stata una sensibile degenerazione, culminata nella recente Assemblea costituente. Si è infatti deciso di far partire un «tesseramento» vecchio stile mirato a sostituire il composito e pluralista «popolo delle primarie», e gestito da chi lo aveva organizzato nella Margherita con poca trasparenza. Si è poi incassata una protesta di giovani leve, che però provengono in larga misura dalle file della poco giovane Federazione italiana giovani comunisti. Si è infine nominata una direzione negoziata in anticipo con i capicorrente, nella quale i rapporti di forza sono i noti 55 agli ex Ds e 45 agli ex Margherita. Il problema è che non solo non basta qualche cooptazione veltroniana per cambiare questi equilibri, ma che si sono abbandonati gli indugi e si nominano i dirigenti candidamente in base alle vecchie appartenenze. Nonostante tutte le assicurazioni del contrario, si tratta della vittoria di una classe politica sopravvissuta alla fine di Pci-Pds-Ds e Dc-Ppi-Margherita, che manterrebbe Veltroni nel limbo fino a che non fosse pronta a sostituirlo. Il problema di questa soluzione non è solo estetico, ma anche di consenso, come del resto ampiamente previsto da chi paventava la «fusione fredda» ben prima delle elezioni. Se il 100% dei dirigenti proviene da Ds e Margherita, chi rappresenterà i «democratici» e tutti coloro che si sono avvicinati al Pd perché prometteva di essere un soggetto nuovo? Come farà il Pd a sfondare i confini del consenso dei vecchi partiti (12 milioni di voti) senza aprirsi alle altre ispirazioni del centrosinistra?
Con un po' di ritardo, si è aperto il dibattito sulla leadership del Pd dopo la sconfitta elettorale, e questa può essere un'occasione per affrontare alcuni nodi decisivi per il futuro dell'opposizione. A rigor di logica, tre strade sono possibili per Walter Veltroni. In primo luogo, potrebbe rassegnare le dimissioni, in modo inconsueto per l'Italia ma in linea con la maggior parte dei grandi partiti occidentali, e soprattutto quelli meno ideologici come il Pd ambisce ad essere. Il problema con questa soluzione è che lascerebbe il partito nella bufera, e la leadership verrebbe assunta quasi sicuramente da un comitato di notabili che rischierebbe di essere ancora meno efficace di un leader sconfitto. In secondo luogo, e questa sembra la strada seguita da Veltroni, la leadership potrebbe negare che vi sia stata una vera sconfitta, e cercare di rimanere in sella a tutti i costi per tutta la legislatura. Questa strada comporta un patto scellerato tra Veltroni e la nomenklatura di Ds e Margherita, che in cambio di un prolungamento della vita dell'attuale leadership chiederebbe le solite garanzie che hanno già frustrato il successo dei vecchi partiti. Fin dall'inizio Veltroni è stato ambiguo nei confronti delle nomenklature di Ds e Margherita, accettando una candidatura «istituzionale» e imponendo le liste bloccate alle elezioni. Ma dopo le elezioni c'è stata una sensibile degenerazione, culminata nella recente Assemblea costituente. Si è infatti deciso di far partire un «tesseramento» vecchio stile mirato a sostituire il composito e pluralista «popolo delle primarie», e gestito da chi lo aveva organizzato nella Margherita con poca trasparenza. Si è poi incassata una protesta di giovani leve, che però provengono in larga misura dalle file della poco giovane Federazione italiana giovani comunisti. Si è infine nominata una direzione negoziata in anticipo con i capicorrente, nella quale i rapporti di forza sono i noti 55 agli ex Ds e 45 agli ex Margherita. Il problema è che non solo non basta qualche cooptazione veltroniana per cambiare questi equilibri, ma che si sono abbandonati gli indugi e si nominano i dirigenti candidamente in base alle vecchie appartenenze. Nonostante tutte le assicurazioni del contrario, si tratta della vittoria di una classe politica sopravvissuta alla fine di Pci-Pds-Ds e Dc-Ppi-Margherita, che manterrebbe Veltroni nel limbo fino a che non fosse pronta a sostituirlo. Il problema di questa soluzione non è solo estetico, ma anche di consenso, come del resto ampiamente previsto da chi paventava la «fusione fredda» ben prima delle elezioni. Se il 100% dei dirigenti proviene da Ds e Margherita, chi rappresenterà i «democratici» e tutti coloro che si sono avvicinati al Pd perché prometteva di essere un soggetto nuovo? Come farà il Pd a sfondare i confini del consenso dei vecchi partiti (12 milioni di voti) senza aprirsi alle altre ispirazioni del centrosinistra?
In terzo e ultimo luogo, Veltroni potrebbe mantenere la leadership abbandonando però le pretese di essere per forza il prossimo candidato alle elezioni. Potrebbe così dedicarsi, libero da condizionamenti, a costruire una coalizione in grado di battere il centrodestra e un partito nuovo, nel quale le nomenklature del passato lascino il posto a una nuova (non solo anagraficamente) classe dirigente e nel quale le vecchie appartenenze vengano superate. Questa sarebbe di sicuro la strada migliore per il Pd, e per l'intera opposizione, se Veltroni avrà il coraggio di seguirla.
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