Sergio Nieri sul sito www.alleo.it ha pubblicato questo interessante articolo
L'aspro confronto fra Travaglio e D'Avanzo su La Repubblica di questi giorni potrebbe suscitare sconcerto specie tra gli appassionati lettori e sostenitori di questi due ottimi cronisti,se non fosse la conseguenza pressochè naturale di una transizione politica e culturale nella quale siamo un po' tutti coinvolti.In questo senso la prematura fine del Governo Prodi (con le contraddizioni più volte evidenziate e la kafkiana polarizzazione Mastella Di Pietro) e il vischioso avvio della cosiddetta legislatura costituente (con Veltroni disponibile e lo stesso Di Pietro riposizionato sul terreno di una generica intransigenza) hanno rappresentato quel cambiamento di scenario su cui insistono "i fatti" di Travaglio e i noti teoremi di D'Avanzo (non ultimo,quello relativo a una non meglio identificata nuova P2). Semplificando si potrebbe dire che Travaglio enuncia in modo scrupoloso fatti che aiutano a comporre il quadro di un sistema di potere in sè legittimo, ma costantemente a rischio di episodi corruttivi o di contiguità mafiosa, mentre D'Avanzo, assai prima di teorizzare "agenzie del risentimento" in servizio permanente effettivo, ha spesso posto la sua attenzione sulla effettiva reputazione democratica di alcuni organi dello Stato e, nella specie, dei cosiddetti corpi separati (servizi segreti in primis) nello sviluppo di trent'anni e più di storia repubblicana. Quella storia che, al pari di quella ricomposta da Travaglio, viene normalmente dimenticata dai megafoni televisivi o seppellita da un numero incalcolabile di omissis.In questo percorso giornalistico Travaglio incontra un limite obiettivo in una visione pan-penalistica della politica nazionale che, al di là delle sue ottime intenzioni, risulta oggettivamente indebolita, per esempio dal "fatto" che nessun pm abbia mai contestato (fino a questo momento) il concorso esterno in associazione mafiosa all'attuale presidente del Senato in relazione alla frequentazioni di Mandalà. Pare fondato il richiamo "morale" a quella inopportuna convenzione tra l'avv. Schifani e la cosca mafiosa, ma modestamente mi pongo il problema se di tutto questo da ormai una decina d'anni se ne debbano fare carico i soli Travaglio e Gomez con gli strumenti che hanno a disposizione. Con l'uomo partito Di Pietro e Mangiafuoco Grillo a fare le sponde. Come può lo stupore di fronte ai fatti narrati da Travaglio evolvere in indignazione razionale e quest'ultima tradursi in una opportunità di resistenza civile e democratica di fronte allo strapotere dell'Uomo di Arcore?Allo stesso modo, come può lo stupore generato dalle ricostruzioni di D'Avanzo, che spesso attribuiscono alla Destra Fascista la capacità storica di condizionare in chiave affaristico criminale il sistema dei poteri democratici, tradursi nell'indignazione morale e operativa verso una deriva politica che ha legittimato le investiture di Fini, Schifani e del buon Alemanno al Campidoglio? Stupirsi di tutto questo (e magari riderci sopra) continua a essere un ottimo esercizio per l'umore collettivo, ma temo che alla lunga (si parli dei "fatti" di Marco o dei "complotti" di Giuseppe) nella transazione pragmatica di oggi (dove non tutto è chiaro all'interno della stessa Magistratura, l'organo più sollecitato da entrambi) si corra il pericolo del "colore" o della appagante affabulazione. Con il rischio incombente che a fare le spese di tutto questo sia la credibilità di entrambi, bene o male chiamati dai rispettivi riferimenti (Di Pietro il primo, il gruppo editoriale l'Espresso l'altro) a svolgere un ruolo significativo di opinion makers nella transazione infinita (e oggi bipartisan) della politica italiana.
L'aspro confronto fra Travaglio e D'Avanzo su La Repubblica di questi giorni potrebbe suscitare sconcerto specie tra gli appassionati lettori e sostenitori di questi due ottimi cronisti,se non fosse la conseguenza pressochè naturale di una transizione politica e culturale nella quale siamo un po' tutti coinvolti.In questo senso la prematura fine del Governo Prodi (con le contraddizioni più volte evidenziate e la kafkiana polarizzazione Mastella Di Pietro) e il vischioso avvio della cosiddetta legislatura costituente (con Veltroni disponibile e lo stesso Di Pietro riposizionato sul terreno di una generica intransigenza) hanno rappresentato quel cambiamento di scenario su cui insistono "i fatti" di Travaglio e i noti teoremi di D'Avanzo (non ultimo,quello relativo a una non meglio identificata nuova P2). Semplificando si potrebbe dire che Travaglio enuncia in modo scrupoloso fatti che aiutano a comporre il quadro di un sistema di potere in sè legittimo, ma costantemente a rischio di episodi corruttivi o di contiguità mafiosa, mentre D'Avanzo, assai prima di teorizzare "agenzie del risentimento" in servizio permanente effettivo, ha spesso posto la sua attenzione sulla effettiva reputazione democratica di alcuni organi dello Stato e, nella specie, dei cosiddetti corpi separati (servizi segreti in primis) nello sviluppo di trent'anni e più di storia repubblicana. Quella storia che, al pari di quella ricomposta da Travaglio, viene normalmente dimenticata dai megafoni televisivi o seppellita da un numero incalcolabile di omissis.In questo percorso giornalistico Travaglio incontra un limite obiettivo in una visione pan-penalistica della politica nazionale che, al di là delle sue ottime intenzioni, risulta oggettivamente indebolita, per esempio dal "fatto" che nessun pm abbia mai contestato (fino a questo momento) il concorso esterno in associazione mafiosa all'attuale presidente del Senato in relazione alla frequentazioni di Mandalà. Pare fondato il richiamo "morale" a quella inopportuna convenzione tra l'avv. Schifani e la cosca mafiosa, ma modestamente mi pongo il problema se di tutto questo da ormai una decina d'anni se ne debbano fare carico i soli Travaglio e Gomez con gli strumenti che hanno a disposizione. Con l'uomo partito Di Pietro e Mangiafuoco Grillo a fare le sponde. Come può lo stupore di fronte ai fatti narrati da Travaglio evolvere in indignazione razionale e quest'ultima tradursi in una opportunità di resistenza civile e democratica di fronte allo strapotere dell'Uomo di Arcore?Allo stesso modo, come può lo stupore generato dalle ricostruzioni di D'Avanzo, che spesso attribuiscono alla Destra Fascista la capacità storica di condizionare in chiave affaristico criminale il sistema dei poteri democratici, tradursi nell'indignazione morale e operativa verso una deriva politica che ha legittimato le investiture di Fini, Schifani e del buon Alemanno al Campidoglio? Stupirsi di tutto questo (e magari riderci sopra) continua a essere un ottimo esercizio per l'umore collettivo, ma temo che alla lunga (si parli dei "fatti" di Marco o dei "complotti" di Giuseppe) nella transazione pragmatica di oggi (dove non tutto è chiaro all'interno della stessa Magistratura, l'organo più sollecitato da entrambi) si corra il pericolo del "colore" o della appagante affabulazione. Con il rischio incombente che a fare le spese di tutto questo sia la credibilità di entrambi, bene o male chiamati dai rispettivi riferimenti (Di Pietro il primo, il gruppo editoriale l'Espresso l'altro) a svolgere un ruolo significativo di opinion makers nella transazione infinita (e oggi bipartisan) della politica italiana.
[17 maggio 2008]
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