domenica 27 maggio 2007

Anti-partitismo non è anti-democrazia

Il Sole 24 Ore del 24 maggio 2007, pag. 12
Piero Ignazi
C’è aria di rivolta contro i politici e la politica? È alle viste una crisi poli­tica come quella di Tangentopoli? Gli allarmi di questi giorni meritano la risposta che diede Mark Twain leggendo il suo ne­crologio: una notizia un po' esa­gerata. Non per negare la realtà di un sentimento diffuso di in­soddisfazione, quanto perché esso si esprime attraverso varie modalità che è opportuno di­stinguere.
Il rapporto tra i cittadini e la politica si articola in almeno tre dimensioni diverse. Quella del­la relazione con il regime politi­co nel suo complesso, nelle sue caratteristiche di fondo (nel no­stro caso, la democrazia), che può essere di accettazione op­pure di rifiuto. Quella della rela­zione con il funzionamento del regime politico o del governo in carica, vale a dire se il regime in quanto tale o lo specifico go­verno al potere producono poli­tiche che soddisfano le doman­de e le aspettative dei cittadini. Quella della relazione con le istituzioni e, soprattutto, con gli attori politici, in primis parti­ti e uomini politici.
In tutto il mondo la prima di­mensione del rapporto cittadi­ni-politica non desta ormai al­cuna preoccupazione: la stragrande maggioranza dell'opi­nione pubblica ritiene che la de­mocrazia rappresentativa sia il migliore dei sistemi politici possibili. Nella vecchia Unio­ne Europea a 15, questa percen­tuale supera il 90%, e l'Italia non fa eccezione. La democra­zia ha conquistato cuori e men­ti degli europei, e non solo.
Del tutto diverse sono le valutazioni quando si passa a verificare qual è il grado di soddisfazione per il funzionamento del regime politico e per le politi­che del governo. In questa di­mensione le critiche sono mol­to più numerose, anche nelle de­mocrazie consolidate. Qui si mi­sura il grado di "scontento" poli­tico dell'opinione pubblica, quella sorta di frustrazione che affiora quando c'è uno scarto tra le aspettative e la realtà dei fatti. Pur con fluttuazioni dovu­te ai cicli economici, negli ulti­mi vent'anni si è assistito a un progressivo declino della soddisfazione dei cittadini europei. In Italia abbiamo raggiunto il fondo negli anni Novanta in coincidenza con Tangentopoli e, da allora, ci siamo un po' ripre­si: adesso non siamo molto distanti dalla media europea che si è assestata su un 55% di soddi­sfatti. Il grado di maggiore o mi­nore soddisfazione è connesso con le preferenze politiche. I cit­tadini che si identificano con i partiti di opposizione tendono ad essere ben più critici di quel­li che sostengono i partiti di go­verno. Solo negli ultimi anni so­no aumentati gli scontenti an­che nei propri rispettivi campi, sia durante l'ultima fase del go­verno Berlusconi, che, ancora più, nei primi passi del governo Prodi. Un atteggiamento che può essere interpretato come un segno positivo, di laicizza­zione della politica e di libertà di giudizio, o, invece, come un segno negativo di ulteriore di­stacco, prodotto dall’incapacità di soddisfare le aspettative persino dei propri elettori.
Vi è infine una terza dimen­sione, quella del rapporto citta­dini-politica (e partiti), richia­mata in questi giorni da vari commenti. Questa rileva la "di­saffezione politica", il senti­mento di sfiducia e lontananza della politica. Espressioni tipiche di questo atteggiamento suonano così: i partiti sono tutti uguali, gli uomini politici pen­sano solo ai proprio interessi, non si capisce mai nulla di quel­lo che dicono, la politica fa schi­fo, e così via. Il numero di colo­ro che si riconoscono in queste espressioni, nonostante il mag­gior livello generalizzato di istruzione e di "competenza po­litica", è in aumento, in Gran Bretagna e in Francia come in Italia. Ma il nostro livello di disaffezione, come dimostrano le ricerche condotte in questi anni da Giacomo Sani e Paolo Segatti, continua ad essere su­periore a quello degli altri pae­si: era già alto negli anni Settan­ta, è ancora più alto oggi. Abbia-mo una febbre più alta rispetto agli altri paesi, e ce l'abbiamo da molto più tempo. Questa febbre può aver minato la no­stra salute democratica.
È presto per stendere un ne­crologio, ma la percezione che i politici siano una casta di privilegiati grazie alle risorse che i partiti drenano dall'erario pub­blico si sta diffondendo sempre più. Erodendo la legittimità dei partiti. E suscitando sentimenti di "rabbia" più che di "apatia" in una quantità mai segnalata pri­ma. L'early warning ai partiti ita­liani è stato inviato da un bel pezzo. Vediamo le reazioni.

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