11 Maggio Intervista di Marco Damilano - L'Espresso
Il governo. Le riforme. La sinistra. Il centro. Berlusconi. Il Family day. Il futuro del nascente partito. E la sua leadership. Parla il capogruppo dell'Ulivo al Senato.
L'avevamo lasciata al trionfo del congresso di Firenze dei Ds, con la platea in piedi ad applaudire, la ritroviamo tre settimane dopo nella sua stanza di capogruppo dell'Ulivo al Senato. Anna Finocchiaro cita il libro di Clarissa Pinkola Estès 'Donne che corrono coi lupi': "A volte mi sento così". Scherza su Ségolène: "Ha fatto una bellissima campagna elettorale. Ma io sono io". Nella prima intervista dopo i congressi non dice di essere disponibile a correre per la leadership del Pd, come hanno fatto altri colleghi (maschi). Ma poco ci manca.
Dopo il congresso Ds, torniamo alla normalità agitata del centrosinistra. Tra qualche giorno il suo gruppo avrà 12 senatori in meno con la nascita del movimento Mussi-Angius. Sant'Anna è chiamata a fare altri miracoli...
"Sono tornata nel mio luogo, lo sarà - spero - fino alla fine della legislatura. La scissione era annunciata, avremo nuovi problemi organizzativi e nuovi problemi politici. Ci vorrà più attenzione e un più forte investimento politico da parte del governo. Ma io sono abituata: da un anno non faccio altro che affrontare difficoltà. Ho detto prima che il gruppo dell'Ulivo non era l'embrione Partito democratico. Ora però, dopo i congressi e questa separazione, il gruppo dell'Ulivo diventa uno dei luoghi di elaborazione in vista del Pd. Ci sarà più interesse politico, una curiosità maggiore".
In un anno da capogruppo qual è stato il momento più drammatico e quello più felice?
"Il pomeriggio della crisi di governo è stato il momento peggiore. Il più bello è stato quando abbiamo approvato il decreto fiscale senza ricorrere al voto di fiducia. Quando lo abbiamo chiesto al governo sul momento non hanno fatto i salti di gioia. Ma non serviva solo a provare l'autosufficienza numerica della maggioranza. La nostra intenzione era dimostrare che il Senato è un luogo dove si può lavorare anche senza voti di fiducia. Mi sta a cuore la vitalità democratica del Senato. È la battaglia che conduco da un anno: so bene quali sono i numeri di Palazzo Madama, ma il pericolo maggiore sarebbe cedere alla tentazione dello stallo".
Il Pd attraversa un momento difficile. Il governo Prodi ha giurato esattamente un anno fa: sono seguiti vertici, conclavi, una crisi, i 12 punti, ma il centrosinistra continua a non decollare. Cosa è mancato finora?
"Non sottovalutiamo quello che è accaduto finora. Non è stato un anno passato sulla difensiva o una situazione di stallo. La Finanziaria non è stata un adempimento di rito. Io, però, non sono soddisfatta: il governo ha potenzialità molto più forti, deve renderle evidenti. E il Senato, che rischiava di essere il pantano di questa legislatura, deve continuare sulla strada di una ritrovata centralità del Parlamento. Se qualcuno nella maggioranza o nel governo ha paura di portare al Senato dei provvedimenti, non si preoccupi: qui si discute e ci si confronta, finora i provvedimenti che il governo ha presentato sono sempre stati approvati".
Sarà. Ma di riforme se ne sono viste ancora poche. E i sondaggi sul governo restano negativi.
"Non ho mai visto governi che fanno grandi riforme nel primo anno. Certo, potremmo fare di più: abbiamo dedicato al Senato un'intera seduta al caso Vaccarella, come ci ha chiesto l'opposizione, ed è solo uno degli esempi possibili. Forse si poteva evitare, ma pazienza. Non ci siamo mai opposti alle richieste dell'opposizione, anche quando sono strumentali capiamo che ci sono esigenze che dobbiamo rispettare".
Al Family day parteciperanno alcuni senatori dell'Ulivo, alla contromanifestazione dei laici altri senatori dell'Ulivo. Non è una situazione schizofrenica?
"È una giornata caricata dalla forte ambiguità che caratterizza il Family day. Se fosse solo una manifestazione a favore della famiglia parteciperemmo tutti. È assolutamente fuori discussione che la famiglia è il più forte fattore di coesione di questo Paese. E noi sulla famiglia siamo impegnatissimi: sta arrivando in aula il provvedimento sul cognome dei figli (grazie anche a Rosy Bindi) che coglie questioni come l'identità familiare, la genitorialità di padre e madre, con un emendamento della ministra per cui il figlio riconosciuto potrà finalmente diventare parente della famiglia del genitore che lo riconosce...".
E allora, perché non andate al Family day?
"Come dice Savino Pezzotta, quella è una manifestazione anti-Dico. E io non ritengo che il riconoscimento dei diritti delle persone sia in contrapposizione con l'articolo 29 della Costituzione. Ricorrere alle piazze non è mai una buona politica. Si finisce per esasperare posizioni apodittiche, censure, bolle, scomuniche... Quando mai per difendere i sentimenti delle persone si è pensato di scendere in piazza?"
Intanto è scoppiato il caso del mancato invito della Bindi alle organizzazioni omosessuali alla conferenza sulla famiglia. È una scelta che condivide?
"È una decisione istituzionale. Alla conferenza si parla di famiglia, non sono invitate organizzazioni in rappresentanza delle unioni di fatto che purtroppo non sono ancora riconosciute dal nostro ordinamento. E questo non c'entra nulla con la mia convinzione di riconoscerle al più presto".
Però ha suscitato la reazione del ministro Ferrero: se non vanno i gay, dice, non ci vado neppure io.
"Ci sono tutte le sedi per discuterne. Non accendiamo altri conflitti, bisogna evitare polemiche giornalistiche soprattutto su temi così delicati".
Anna Finocchiaro e Giovanna Melandri Tuttavia sono i temi su cui il popolo del Pd si appassiona. Al congresso dei Ds ogni accenno alla laicità veniva sottolineato con un diluvio di applausi...
"Sono stata a Bologna con Dario Franceschini, la prima uscita del Pd dopo i congressi, è stato lui a difendere prima di me la laicità della politica. Ci sono i teodem che hanno alcune opinioni, ma anche un ben più numeroso gruppo di cattolici democratici che la pensa in modo diverso".
La senatrice Binetti è un problema per il Pd?
"Assolutamente no. Ascolto ogni voce, ma non è quella presenza la cifra del cattolicesimo democratico nel Pd".
Sui valori c'è polemica, ma anche sui soldi. La discussione più dura si è accesa sulla destinazione del tesoretto. Tra due big: il vice-premier Francesco Rutelli e Romano Prodi.
"Faccio un appello: facciano meno interviste e più consigli dei ministri. Si riuniscano e decidano".
È al Senato che si faranno le prove delle grandi intese sulle riforme?
"Sto lavorando da tempo per far crescere l'idea di un bipolarismo mite. Non possiamo continuare con lo scontro all'ultimo sangue, con questo smontare le riforme della legislatura precedente e poi rimontarle: si toglie tranquillità alle imprese, non si fanno progetti e investimenti. Così si ferma l'Italia".
La Lega sembra il partito più disponibile a parlare con il centrosinistra...
"La Lega, ma anche l'Udc. E il capogruppo di An condivide questa analisi. Non possono dirlo, ma sanno che ho ragione".
Resta da convincere Silvio Berlusconi. Dopo i sorrisi dei congressi è arrivato lo scontro sul conflitto di interessi.
"Per lui è una cosa inconcepibile, ma si sbaglia. Si mette di traverso rispetto al Paese se fa così. Dovrebbe ripensarci, se vuole confermare di essere ciò che pensa di se stesso, cioè uno statista".
Se vuole farsi nominare senatore a vita il Cavaliere deve accettare la legge?
"Se vuole fare qualsiasi cosa... Si deve rassegnare".
La riforma elettorale sarà il terreno di incontro? C'è un fantasma che si aggira per i palazzi della politica: il Mattarellum. Riesumerete la vecchia legge elettorale?
"Un fantasma a me molto vicino. Quella legge elettorale è già stata rodata in questo Paese, risponde a un'esigenza che neppure il referendum risolverebbe, ripristinare il collegamento fra gli elettori e gli eletti che ora devono ringraziare solo le segreterie di partito. Certo, servono modifiche: eliminazione dello scorporo, parità tra uomini e donne, divieto di candidature multiple. E poi dobbiamo procedere sulle riforme di cui si parla da troppi anni: poteri e funzioni del Senato, riduzione del numero dei parlamentari, federalismo fiscale".
Dopo il voto francese Rutelli dice che la questione del Pse è risolta. La sinistra non vince da sola, chiuso.
"Un discorso così si potrebbe fare anche per il centro. Se in Francia ci fosse stato il centrosinistra come in Italia, avrebbe vinto".
A parte il Pse, c'è una gran confusione nella gauche, anche quella italiana. Per vincere la sinistra deve inabissarsi?
"Il problema è che la sinistra italiana da sola non è in grado di rispondere alle nuove domande del Paese. È un atto di umiltà: l'identità di sinistra non è una bisaccia che ti metti sulle spalle una volta per tutte. Sono sicura che alla fase costituente del Pd parteciperanno milioni di uomini e donne. E scopriremo che le idee della sinistra, il lavoro, la pace, l'uguaglianza delle persone, non sono morte e sono utili all'Italia di oggi".
Nel Pd c'è una gran dibattito su chi farà il coordinatore: lei ha qualche idea?
"Discuteremo. Non dividiamoci sui dettagli, rischiamo di dilapidare l'entusiasmo creato dai due congressi".
In tanti la invocano come leader: è in corsa?
"Al congresso dei Ds sono rimasta stupefatta dagli applausi, li ho presi come riconoscimento ad un anno faticoso. Una fatica difficile da descrivere. Sarebbe una bugia dire che non mi fa piacere questa attenzione. Ma ora non è il momento di discutere di questo, quando arriverà ne parleremo. Ora sarebbe una discussione oziosa. La novità è questa: partiamo tutti dallo stesso punto. E facciamo entrare nel Pd giovani e donne. O arrivano in forze queste risorse non ancora esauste, oppure il partito fallisce il suo compito. E nel Pd c'è una straordinaria messe di dirigenti femminili. Un nome su tutti: Rosy Bindi".
Non la infastidisce questa storiella maligna: gli uomini (D'Alema, Marini) candidano lei per continuare a comandare loro, magari contro altri (Veltroni)?
"Mi faccia fare uno sfoggio di hidalgismo: nella mia vita politica sono sempre stata contraria all'ancillarismo. È una cosa che mi fa infuriare".
Dovremo smetterla di chiamarla la Ségolène italiana?
"Sì, direi di sì. Ognuno di noi è quello che è".
sabato 19 maggio 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento