mercoledì 16 maggio 2007

Europa: c'è bisogno di nuove strade

L’europeismo italiano è diffuso e sincero, ma spesso ingenuo, non aggiornato , talvolta retorico o accademico. Accade così che restiamo legati a parametri sorpassati e a ferree convinzioni divenute sterili dal punto di vista politico.
Lo nota, sulla Repubblica del 15 maggio, Lucio Caracciolo, osservando che l’allargamento a 27 paesi ha fatto saltare le contraddizioni del progetto europeo, a causa delle estrema eterogeneità dei soggetti nazionali partners. Gli americani sorridevano, già all’indomani dell’allargamento a 24, sintetizzando il loro scetticismo in una battuta: in quante lingue devono essere tradotti e adottati gli atti dell’Unione europea? Nell’era della velocità e della comunicazione, 24 interpreti all’opera per ogni documento ufficiale bastavano a far svanire ogni timore che la nuova Europa potesse insidiare il primato politico mondiale Usa . Parlai di questo presentando, nel 2003, a Livorno, il libro di Enrico Letta sull’allargamento. Sono tornato sull’argomento più volte e fra un po’ vi dirò perché: alla presentazione al Lem di un’iniziativa con Vannino Chiti e alla celebrazione, in Provincia, della Festa dell’Europa, il 9 maggio 2005, all’indomani del referendum francese che ha affossato la Costituzione europea. Ma per una classe dirigente che ha fatto, dai tempi di Carli e Andreotti, dice Caracciolo, della sottomissione alle virtù europee la stella polare della politica nazionale, è difficile da metabolizzare la sensazione, ormai evidente, che non siamo di fronte alla tradizionale crisi di crescita, ma una vera e propria crisi di identità.
Ma, mentre qui stiamo ad alimentare l’europeismo come ideologia nazionale, gli altri paesi, i più grandi e i più seri d’Europa, cercano strade percorribili per uscire dall’impasse. Ne discende un allontanamento dell’Italia dal dibattito politico europeo vero, non quello del politically correct ripetitivo e scolastico.
Il neo-presidente Sarkozy, che rilancia il rapporto tra Francia ed Europa, lo fa in modo nuovo e, ahimé, soprattutto francese, riposizionando cioè il proprio paese nell’ottica della globalizzazione dei mercati e della spietata competizione in atto.
Le nuove strade, i grandi paesi, le cercano, svincolandosi dalla pesantezza della dimensione dell’Europa-a-27 e puntando ad un’Europa a due velocità, o come si dice adesso, a un Euronucleo, o a un direttorio tra Parigi, Londra e Berlino, o a qualcos’altro del genere, dal quale l’Italia è comunque tenuta fuori.
Da parte della Francia si riaffaccia anche l’ipotesi di un’Unione Mediterranea, come spazio di libero scambio tra i paese europei e alcuni paesi della sponda sud del bacino.
Ecco il motivo per il quale l’argomento mi appassiona: nella dimensione infinitesimale che hanno una comunità locale e le sue istituzioni, in passato Livorno è stata soggetto attivo nella ricerca di strade nuove che consentissero all’Unione Europea e, all’interno di essa, al nostro paese, di svolgere funzioni dinamiche e innovatrici. E’ stato così con la creazione del Lem, non una generica sede di iniziative di stampo europeo, ma il laboratorio di un’identità nuova e antica insieme, quella euro-mediterranea capace di fornire orizzonti e relazioni per il ruolo politico dell’UE. E’ stato così con il ruolo propulsivo svolto dalla Provincia di Livorno nella costruzione di una vasta Associazione istituzionale, l’Arco Latino, tra enti locali italiani, francesi e spagnoli, la cui economia è orientata al bacino del Mediterraneo, per costruire una soggettività europea e sopranazionale innovativa.
Idee e iniziative in anticipo sui tempi, che avevano bisogno di cura e di una lungimiranza diversa dalla ricerca del finanziamento comunitario di questo o quel progetto e che avrebbero potuto, oggi, far trovare Livorno posizionata in modo ottimale per guardar ai nuovi scenari e giocare davvero la carta dell’identità euromediterranea come nuova chance dell’UE

Claudio Frontera
15/05/2007

1 commento:

Anonimo ha detto...
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