giovedì 24 maggio 2007

La Repubblica: Quanto ci costano i parlamentari

23 maggio 2007
MassimoRiva
Il tema dei costi della politica è (finalmente) entrato nell´agenda di governo e parlamento. A Palazzo Chigi si è insediato un apposito comitato interministeriale, mentre a Montecitorio sta per avviarsi un´indagine conoscitiva voluta dal presidente Bertinotti. Nel frattempo è tutto un fiorire di proposte da parte di gruppi o singoli parlamentari per ridurre un carico di spesa sempre più insostenibile per il bilancio dello Stato e sempre meno giustificabile agli occhi della pubblica opinione. Al punto che un politico avvertito, come Massimo D´Alema, si è spinto a paventare una crisi di fiducia distruttiva per le istituzioni. Insomma, il clima generale sembrerebbe il più adatto a favorire una svolta: ma sarà questa la volta buona? Purtroppo, ai non pochi segnali di speranza se ne contrappone principalmente uno che induce a coltivare seri dubbi sull´esito della partita. Certo, è un gran bene che il governo abbia tolto di mezzo una quantità di inutili commissioni ministeriali e altrettanto può dirsi per quanto riguarda la riduzione del 30 per cento delle indennità dei membri del governo. E´ pure buona cosa che si stia discutendo sull´abolizione di molte auto blu, sui vitalizi dei parlamentari e sull´età del loro pensionamento. Ma l´impressione è che queste ed altre iniziative consimili stiano affrontando la questione dalla parte della coda, anziché da quella della testa. Un conto, infatti, è ridimensionare la domanda di servizi del ceto politico, ben altro è tagliare la radice di alimentazione di questa stessa domanda. Radice che consiste nell´elevato numero di componenti del suddetto ceto politico: a cominciare dai 630 deputati e dai 315 senatori che siedono a Montecitorio e a Palazzo Madama per finire con gli oltre 150mila amministratori comunali. Numeri che risultano inspiegabili alla luce di qualunque raffronto internazionale, pure con paesi di più antica e solida democrazia parlamentare. Il ministro Chiti propone al riguardo l´abolizione del Senato. Idea interessante ma che, come tutte le ipotesi radicali, ha un duplice difetto: 1) di avere scarsi margini di praticabilità; 2) di eclissare la ricerca di soluzioni non meno redditizie ma anche più speditamente fattibili. Vogliamo, per esempio, immaginare che cosa accadrebbe se la Camera fosse ridimensionata a 400 deputati e il Senato a 200 componenti? Intanto, già si avrebbe quella maggior funzionalità dei lavori di cui ora tanto si discute. Quanto ai costi, nella colonna del dare ci sarebbe un aumento temporaneo dei beneficiari del vitalizio. Ma, dalla parte dell´avere, l´elenco dei risparmi permanenti sarebbe lunghissimo. Intanto, si pagherebbero 345 indennità parlamentari in meno insieme a un consistente taglio nelle spese per assistenti e portaborse. Poi, a cascata, si aprirebbe il lucrosissimo capitolo delle uscite per l´attività delle due Camere: non solo si avrebbe un immediato stop alle assunzioni, ma in breve tempo il numero di dirigenti, funzionari e generici dipendenti di Montecitorio e Palazzo Madama potrebbe essere severamente ridotto. Identica sorte avrebbero poi il parco delle auto blu e – posta ben più rilevante – l´elefantiasi immobiliare dei due palazzi che ha creato oneri non trascurabili per il bilancio pubblico. Altro che il tesoretto attorno al quale oggi si sta furiosamente disputando, un simile taglio al numero dei parlamentari metterebbe a disposizione dell´Erario – nel volgere di pochi anni – un autentico tesorone. Anche perché un Parlamento che trovasse il coraggio di autoemendarsi avrebbe una legittimazione incontestabile a stabilire analoghe riduzioni numeriche nelle pletoriche composizioni di consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali: con seguito di ulteriori risparmi in termini di consulenti, dipendenti degli enti, immobili, auto blu e via dettagliando. Insomma, invece di perder tempo a prosciugare i mille rivoli a valle che alimentano gli eccessivi costi della politica, con un solo intervento a monte si otterrebbe una drastica riduzione del fiume della spesa. Perché, allora, non si sceglie questa strada limpida e lineare? La principale obiezione è di ordine formale: il numero dei parlamentari è stabilito in Costituzione, quindi per modificarlo occorre avviare la più complessa procedura di revisione costituzionale. Vale a dire una doppia votazione sia di Camera sia di Senato con un intervallo non inferiore a tre mesi fra la prima e la seconda. L´obiezione è risibile: in fondo si tratta di cambiare solo due parole del testo costituzionale. Una classe politica davvero determinata a sciogliere questo nodo potrebbe tranquillamente risolvere la questione con una pronuncia delle due Camere già prima della pausa estiva e una seconda e definitiva in autunno, che cadrebbe significativamente nel bel mezzo della sessione di bilancio. Evidentemente l´obiezione procedurale è un paravento che nasconde altre, meno confessabili, ragioni di opposizione. Una su tutte: la contrarietà a ridimensionare i confini del ceto politico. Con il rischio oggi che queste resistenze occulte trovino una formidabile arma a loro vantaggio nella riforma della legge elettorale. E´ chiaro, infatti, che una riduzione della Camera a 400 deputati alzerebbe non di poco l´asticella del quoziente elettorale utile per entrare a Montecitorio. Un conto, quindi, è fare una nuova legge elettorale per un Parlamento di 630 più 315 membri, ben altra cosa è concordare una riforma del meccanismo elettivo per 400 deputati e 200 senatori. Ed ecco il serio pericolo che incombe sui più sinceri propositi di contenimento dei costi della politica. Se si arriva prima a votare una legge elettorale centrata sul numero attuale di parlamentari, si può dare per scontato che di tagli agli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama non si parlerà più per chissà quanti anni. Oggi, perciò, è il momento necessario per porre con urgenza la questione di un´inversione dell´agenda politica: prima il voto per la riduzione dei parlamentari, poi la riforma elettorale. Questo è l´arrosto del tema "costi della politica", senza il quale tutti i comitati e le indagini in corso, nonché l´ipotesi estrema del monocameralismo, rischiano di apparire puro fumo negli occhi di un´opinione pubblica già stanca di belle ma vane parole.

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