22 maggio 2007
Filippo Ceccarelli
Il Palazzo è il centro del potere separato. E per tanti versi è pure un bene che lo sia.Ma quando questo potere si fortifica sotto gli occhi dei cittadini inermi; quando si corazza, si munisce, si blinda sfidando la razionalità e il buonsenso; quando le istituzioni smarriscono la loro natura per vivere un tempo proprio e uno spazio esclusivo (dal latino "ex-claudo", chiudo fuori, possibilmente a chiave), ecco allora che com'è oggi cominciano i guai. E ancora una volta l'architettura ne rivelava l'imminente sopraggiungere. Da tre quattro anni la città politica è stata invasa da garitte di svariata foggia, fioriere frangi-traffico in cemento armato, strade ristrette di colpo, fermate degli autobus abrogate, e sbarre automatiche, passaggi a livello, parcheggi speciali, telecamere, fari. L'ultimo ritrovato sono certe colonnine retrattili, con tanto di lucette rosse e verdi, che dovrebbero scoraggiare le auto kamikaze dall'esplodere in quei pressi. Nessuno sa quanto costano tali pistoni "a scomparsa", essendo il Moloch della Sicurezza acerrimo nemico della trasparenza. I pilastri intorno a Palazzo Madama recano una sontuosa placca in ottone con fregio. Gli abitanti del centro storico protestano, invano.
Perché la separatezza non è un concetto astratto, né un dispositivo puramente logistico e visuale. Ai vetri oscuri delle auto blindate e alle scorte strombazzanti ai semafori (lo consente una nuova normativa) fanno riscontro i privilegi di organismi parlamentari divenuti tanto sfarzosi, ormai, quanto deboli e incerti sul piano politico: ferie interminabili, comunque, pensioni fantastiche, condizioni bancarie uniche in Italia. I presidenti delle assemblee hanno commessi, detti "culisti", che gli tengono in caldo le poltrone della prima fila nelle cerimonie pubbliche; alcuni presidenti di gruppo parlamentare richiedono in anticamera commesse graziose, "con i tacchi" specificano. Di recente i deputati e i senatori hanno preso a raccogliersi in club di tifosi; oppure in gruppi di ciclisti, alpinisti, cavallerizzi. Questi ultimi pretesero di sfilare in mezzo al traffico di Roma, con adeguata sorveglianza.
Tutto sembra lì dentro vivere di vita propria. Ci sono ristoranti, caffetterie, infermerie, uffici postali, circoli sportivi, cappelle. Non di rado i rappresentanti della volontà collettiva partono per improbabili gite di studio o addirittura vanno in pellegrinaggio in Terrasanta, sulle orme di San Paolo o a Santiago di Compostela; ma alcuni onorevoli fanno i capricci quando si tratta di varcare i metal-detector agli aeroporti. Al Senato organizzano settimane gastronomiche regionali e corsi di sommelier; alla Camera reclamano l'asilo nido e sta per essere inaugurata anche la sala di meditazione interconfessionale.
Nell'estate del 1975 Pier Paolo Pasolini, che era un poeta ma anche un profeta, diede dignità letteraria e apocalittica al Palazzo. Ma l'immagine è antichissima, forse addirittura di ascendenza classica, e c'è chi la fa risalire ai "superba civium potentiorum limina", le porte superbe dei potenti di cui parla Orazio. E' Francesco Guicciardini, comunque, nei suoi Ricordi, ad aver fornito la descrizione più celebre e antiveggente: «E spesso tra 'l palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India». Per dire un mondo remoto e incomprensibile.
A qualche secolo di distanza, come sempre accade in Italia, tutto è cambiato per restare fedele a se stesso. Alle sue confortevoli metafore, alle sue sbilenche illusioni. L'anno scorso Giuseppe De Rita, e quindi non esattamente l'alfiere del più assatanato qualunquismo, ha dato alle stampe un prezioso libricino dal titolo, invero asettico, Viaggio nelle istituzioni italiane. Ebbene, vi si legge, proprio in apertura: «E' impressionante vagare per ministeri surrealmente vuoti. E' impressionante vedere enti pubblici senza mission reale ma pieni di personale attento solo alla sua permanenza sul posto. E' impressionante vedere autorità pubbliche anche formalmente prestigiose infarcite di clientes, nei livelli alti come a quelli bassi. E' impressionante vedere - continuava sgomento il segretario generale del Censis - una dirigenza pubblica disintegrata dalla discrezionalità assoluta con cui i ministri la tiene a guinzaglio con contratti da Co.co.co. E' impressionante vedere il menefreghismo cinico con cui si lavora nel pubblico».
Il pubblico, ecco. Nel senso tradizionale di cosa pubblica, ma ormai anche in quello prevalente di spettatori. E' in quest'ambito forse che l'idea del Palazzo si è si è estesa, si è sparsa e si è pure accartocciata. L'antica separazione ha preso vie ancora troppo evolute e misteriose da delineare. La tecnologia, specie quella delle visioni a distanza e in tempo reale, costringe il potere a mostrarsi incessantemente, però al tempo stesso ne rivela pure i vuoti, gli scarti, le magagne.
Così, la città proibita abbandona i luoghi deputati ed emigra altrove. Berlusconi, che è un sovrano, ha soprattutto i suoi, di palazzi: Arcore, via del Plebiscito (con un "parlamentino" al piano terra), villa La Certosa. Gli altri potenti continuano a radunarsi sempre fra loro, ma spesso e volentieri lo fanno in ville, castelli, conventi, resort d'atmosfera, tribune d'onore degli stadi, feste vigilate da nerboruti gorilla, salotti meta, para, trans e post-istituzionali di cui Bruno Vespa si fa civettuolo resocontista tramandando ai suoi non pochi lettori le delizie eno-gastronomiche. Oppure si concentrano in quegli ammalianti baracconi artificiali, sotto quelle tensostrutture leggerissime e provvisorie allestite secondo il modello dei set televisivi.
Sembrano saltati i confini del sacro recinto della politica. Il potere trasloca. La privatizzazione del Palazzo sembra compiuta. Ma la sostanza, che poi è anche la distanza, non cambia, anzi si accresce. E prima o poi bisognerà colmarla, vivamente si spera nel modo più indolore possibile.
giovedì 24 maggio 2007
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