La Repubblica 2 Giugno
GIOVANNI VALENTINI
Al di là del patriottismo di testata, quello che è accaduto negli ultimi giorni sul sito di Repubblica.it - prima con i 150 mila voti sul "Decalogo per il Palazzo" proposto da Mario Pirani e poi con il plebiscito sul leader del Partito democratico - merita una duplice riflessione, mediatica e politica, sul linguaggio della comunicazione nella società italiana di oggi. La prima confortante indicazione è che la gente, la famosa "ggente", anche a dispetto dell' antipolitica, ha ancora voglia di partecipare, di intervenire, di esprimere un' opinione. La seconda - non meno consolante - è che il popolo di sinistra, o meglio di centrosinistra, nonostante la delusione, il disincanto e l' astensionismo elettorale con cui ha reagito in questa ultima tornata amministrativa, continua a credere nella prospettiva del Partito democratico, sollecitando anzi la sua fondazione ufficiale e la scelta di una guida, in carne e ossa. Senza alcuna pretesa statistica o demoscopica, trattandosi di sondaggi virtuali tra i frequentatori del nostro sito, il responso è tuttavia significativo e illuminante sulla crisi attuale della politica nel nostro Paese. Una consultazione di massa, via Internet e quindi immediata, istantanea, in tempo reale, che riflette gli umori di una parte dell' opinione pubblica legata al nostro giornale da una consuetudine quotidiana e anche da un senso di appartenenza. E dunque, un verdetto popolare di cui il vertice dell' Unione non può non tenere conto, tanto più che arriva all' indomani di un voto espresso nelle urne da dieci milioni di elettori. Il "Decalogo per il Palazzo" è proprio un manifesto contro l' antipolitica, cioè contro una deriva populista, demagogica o qualunquista, a favore di una "bella politica", pulita, trasparente, capace di risolvere i problemi della collettività e di soddisfare le sue esigenze, le sue aspirazioni, le sue aspettative, nel modo più equo e solidale. Non è certamente un caso che al primo posto risulti, con il 23% dei voti, la richiesta di una riduzione drastica dei privilegi dei parlamentari, seguita a ruota dalla riduzione di un terzo dei consiglieri regionali, provinciali e comunali (20%). Ma al terzo posto - e questa è un' istanza che tocca il governo in carica - c' è il cambio radicale della squadra di governo subito dopo le amministrative, con il taglio di ministri e sottosegretari da 104 a 60. A quest' ultimo punto, si collega direttamente l' altro sondaggio sul leader e sui tempi del Partito democratico. Se l' acclamazione di Walter Veltroni era tanto prevedibile quanto appropriata, meno scontate erano le risposte agli altri due quesiti: il futuro leader dev' essere scelto prima dell' estate e come? Nel primo caso, una larga maggioranza ritiene di sì; nel secondo, si sfiora addirittura l' unanimità sul ricorso alle primarie. E qui si arriva a un nodo cruciale che coinvolge il capo del governo in carica. Evidentemente, il popolo di sinistra o di centrosinistra,crede al tal punto nella funzione delle primarie, come strumento di partecipazione e di elezione dal basso, da celebrarle già via Internet. Ma è altrettanto chiaro che, a un anno e mezzo dal referendum sul nome di Prodi, il "popolo dei gazebo" non è più disposto a rinnovargli la fiducia: i quattro milioni di voti a suo favore, in assenza allora di veri competitors, sembrano dissolversi di fronte alla possibilità di esprimere una scelta alternativa. "Partito democratico, segnale assente", avevamo intitolato questa rubrica qualche settimana fa, sollecitando i leader del centrosinistra a "confrontarsi direttamente sulla Rete con i propri elettori, per raccogliere idee, stimoli, spunti da elaborare e poi condividere in un programma comune". E poi: "Questo è ai giorni nostri il canale preferenziale, anche se certamente non esclusivo, della partecipazione civile attraverso cui si può aggregare una community, una comunità e quindi un consenso popolare". Come dimostra di aver compreso il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, che cura un "blog" quotidiano sul sito della sua Federazione. Ma un nuovo partito che voglia definirsi "democratico" senza ulteriori attributi, né di sinistra né cristiano, o nasce dal basso oppure non nasce o comunque nasce male. Abbiamo assistito, invece, a due congressi di scioglimento - come quelli dei Ds e della Margherita - che hanno calato un progetto dall' alto, quasi fosse un' offerta "chiavi in mano", prendere o lasciare. E infatti, in queste elezioni amministrative, sono stati in molti a lasciare, ad astenersi, a non andare neppure a votare. Nel testo da cui è tratta la citazione iniziale, trascritto dalla "lezione" che ha tenuto il 12 dicembre scorso all' Auditorium di Roma e poi ha riprodotto in un dvd distribuito nelle librerie, Walter Veltroni dice fra l' altro che "abbiamo bisogno di ritrovare la passione per la politica". Con un approccio multimediale, il leader virtuale del Partito democratico cita Charlie Chaplin ne "Il grande dittatore", Platone, Hannah Arendt, Helmut Kohl e Mikhail Gorbaciov, Martin Luther King, Vittorio Foa, Benigno Zaccagnini, Enrico Berlinguer, il senatore americano Barack Obama, Alcide De Gasperi, Bettino Craxi, John e Robert Kennedy, i premi Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, Nelson Mandela e Rigoberta Menchù. Una galleria di personaggi forse fin troppo affollata ed eterogenea, ma comunque attraversata da una corrente comune: la ricerca di un' Utopia, per "stare - come conclude Veltroni - con i piedi ben piantati per terra e insieme tornare a sognare". Sarà lui o non sarà lui a guidare il futuro Partito democratico, un fatto è certo. Senza una forte tensione civile, la politica è destinata a cedere il campo all' antipolitica. O peggio, alla tecnocrazia che però non ha né ideali né sogni da coltivare. (sabatorepubblica.it)
GIOVANNI VALENTINI
Al di là del patriottismo di testata, quello che è accaduto negli ultimi giorni sul sito di Repubblica.it - prima con i 150 mila voti sul "Decalogo per il Palazzo" proposto da Mario Pirani e poi con il plebiscito sul leader del Partito democratico - merita una duplice riflessione, mediatica e politica, sul linguaggio della comunicazione nella società italiana di oggi. La prima confortante indicazione è che la gente, la famosa "ggente", anche a dispetto dell' antipolitica, ha ancora voglia di partecipare, di intervenire, di esprimere un' opinione. La seconda - non meno consolante - è che il popolo di sinistra, o meglio di centrosinistra, nonostante la delusione, il disincanto e l' astensionismo elettorale con cui ha reagito in questa ultima tornata amministrativa, continua a credere nella prospettiva del Partito democratico, sollecitando anzi la sua fondazione ufficiale e la scelta di una guida, in carne e ossa. Senza alcuna pretesa statistica o demoscopica, trattandosi di sondaggi virtuali tra i frequentatori del nostro sito, il responso è tuttavia significativo e illuminante sulla crisi attuale della politica nel nostro Paese. Una consultazione di massa, via Internet e quindi immediata, istantanea, in tempo reale, che riflette gli umori di una parte dell' opinione pubblica legata al nostro giornale da una consuetudine quotidiana e anche da un senso di appartenenza. E dunque, un verdetto popolare di cui il vertice dell' Unione non può non tenere conto, tanto più che arriva all' indomani di un voto espresso nelle urne da dieci milioni di elettori. Il "Decalogo per il Palazzo" è proprio un manifesto contro l' antipolitica, cioè contro una deriva populista, demagogica o qualunquista, a favore di una "bella politica", pulita, trasparente, capace di risolvere i problemi della collettività e di soddisfare le sue esigenze, le sue aspirazioni, le sue aspettative, nel modo più equo e solidale. Non è certamente un caso che al primo posto risulti, con il 23% dei voti, la richiesta di una riduzione drastica dei privilegi dei parlamentari, seguita a ruota dalla riduzione di un terzo dei consiglieri regionali, provinciali e comunali (20%). Ma al terzo posto - e questa è un' istanza che tocca il governo in carica - c' è il cambio radicale della squadra di governo subito dopo le amministrative, con il taglio di ministri e sottosegretari da 104 a 60. A quest' ultimo punto, si collega direttamente l' altro sondaggio sul leader e sui tempi del Partito democratico. Se l' acclamazione di Walter Veltroni era tanto prevedibile quanto appropriata, meno scontate erano le risposte agli altri due quesiti: il futuro leader dev' essere scelto prima dell' estate e come? Nel primo caso, una larga maggioranza ritiene di sì; nel secondo, si sfiora addirittura l' unanimità sul ricorso alle primarie. E qui si arriva a un nodo cruciale che coinvolge il capo del governo in carica. Evidentemente, il popolo di sinistra o di centrosinistra,crede al tal punto nella funzione delle primarie, come strumento di partecipazione e di elezione dal basso, da celebrarle già via Internet. Ma è altrettanto chiaro che, a un anno e mezzo dal referendum sul nome di Prodi, il "popolo dei gazebo" non è più disposto a rinnovargli la fiducia: i quattro milioni di voti a suo favore, in assenza allora di veri competitors, sembrano dissolversi di fronte alla possibilità di esprimere una scelta alternativa. "Partito democratico, segnale assente", avevamo intitolato questa rubrica qualche settimana fa, sollecitando i leader del centrosinistra a "confrontarsi direttamente sulla Rete con i propri elettori, per raccogliere idee, stimoli, spunti da elaborare e poi condividere in un programma comune". E poi: "Questo è ai giorni nostri il canale preferenziale, anche se certamente non esclusivo, della partecipazione civile attraverso cui si può aggregare una community, una comunità e quindi un consenso popolare". Come dimostra di aver compreso il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, che cura un "blog" quotidiano sul sito della sua Federazione. Ma un nuovo partito che voglia definirsi "democratico" senza ulteriori attributi, né di sinistra né cristiano, o nasce dal basso oppure non nasce o comunque nasce male. Abbiamo assistito, invece, a due congressi di scioglimento - come quelli dei Ds e della Margherita - che hanno calato un progetto dall' alto, quasi fosse un' offerta "chiavi in mano", prendere o lasciare. E infatti, in queste elezioni amministrative, sono stati in molti a lasciare, ad astenersi, a non andare neppure a votare. Nel testo da cui è tratta la citazione iniziale, trascritto dalla "lezione" che ha tenuto il 12 dicembre scorso all' Auditorium di Roma e poi ha riprodotto in un dvd distribuito nelle librerie, Walter Veltroni dice fra l' altro che "abbiamo bisogno di ritrovare la passione per la politica". Con un approccio multimediale, il leader virtuale del Partito democratico cita Charlie Chaplin ne "Il grande dittatore", Platone, Hannah Arendt, Helmut Kohl e Mikhail Gorbaciov, Martin Luther King, Vittorio Foa, Benigno Zaccagnini, Enrico Berlinguer, il senatore americano Barack Obama, Alcide De Gasperi, Bettino Craxi, John e Robert Kennedy, i premi Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, Nelson Mandela e Rigoberta Menchù. Una galleria di personaggi forse fin troppo affollata ed eterogenea, ma comunque attraversata da una corrente comune: la ricerca di un' Utopia, per "stare - come conclude Veltroni - con i piedi ben piantati per terra e insieme tornare a sognare". Sarà lui o non sarà lui a guidare il futuro Partito democratico, un fatto è certo. Senza una forte tensione civile, la politica è destinata a cedere il campo all' antipolitica. O peggio, alla tecnocrazia che però non ha né ideali né sogni da coltivare. (sabatorepubblica.it)
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