MARIO PIRANI
Al momento in cui scrivo (ore 16 dell´1 giugno) le risposte positive al cosiddetto «decalogo per il Palazzo» lanciato da Repubblica (24/5), assommavano a 150.197, un livello tra i più considerevoli per questo tipo di iniziative su web. Ringrazio di cuore tutti i lettori che hanno compreso il senso di quella che ha voluto essere una provocazione positiva nei confronti dei dirigenti di centro sinistra. Analogo valore ha la verifica successiva sul candidato preferito per la guida del futuro partito unificato che vede di gran lunga in testa Walter Veltroni (col 47% delle preferenze) seguito a molta distanza da Anna Finocchiaro col 10% e dagli altri papabili con percentuali ad una sola cifra. Non si tratta, è vero, di sondaggi, elaborati in base a tecniche demografiche, sociologiche e di campionatura precise, così da riflettere con un alto grado di approssimazione, le scelte dell´assieme dei cittadini, ma di un termometro per saggiare il grado di reattività politica di quanti si riconoscono nel profilo del nostro giornale.Il fatto che in così gran numero abbiano voluto far sentire la propria volontà in ambedue i test assume, peraltro, un valore tutt´altro che trascurabile per percepire in presa diretta l´orientamento di una aliquota molto corposa di uno strato qualificato di cittadini - in grande maggioranza di centro sinistra - rappresentata dai lettori di Repubblica. Per questo il fatto che i maggiorenti della nomenklatura, in primo luogo i cosiddetti 45 saggi del costituendo partito democratico, mostrino di non tenere in alcun conto le propensioni espresse da un´avanguardia significativa del loro elettorato, comprova l´involuzione autoreferenziale di un gruppo dirigente refrattario a una seria analisi critica del proprio operato. Un gruppo, dunque, assai restìo ad affidare al vento della democrazia la spinta propulsiva per far decollare con forza il partito democratico. Di qui il rifiuto delle primarie, in cui i leader dovrebbero gareggiare, confrontarsi e trarre dal voto diretto di tutti gli aderenti la legittimazione a guidare il partito.Premessa ad un´altra tornata di primarie in cui siano gli elettori di centro sinistra a scegliere il candidato premier. Il successo del Decalogo, peraltro, induce a qualche altra riflessione.In primo luogo vorrei dire che quello che è stato definito semplicisticamente lo tsunami dei «costi della politica» genera alcuni dubbi. Da un lato, più che propiziare la riforma indispensabile della politica, può alimentare con nuovi flussi il bacino già esteso dell´anti politica. Dall´altro si presta fin troppo ad innescare dibattiti ripetitivi, anche se speziati da ripetuti talk show e accompagnati da finte indignazioni ed ipocriti buoni propositi. Alla fine tutto potrebbe concludersi con qualche taglio di auto blu e una modesta limitazione di remunerazioni di vertice. Bisognerebbe, per contro, tenere ben fermo che il problema dei costi e dei privilegi esiste, ma, soprattutto, che la dilapidazione va misurata dal rapporto squilibrato fra i costi della politica e la sua inefficienza (se volessimo usare un linguaggio economico dovremmo parlare di caduta verticale di produttività).E´, quindi, la struttura del potere che va riformata se vogliamo rimettere in riga l´efficienza del sistema e la sua efficacia. Per questo al centro del «decalogo» sono stati inseriti una serie di quesiti che sottolineavano l´abnorme crescita delle cariche elettive stipendiate, del numero di ministri, consiglieri regionali, provinciali, comunali, ecc., l´occupazione partitica di gran parte della pubblica amministrazione o, quantomeno, la necessità di «targarsi» politicamente per ogni dirigente, la creazione di migliaia di enti inutili su scala regionale e locale, veri e propri uffici di collocamento politico a spese dei contribuenti. I lettori, chiamati a scegliere tre questioni su dieci hanno per il 23% votato per una riduzione drastica dei privilegi dei parlamentari, per il 20% per la riduzione di un terzo dei consiglieri regionali e locali, per il 15% per un cambio radicale della squadra di governo e il taglio dei suoi membri da 104 a 60. Al quarto posto, col 12% dei voti, si piazza l´abolizione dei finanziamenti diretti ai consiglieri regionali, la censita e il taglio degli enti inutili.Dalla qualità delle preferenze adottate si intuisce una scelta consapevole per colpire sia i privilegi e gli sprechi, quanto le inefficienze strutturali.Resta il quesito se i registi del partito democratico lo capiranno o continueranno a discettare se ci vuole un segretario, un coordinatore o un semplice portavoce, agitandosi vanamente come mosche chiuse in una bottiglia.
Al momento in cui scrivo (ore 16 dell´1 giugno) le risposte positive al cosiddetto «decalogo per il Palazzo» lanciato da Repubblica (24/5), assommavano a 150.197, un livello tra i più considerevoli per questo tipo di iniziative su web. Ringrazio di cuore tutti i lettori che hanno compreso il senso di quella che ha voluto essere una provocazione positiva nei confronti dei dirigenti di centro sinistra. Analogo valore ha la verifica successiva sul candidato preferito per la guida del futuro partito unificato che vede di gran lunga in testa Walter Veltroni (col 47% delle preferenze) seguito a molta distanza da Anna Finocchiaro col 10% e dagli altri papabili con percentuali ad una sola cifra. Non si tratta, è vero, di sondaggi, elaborati in base a tecniche demografiche, sociologiche e di campionatura precise, così da riflettere con un alto grado di approssimazione, le scelte dell´assieme dei cittadini, ma di un termometro per saggiare il grado di reattività politica di quanti si riconoscono nel profilo del nostro giornale.Il fatto che in così gran numero abbiano voluto far sentire la propria volontà in ambedue i test assume, peraltro, un valore tutt´altro che trascurabile per percepire in presa diretta l´orientamento di una aliquota molto corposa di uno strato qualificato di cittadini - in grande maggioranza di centro sinistra - rappresentata dai lettori di Repubblica. Per questo il fatto che i maggiorenti della nomenklatura, in primo luogo i cosiddetti 45 saggi del costituendo partito democratico, mostrino di non tenere in alcun conto le propensioni espresse da un´avanguardia significativa del loro elettorato, comprova l´involuzione autoreferenziale di un gruppo dirigente refrattario a una seria analisi critica del proprio operato. Un gruppo, dunque, assai restìo ad affidare al vento della democrazia la spinta propulsiva per far decollare con forza il partito democratico. Di qui il rifiuto delle primarie, in cui i leader dovrebbero gareggiare, confrontarsi e trarre dal voto diretto di tutti gli aderenti la legittimazione a guidare il partito.Premessa ad un´altra tornata di primarie in cui siano gli elettori di centro sinistra a scegliere il candidato premier. Il successo del Decalogo, peraltro, induce a qualche altra riflessione.In primo luogo vorrei dire che quello che è stato definito semplicisticamente lo tsunami dei «costi della politica» genera alcuni dubbi. Da un lato, più che propiziare la riforma indispensabile della politica, può alimentare con nuovi flussi il bacino già esteso dell´anti politica. Dall´altro si presta fin troppo ad innescare dibattiti ripetitivi, anche se speziati da ripetuti talk show e accompagnati da finte indignazioni ed ipocriti buoni propositi. Alla fine tutto potrebbe concludersi con qualche taglio di auto blu e una modesta limitazione di remunerazioni di vertice. Bisognerebbe, per contro, tenere ben fermo che il problema dei costi e dei privilegi esiste, ma, soprattutto, che la dilapidazione va misurata dal rapporto squilibrato fra i costi della politica e la sua inefficienza (se volessimo usare un linguaggio economico dovremmo parlare di caduta verticale di produttività).E´, quindi, la struttura del potere che va riformata se vogliamo rimettere in riga l´efficienza del sistema e la sua efficacia. Per questo al centro del «decalogo» sono stati inseriti una serie di quesiti che sottolineavano l´abnorme crescita delle cariche elettive stipendiate, del numero di ministri, consiglieri regionali, provinciali, comunali, ecc., l´occupazione partitica di gran parte della pubblica amministrazione o, quantomeno, la necessità di «targarsi» politicamente per ogni dirigente, la creazione di migliaia di enti inutili su scala regionale e locale, veri e propri uffici di collocamento politico a spese dei contribuenti. I lettori, chiamati a scegliere tre questioni su dieci hanno per il 23% votato per una riduzione drastica dei privilegi dei parlamentari, per il 20% per la riduzione di un terzo dei consiglieri regionali e locali, per il 15% per un cambio radicale della squadra di governo e il taglio dei suoi membri da 104 a 60. Al quarto posto, col 12% dei voti, si piazza l´abolizione dei finanziamenti diretti ai consiglieri regionali, la censita e il taglio degli enti inutili.Dalla qualità delle preferenze adottate si intuisce una scelta consapevole per colpire sia i privilegi e gli sprechi, quanto le inefficienze strutturali.Resta il quesito se i registi del partito democratico lo capiranno o continueranno a discettare se ci vuole un segretario, un coordinatore o un semplice portavoce, agitandosi vanamente come mosche chiuse in una bottiglia.
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