8 GIUGNO 2007
CARLO PETRINI
Siamo arrivati al dunque: quello che è sempre sembrato un argomento marginale nell´agenda politica dei grandi Paesi del mondo, ciò che è sempre stato ritenuto confinabile tra la protesta di piazza e i piccoli consessi degli ambientalisti, ora è entrato prepotentemente nelle stanze del G8. L´evidenza ha messo di fronte ai maggiori consumatori di energia del pianeta la questione del cambiamento climatico come non più prorogabile, e loro in qualche modo sono nuovamente riusciti a prorogare. Quindi il compromesso raggiunto a Heiligendamm, un impegno generico a prendere in mano la situazione in un futuro più o meno prossimo, non è un successo: la montagna ha partorito un topolino.
Non bastano le dichiarazioni d´intenti, il problema è molto più drammatico; il sistema che va urgentemente corretto è molto più complesso.Purtroppo, gli otto grandi rappresentano diverse civiltà, diverse sensibilità, ma sono tutti accomunati dalla stessa visione economica, determinata dai parametri di crescita che hanno segnato la traiettoria del loro sviluppo. Questa visione stabilisce che il benessere materiale è l´unico obiettivo e che lo sviluppo è subordinato a un grande consumo di risorse: per cui i Paesi industriali dovrebbero mantenere il livello raggiunto, mentre chi è in via di sviluppo dovrebbe lottare per arrivare dove sono arrivati loro. Tant´è vero che il tavolo si sta aprendo a quei Paesi emergenti, come la Cina e l´India, che stanno ripercorrendo furiosamente le tappe degli otto e che presto, se ci si basa su questa visione economica, saranno destinati a surclassarli.Mi chiedo, di fronte a questo scenario, quanto i G8 siano consapevoli che la natura ha dei limiti e che il loro stile di vita attuale non tiene conto del fatto che le risorse non sono infinite. Non sono soli al mondo e sono chiamati a rispettare i diritti degli assenti. Oggi è quanto mai nel loro interesse riuscire a conciliare l´ecologia con l´equità, riuscire a garantire uno sviluppo per tutti, perché "la finitezza delle risorse è la cornice della giustizia". Ma ci riusciranno, ne terranno conto?La questione non è soltanto etica, parliamo di sicurezza mondiale, di interdipendenza tra i popoli che abitano la terra, di benessere nell´interesse comune. Si tratta di far proprio un nuovo concetto di sviluppo. C´è un modello che ben descrive quanto sarebbe necessario fare, o meglio quanto resterebbe soltanto più da fare, ed è stato elaborato da Aubrey Meyer nel 2000. Si chiama "Contrazione e convergenza" e parte dal presupposto che nessuno ha il diritto di sfruttare in maniera sproporzionata le risorse: le nazioni dunque dovrebbero muoversi tutte verso lo stesso traguardo, compatibile con gli interessi degli altri Paesi e con la capacità di tenuta della biosfera.Ci riferiamo naturalmente alle risorse fossili: i Paesi industriali dovrebbero ridurre (contrazione) il loro consumo più di quanto i Paesi in via di sviluppo lo aumentino (per raggiungere la convergenza). Sarà necessario un abbassamento del 50% entro il 2050? Dipende come: l´abbassamento dovrà tener conto che i Paesi poveri hanno pur diritto a una crescita di consumi, perché per avere un minimo di benessere ci vuole un minimo di energia. Essi dovranno poter raggiungere almeno una dignity line, un livello che consenta ai loro cittadini di vivere una vita dignitosa. Quindi l´abbassamento dei ricchi dovrà essere più consistente, altrimenti non ne verremo mai a capo.Sembrerebbe utopistico pretendere un tale bagno di umiltà da parte dei grandi della terra, ma ricordiamoci che è anche nel loro interesse. Inoltre, ridurre così tanto i nostri consumi di energie fossili non significherebbe necessariamente ridurre anche il nostro benessere. Con la riconversione della produzione energetica e la sua decentralizzazione si può sviluppare una diversa economia, perfettamente in grado di garantire una buona qualità della vita a tutti. Il punto è proprio la decentralizzazione, l´implementazione di economie locali capaci di fare leva sulla diversità e sulle caratteristiche peculiari dei vari territori, armonizzando le due diverse tendenze che ci chiede il modello "contrazione e convergenza", per portarci a un sistema dove l´importante non sarà più consumare, ma il benessere. Soltanto l´economia locale ci può garantire una produzione decentrata dell´energia: il segreto per garantirci un futuro, o, se vogliamo, anche l´uovo di Colombo che dovrebbe essere messo ritto sul tavolo del G8.È una scelta politica e tecnica: la fornitura di energia che di solito è centralizzata e basata sull´energia fossile (sia nel Nord sia nel Sud del mondo) deve essere decentrata e fondata su fonti rinnovabili. In una fornitura decentrata gran parte dell´elettricità viene prodotta in piccole unità: piccole centrali idroelettriche, impianti di biomassa, fotovoltaico, eolico. Sono metodi che hanno delle filiere molto più corte, si possono inserire bene nelle condizioni economiche e naturali dei luoghi e se ne può facilmente misurare la sostenibilità. Inoltre si possono utilizzare materie prime locali e i consumatori si trasformano pian piano in produttori di energia, rafforzando la loro partecipazione, consapevolezza e responsabilità. Se è vero che i piccoli impianti sono meno efficienti delle grandi centrali, secondo molti studiosi tanti piccoli impianti generano però benefici a livello macroeconomico: creano un mercato di massa e favoriscono l´introduzione di nuovi soggetti sul mercato. Il lavoro e il reddito sarebbero rinforzati a livello locale e questi risvolti benefici ricadrebbero non soltanto nel Nord del mondo, ma nel Sud, dove c´è bisogno di far partire lo sviluppo economico. La molteplicità delle fonti si adatterebbe a livello territoriale: si pensi all´Africa e all´impiego del fotovoltaico, alle zone disabitate e impervie del mondo dove si può implementare l´eolico, a quello che potrebbero fare piccoli stati caraibici ricavando l´etanolo dallo zucchero o alle potenzialità delle biomasse nelle zone dove si generano grandi scarti organici provenienti da altre filiere. Sono soltanto alcuni esempi di come un modello energetico decentralizzato potrebbe migliorare le condizioni di vita in molte parti del globo senza peggiorarle dove già si sta bene.Durante il G8 si è discusso il grosso problema dell´Africa e degli aiuti umanitari: perché nessuno pensa di convogliare aiuti nella direzione di questo nuovo tipo di produzione energetica? Sarebbe un motore formidabile per lo sviluppo, e finalmente questi popoli avrebbero la possibilità reale di camminare con le proprie gambe. Aiutandoli a produrre elettricità in maniera alternativa e a livello locale, sono sicuro che con piccoli ospedali, scuole, case più accoglienti, una vita più agiata, sarà difficile che le campagne si svuotino, che le terre si abbandonino e che si prosegua con grandi megalopoli sempre più ingigantite e insostenibili e una cronica dipendenza alimentare dai Paesi ricchi. Sto forse buttando in aria bei sogni di fronte a un consesso che decide buona parte del nostro futuro? Non credo, è tutta questione di volontà, e di pensare in maniera innovativa: sono tutte cose fattibili. Per questo motivo il vero sogno, forse, sarebbe vedere l´Italia partecipare al G8 con un tale livello propositivo, perché la nostra nazione, sempre più piccola di fronte ai grandi, può davvero giocare un ruolo decisivo su queste tematiche. L´Italia è il simbolo della diversità: siamo diversi al nostro interno e siamo sempre stati il crocevia di migrazioni e conquiste, generando un´incredibile capacità di adattamento e una buona dose di genialità. Noi italiani siamo sempre anche stati maestri nella convivialità, e per questa nostra capacità ci distinguiamo spesso anche negli incontri ufficiali. Ecco, sarebbe bello se riuscissimo finalmente a fare nostra la riflessione di Ivan Illich, secondo il quale il termine convivialità, a partire dal suo significato di saper vivere e mangiare insieme, ha assunto ormai, più ampiamente, il significato "della capacità, da parte di una collettività umana di sviluppare un interscambio armonioso con gli individui e i gruppi che la compongono e la capacità di accogliere ciò che è estraneo a questa collettività". Siamo pronti per pensare un mondo nuovo?
CARLO PETRINI
Siamo arrivati al dunque: quello che è sempre sembrato un argomento marginale nell´agenda politica dei grandi Paesi del mondo, ciò che è sempre stato ritenuto confinabile tra la protesta di piazza e i piccoli consessi degli ambientalisti, ora è entrato prepotentemente nelle stanze del G8. L´evidenza ha messo di fronte ai maggiori consumatori di energia del pianeta la questione del cambiamento climatico come non più prorogabile, e loro in qualche modo sono nuovamente riusciti a prorogare. Quindi il compromesso raggiunto a Heiligendamm, un impegno generico a prendere in mano la situazione in un futuro più o meno prossimo, non è un successo: la montagna ha partorito un topolino.
Non bastano le dichiarazioni d´intenti, il problema è molto più drammatico; il sistema che va urgentemente corretto è molto più complesso.Purtroppo, gli otto grandi rappresentano diverse civiltà, diverse sensibilità, ma sono tutti accomunati dalla stessa visione economica, determinata dai parametri di crescita che hanno segnato la traiettoria del loro sviluppo. Questa visione stabilisce che il benessere materiale è l´unico obiettivo e che lo sviluppo è subordinato a un grande consumo di risorse: per cui i Paesi industriali dovrebbero mantenere il livello raggiunto, mentre chi è in via di sviluppo dovrebbe lottare per arrivare dove sono arrivati loro. Tant´è vero che il tavolo si sta aprendo a quei Paesi emergenti, come la Cina e l´India, che stanno ripercorrendo furiosamente le tappe degli otto e che presto, se ci si basa su questa visione economica, saranno destinati a surclassarli.Mi chiedo, di fronte a questo scenario, quanto i G8 siano consapevoli che la natura ha dei limiti e che il loro stile di vita attuale non tiene conto del fatto che le risorse non sono infinite. Non sono soli al mondo e sono chiamati a rispettare i diritti degli assenti. Oggi è quanto mai nel loro interesse riuscire a conciliare l´ecologia con l´equità, riuscire a garantire uno sviluppo per tutti, perché "la finitezza delle risorse è la cornice della giustizia". Ma ci riusciranno, ne terranno conto?La questione non è soltanto etica, parliamo di sicurezza mondiale, di interdipendenza tra i popoli che abitano la terra, di benessere nell´interesse comune. Si tratta di far proprio un nuovo concetto di sviluppo. C´è un modello che ben descrive quanto sarebbe necessario fare, o meglio quanto resterebbe soltanto più da fare, ed è stato elaborato da Aubrey Meyer nel 2000. Si chiama "Contrazione e convergenza" e parte dal presupposto che nessuno ha il diritto di sfruttare in maniera sproporzionata le risorse: le nazioni dunque dovrebbero muoversi tutte verso lo stesso traguardo, compatibile con gli interessi degli altri Paesi e con la capacità di tenuta della biosfera.Ci riferiamo naturalmente alle risorse fossili: i Paesi industriali dovrebbero ridurre (contrazione) il loro consumo più di quanto i Paesi in via di sviluppo lo aumentino (per raggiungere la convergenza). Sarà necessario un abbassamento del 50% entro il 2050? Dipende come: l´abbassamento dovrà tener conto che i Paesi poveri hanno pur diritto a una crescita di consumi, perché per avere un minimo di benessere ci vuole un minimo di energia. Essi dovranno poter raggiungere almeno una dignity line, un livello che consenta ai loro cittadini di vivere una vita dignitosa. Quindi l´abbassamento dei ricchi dovrà essere più consistente, altrimenti non ne verremo mai a capo.Sembrerebbe utopistico pretendere un tale bagno di umiltà da parte dei grandi della terra, ma ricordiamoci che è anche nel loro interesse. Inoltre, ridurre così tanto i nostri consumi di energie fossili non significherebbe necessariamente ridurre anche il nostro benessere. Con la riconversione della produzione energetica e la sua decentralizzazione si può sviluppare una diversa economia, perfettamente in grado di garantire una buona qualità della vita a tutti. Il punto è proprio la decentralizzazione, l´implementazione di economie locali capaci di fare leva sulla diversità e sulle caratteristiche peculiari dei vari territori, armonizzando le due diverse tendenze che ci chiede il modello "contrazione e convergenza", per portarci a un sistema dove l´importante non sarà più consumare, ma il benessere. Soltanto l´economia locale ci può garantire una produzione decentrata dell´energia: il segreto per garantirci un futuro, o, se vogliamo, anche l´uovo di Colombo che dovrebbe essere messo ritto sul tavolo del G8.È una scelta politica e tecnica: la fornitura di energia che di solito è centralizzata e basata sull´energia fossile (sia nel Nord sia nel Sud del mondo) deve essere decentrata e fondata su fonti rinnovabili. In una fornitura decentrata gran parte dell´elettricità viene prodotta in piccole unità: piccole centrali idroelettriche, impianti di biomassa, fotovoltaico, eolico. Sono metodi che hanno delle filiere molto più corte, si possono inserire bene nelle condizioni economiche e naturali dei luoghi e se ne può facilmente misurare la sostenibilità. Inoltre si possono utilizzare materie prime locali e i consumatori si trasformano pian piano in produttori di energia, rafforzando la loro partecipazione, consapevolezza e responsabilità. Se è vero che i piccoli impianti sono meno efficienti delle grandi centrali, secondo molti studiosi tanti piccoli impianti generano però benefici a livello macroeconomico: creano un mercato di massa e favoriscono l´introduzione di nuovi soggetti sul mercato. Il lavoro e il reddito sarebbero rinforzati a livello locale e questi risvolti benefici ricadrebbero non soltanto nel Nord del mondo, ma nel Sud, dove c´è bisogno di far partire lo sviluppo economico. La molteplicità delle fonti si adatterebbe a livello territoriale: si pensi all´Africa e all´impiego del fotovoltaico, alle zone disabitate e impervie del mondo dove si può implementare l´eolico, a quello che potrebbero fare piccoli stati caraibici ricavando l´etanolo dallo zucchero o alle potenzialità delle biomasse nelle zone dove si generano grandi scarti organici provenienti da altre filiere. Sono soltanto alcuni esempi di come un modello energetico decentralizzato potrebbe migliorare le condizioni di vita in molte parti del globo senza peggiorarle dove già si sta bene.Durante il G8 si è discusso il grosso problema dell´Africa e degli aiuti umanitari: perché nessuno pensa di convogliare aiuti nella direzione di questo nuovo tipo di produzione energetica? Sarebbe un motore formidabile per lo sviluppo, e finalmente questi popoli avrebbero la possibilità reale di camminare con le proprie gambe. Aiutandoli a produrre elettricità in maniera alternativa e a livello locale, sono sicuro che con piccoli ospedali, scuole, case più accoglienti, una vita più agiata, sarà difficile che le campagne si svuotino, che le terre si abbandonino e che si prosegua con grandi megalopoli sempre più ingigantite e insostenibili e una cronica dipendenza alimentare dai Paesi ricchi. Sto forse buttando in aria bei sogni di fronte a un consesso che decide buona parte del nostro futuro? Non credo, è tutta questione di volontà, e di pensare in maniera innovativa: sono tutte cose fattibili. Per questo motivo il vero sogno, forse, sarebbe vedere l´Italia partecipare al G8 con un tale livello propositivo, perché la nostra nazione, sempre più piccola di fronte ai grandi, può davvero giocare un ruolo decisivo su queste tematiche. L´Italia è il simbolo della diversità: siamo diversi al nostro interno e siamo sempre stati il crocevia di migrazioni e conquiste, generando un´incredibile capacità di adattamento e una buona dose di genialità. Noi italiani siamo sempre anche stati maestri nella convivialità, e per questa nostra capacità ci distinguiamo spesso anche negli incontri ufficiali. Ecco, sarebbe bello se riuscissimo finalmente a fare nostra la riflessione di Ivan Illich, secondo il quale il termine convivialità, a partire dal suo significato di saper vivere e mangiare insieme, ha assunto ormai, più ampiamente, il significato "della capacità, da parte di una collettività umana di sviluppare un interscambio armonioso con gli individui e i gruppi che la compongono e la capacità di accogliere ciò che è estraneo a questa collettività". Siamo pronti per pensare un mondo nuovo?
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