La stampa 3 giugno
Il sindaco di Roma sferza il Partito democratico. E il premier: sarà una sfida vera
FABIO MARTINI
Si presenta al teatro col maglioncino girocollo, look casual che sembra copiato dal detestato Silvio Berlusconi. Poi, per il caldo, Romano Prodi si sfila il pullover, da sotto emerge una delle sue cravatte a nodo largo e tutti capiscono che la vera sorpresa del sabato festivo è un’altra. Ai 700 elettori schierati al teatro Quirino e lì giunti perché al premier sono ancora affezionati, Romano Prodi mostra il volto «cattivo» e tonico dei suoi lontani momenti migliori e rivestendo i panni del politico di «base», riesce a strappare applausi che non si sognava da mesi. Stuzzicato da una trentina di domande senza rete raccolte da Patrizio Roversi, il presidente del Consiglio ha dipinto un affresco del futuro democratico che non metterà di buon umore i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita: «Un partito nuovo non può nascere con una classe dirigente vecchia!». E ancora, rispondendo a chi criticava un partito che sta nascendo senza giovani, Prodi ha risposto senza ipocrisie: «Con sincerità vi dico, stiamo attenti a ripetere la frase “ora prendiamo i giovani”. Lasciamoli crescere in autonomia. Perché io ho conosciuti tanti giovani-vecchi, emersi soltanto perché cooptati da qualche potente! ». Difficile far nomi, cercare di capire a chi alluda Prodi. Ma il messaggio che il Professore vuole lanciare alla sua base elettorale è un altro: io a rinnovare ci provo, semmai sono i partiti a resistere. L’assemblea al Quirino era organizzata dai comitati «Incontriamoci», animati dal ministro prodiano Giulio Santagata e dovrebbe essere il primo di una serie di incontri del Professore con la sua «base», una ripresa di contatto col Paese reale.
Un tour ancora da metter su ma che dovrebbe servire a Prodi per uscire dall’assedio al Palazzo, un giro per l’Italia che - in caso di necessità - potrebbe persino precostituire l’ossatura di una «Lista Prodi» in vista della sfida elettorale fissata per il 14 ottobre per l’elezione dell’Assemblea costituente del partito democratico. E proprio perché di quel decisivo appuntamento restano da fissare le regole essenziali (modalità di elezione dei «costituenti », ruolo del segretario), il premier ha tenuto il punto sui punti per lui dirimenti: elezione popolare e liste concorrenti. Ha tenuto il punto, anche per indirettamente stimolare Walter Veltroni, il gran favorito nella lotta per la successione a Prodi. Il sindaco di Roma era stato invitato al Quirino e ha brevemente parlato, denunciando il rischio di un Partito democratico che nasca «con una connotazione algida», con una discussione «tutta sulle regole, una discussione virtuale come una “second life”, lontana dai temi importanti della vita quotidiana dei cittadini». Il referendum sulla legge elettorale? «Lo condivido, ma la soluzione che produce non è quella di cui abbiamo bisogno». In forte sintonia con Veltroni, anche altri due protagonisti del pomeriggio, il ministro per le Politiche giovanili Giovanna Melandri e quello per l’Attuazione del Programma, Giulio Santagata, mentre per il ministro della Difesa Arturo Parisi, l’«ideologo» del Pd e delle primarie, «la vera questione etica che riguarda il Partito democratico è quella della democrazia interna: un partito non solo annuncia una società diversa, ma la deve anche praticare. Bene, sino ad oggi questa secondo aspetto si è rivelato profondamente inattuato » nei partiti esistenti.
Alla fine è toccato a Prodi chiudere: «Nel nuovo partito nessuno deve avere il posto garantito, neppure io che cercherò di essere eletto a Bologna ». E poi enunciazioni, venate da enfasi: «Il 14 ottobre il Paese cambia perché l’elezione popolare della Assemblea costituente per dar vita al Pd è una rivoluzione». Anche per un altro motivo: «I partiti nominati o posseduti dall’alto non possono risolvere veramente i problemi, mentre il nostro è l’unico partito in Italia nel quale ci si divide, ma si divide veramente».
Il sindaco di Roma sferza il Partito democratico. E il premier: sarà una sfida vera
FABIO MARTINI
Si presenta al teatro col maglioncino girocollo, look casual che sembra copiato dal detestato Silvio Berlusconi. Poi, per il caldo, Romano Prodi si sfila il pullover, da sotto emerge una delle sue cravatte a nodo largo e tutti capiscono che la vera sorpresa del sabato festivo è un’altra. Ai 700 elettori schierati al teatro Quirino e lì giunti perché al premier sono ancora affezionati, Romano Prodi mostra il volto «cattivo» e tonico dei suoi lontani momenti migliori e rivestendo i panni del politico di «base», riesce a strappare applausi che non si sognava da mesi. Stuzzicato da una trentina di domande senza rete raccolte da Patrizio Roversi, il presidente del Consiglio ha dipinto un affresco del futuro democratico che non metterà di buon umore i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita: «Un partito nuovo non può nascere con una classe dirigente vecchia!». E ancora, rispondendo a chi criticava un partito che sta nascendo senza giovani, Prodi ha risposto senza ipocrisie: «Con sincerità vi dico, stiamo attenti a ripetere la frase “ora prendiamo i giovani”. Lasciamoli crescere in autonomia. Perché io ho conosciuti tanti giovani-vecchi, emersi soltanto perché cooptati da qualche potente! ». Difficile far nomi, cercare di capire a chi alluda Prodi. Ma il messaggio che il Professore vuole lanciare alla sua base elettorale è un altro: io a rinnovare ci provo, semmai sono i partiti a resistere. L’assemblea al Quirino era organizzata dai comitati «Incontriamoci», animati dal ministro prodiano Giulio Santagata e dovrebbe essere il primo di una serie di incontri del Professore con la sua «base», una ripresa di contatto col Paese reale.
Un tour ancora da metter su ma che dovrebbe servire a Prodi per uscire dall’assedio al Palazzo, un giro per l’Italia che - in caso di necessità - potrebbe persino precostituire l’ossatura di una «Lista Prodi» in vista della sfida elettorale fissata per il 14 ottobre per l’elezione dell’Assemblea costituente del partito democratico. E proprio perché di quel decisivo appuntamento restano da fissare le regole essenziali (modalità di elezione dei «costituenti », ruolo del segretario), il premier ha tenuto il punto sui punti per lui dirimenti: elezione popolare e liste concorrenti. Ha tenuto il punto, anche per indirettamente stimolare Walter Veltroni, il gran favorito nella lotta per la successione a Prodi. Il sindaco di Roma era stato invitato al Quirino e ha brevemente parlato, denunciando il rischio di un Partito democratico che nasca «con una connotazione algida», con una discussione «tutta sulle regole, una discussione virtuale come una “second life”, lontana dai temi importanti della vita quotidiana dei cittadini». Il referendum sulla legge elettorale? «Lo condivido, ma la soluzione che produce non è quella di cui abbiamo bisogno». In forte sintonia con Veltroni, anche altri due protagonisti del pomeriggio, il ministro per le Politiche giovanili Giovanna Melandri e quello per l’Attuazione del Programma, Giulio Santagata, mentre per il ministro della Difesa Arturo Parisi, l’«ideologo» del Pd e delle primarie, «la vera questione etica che riguarda il Partito democratico è quella della democrazia interna: un partito non solo annuncia una società diversa, ma la deve anche praticare. Bene, sino ad oggi questa secondo aspetto si è rivelato profondamente inattuato » nei partiti esistenti.
Alla fine è toccato a Prodi chiudere: «Nel nuovo partito nessuno deve avere il posto garantito, neppure io che cercherò di essere eletto a Bologna ». E poi enunciazioni, venate da enfasi: «Il 14 ottobre il Paese cambia perché l’elezione popolare della Assemblea costituente per dar vita al Pd è una rivoluzione». Anche per un altro motivo: «I partiti nominati o posseduti dall’alto non possono risolvere veramente i problemi, mentre il nostro è l’unico partito in Italia nel quale ci si divide, ma si divide veramente».
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