martedì 12 giugno 2007

Partito Democratico: Diario di Bordo

Claudio Frontera, Segreteria regionale DS della Toscana

  1. Ho partecipato, a Livorno, con il senatore Antonio Polito della Margherita alla presentazione del suo libro “Oltre il socialismo”. Sul Partito democratico sono usciti in un anno, innumerevoli articoli, ma, stranamente, pochi, pochissimi libri. Tra questi è pregevole perché franco, acuto e chiaro il libro di Polito, che traccia alcune linee fortemente innovative per definire una “ideologia”, come la chiama provocatoriamente l’autore stesso, del nuovo partito, un sistema di valori e di strumenti e criteri di lettura della realtà che sia condiviso e che superi le appartenenze e le provenienze. Proprio su questo punto, Polito, scrivendo nelle ultime pagine un “Glossario” delle parole da cancellare nel futuro PD, esprime con molta forza alcuni concetti basilari. La parola da dimenticare è “Quote”. L’autore non si riferisce alle quote di genere, ma alle quote di provenienza. Se costruiremo gli organismi del nuovo partito per quote, tutto sarà già finito prima di cominciare. “Il sistema delle quote è tipico delle federazioni tra diversi, funziona nelle democrazie alla libanese o alla nordirlandese, dove la difficoltà della convivenza tra gruppi etnici o religiosi diversi è risolta attraverso un sistema di percentuali nella gestione del potere. Se fossero le quote il sistema scelto per reggere il PD, si negherebbe dunque fin dall’inizio che si tratta di un vero partito, in cui tutti entrano da uguali, perché uniti da un legame superiore alle origini e alle culture da cui provengono. Se il Pd fosse una coalizione di ex-democristiani, di ex-comunisti e di cani sciolti ex- qualcos’altro, sarebbe il contrario di un nuovo soggetto politico.(…) Nel PD tutti ricominciano daccapo. Il frullatore della democrazia interna scompone e ricompone vecchie alleanze e serve a scegliere nuovi capi.”
    Difficile essere più chiari. Il bello è che ogni volta che esponi questi argomenti, nelle riunioni becchi un applauso, perché la gente interessata al Pd non ne vuole sapere di accordi di vertice, di manuali Cencelli per divider i posti di responsabilità in base alle provenienze. Ma, nonostante questo, il comitato dei 45 è stato fatto così e dopo aver giurato che era l’ultima volta, si progetta e si continua a immaginare lo stesso meccanismo per le primarie, per la Costituente, per il futuro Congresso ecc. Come un vizio, una dipendenza, un’abitudine immodificabile. Le scelte di questa estate che avanza nel silenzio sono più importanti addirittura di quelle prese nei congressi di primavera, perché possono compromettere il futuro che abbiamo scelto di costruire. Una supplica ai quarantacinque : tranquillizzateci e dite che le quote non ci saranno nel percorso del PD. Ognuno di noi lavorerà con più entusiasmo a un obiettivo che non rischia di essere divorato dal passato.
  2. Il comitato dei 45 è impegnato a scrivere le regole per il 14 ottobre. Regole una tantum, per un solo, importantissimo appuntamento, l’elezione dell’Assemblea Costituente. Legittimo chiederci quindi, per quale Pd? Le parole che riassumono il dibattito di due congressi, e di innumerevoli dibattiti sono: aperto, plurale, inclusivo, nuovo, contendibile.
    Le regole devono garantire questi obiettivi, meglio perseguibili se il nuovo partito avrà un autentico radicamento territoriale, raggiungibile eleggendo il 14 ottobre anche assemblee costituenti regionali e scegliendo un sistema elettorale idoneo allo scopo per quella nazionale. Si parla, giustamente di fare riferimento al maggioritario di collegio, con correzione proporzionale su base regionale, prendendo a riferimento i vecchi collegi del Mattarellum facendoli diventare binominali, anziché uninominali. Eleggendo cioè, in ciascuno di essi, due rappresentanti, un uomo e una donna.
    Tutto bene, ma si impone una semplice, essenziale domanda: si voterà su un’unica lista o su più liste? Nel primo caso aggiungiamo una “C” alla sigla PD, per “coreano” e non se ne parli più. Nel secondo caso, bisogna capire bene. Si dice: per favorire la presenza di più liste, abbassiamo la soglia di firme per presentare una candidatura. Ipocrita e bugiardo accorgimento. Così non si favorisce la competizione vera, ma si scatena la bagarre dei dilettanti allo sbaraglio. In cambio di un quarto d’ora di popolarità a buon prezzo, qualche comparsa farebbe volentieri da foglia di fico. Peggio che coreano. Se si vuole un PD aperto, plurale, contendibile, per la Costituente le liste devono fare una vera competizione. Un problema di tipo politico è che queste liste in competizione dovrebbero essere identificabili per sensibilità, orientamenti, ecc, ma non per provenienza. Se faremo un partito in cui gareggiano liste di ex-ds, contro liste di ex-margherita e ex-società civile, il progetto sarà già fallito. Per ora parliamo però di procedure. Affinché il sistema esprima una chiara opzione pluralista e democratica c’è una cartina di tornasole, tra le regole da scrivere. E’ la garanzia di par condicio tra le liste. Par condicio nell’accesso ai mezzi di comunicazione, alle risorse finanziarie disponibili, alle opportunità di visibilità. Ma soprattutto una par condicio di comportamenti. Arriveremo al 14 ottobre con organismi legittimi e strutturati in vita per ciascuno dei due partiti. Occorre sancire, se vogliamo il PD che vogliamo, che gli organismi di un partito (non ovviamente le singole persone), ma gli organismi, se gareggiano candidati iscritti a quel partito, devono rigorosamente restare neutrali. Se compete il candidato ufficiale dei DS con un/una iscritto/a candidatosi con un pugno di firme, non è una gara, è un bluff.
    Qualcuno vuole bluffare? Lo vedremo dal fatto che questa semplice elementare, basilare regola democratica sarà scritta oppure no.

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