mercoledì 25 luglio 2007

Il Palazzo e il referendum

La Stampa
25 luglio 2007
di Michele Ainis
Per il referendum è scoccata l’ora zero. Le firme ci sono, quest’impervio tratto del percorso è ormai alle spalle. Con quale consuntivo? Se l’esperienza fosse maestra di vita (in Italia non lo è), dovremmo trarne l’ennesima conferma d’una maledizione che aleggia sui nostri destini collettivi. Anzi una triplice maledizione, mai del tutto esorcizzata nella seconda Repubblica così come nella prima.Uno: la sindrome dell’ornitorinco. Ossia quell’eccentrico mammifero australiano che cova le uova e sfodera sia becco che pelliccia: emblema dell’indecisione, della volontà impotente, dello stallo. Ecco, è questo l’animale che s’attaglia al nostro Parlamento, dove il rinvio è stato eretto a suprema arte di governo, dove si discute di riforme costituzionali da trent’anni senza cavarci un fico secco, a parte la verbosa riscrittura del Titolo V nel 2001. Insomma, il referendum Segni-Guzzetta dimostra, una volta in più, che il sistema non può correggersi dall’interno, perché è incapace di scegliere, di sottrarsi ai veti incrociati; e che dunque in Italia funzionano soltanto le riforme esterne, quelle generate fuori dal Palazzo. Del resto furono altri due referendum elettorali (nel 1991 e nel 1993) a scardinare l’assetto dei partiti; e anche allora ne fu testimone Mario Segni. Insomma il referendum è l’arma della società civile contro la società politica, è il suo strumento per opporsi a decisioni impopolari, abrogandole con una croce. Ma come può abrogarsi una non decisione? La fantasia italiana ha inventato i referendum manipolativi: fingono d’eliminare frasi o parole da una legge, in realtà attraverso sapienti sforbiciate ne scrivono un’altra tutta nuova. Il guaio è che con questa tecnica il risultato è un po’ approssimativo; succede pure adesso, dato che il referendum lascia sopravvivere sia le liste bloccate sia la lotteria del Senato. In breve, la riforma interna è impossibile, quella esterna è imperfetta. Poiché il nostro problema risiede nell’impasse in cui versano le Camere, non sarebbe male riesumare il referendum propositivo di cui parlò Mortati alla Costituente.Due: la maledizione di Crono, il Dio che divorava i propri figli. In Italia questo pasto si è consumato molte volte. Dinanzi a un referendum dirompente, i partiti sulle prime nicchiano; poi quando il successo si profila corrono in soccorso del vincitore, come mostra anche stavolta il lungo corteo di pentiti del Porcellum, da Fini a Pera. Ma a conti fatti trovano sempre il modo di spuntare le unghie al referendum. Possono farlo modificando la legge elettorale, benché per evitare il referendum dovrebbero altresì modificarne i principi ispiratori; ma qui è facile barare, dato che lo spirito delle leggi è «un argine rotto al torrente delle opinioni», diceva Beccaria. Possono giocarsi la partita davanti alla Consulta, che in materia referendaria ha edificato una giurisprudenza decifrabile solo dagli astrologhi. Possono far saltare il quorum, cavalcando l’astensionismo «militante». O altrimenti possono frodare il voto, restaurando con la mano sinistra quanto il corpo elettorale aveva depennato con la destra. Per l’appunto, è già successo: nel 1993 e nel 1995, con i ministeri dell’Agricoltura e del Turismo; nel 1997, attraverso la nuova legge sul finanziamento pubblico ai partiti; nel 1993, quando il Mattarellum introdusse un sistema elettorale misto, nonostante la vittoria referendaria (82,7%) del maggioritario.Tre: il morso della vedova nera. Ossia quel simpatico ragnetto americano che dopo ogni amplesso uccide il proprio partner. Sta di fatto che il referendum Segni-Guzzetta rimuove il tabù che ha fin qui impedito lo scioglimento delle Camere: sarebbe una sfida alla decenza chiamare di nuovo alle urne gli italiani col Porcellum. Concepito per raddrizzare le declinanti sorti del sistema, il referendum quindi rischia, e suo malgrado, d’assestargli un colpo letale. Se in primavera avrà successo, l’attuale Parlamento ne uscirà delegittimato, e in autunno voteremo (è già accaduto nel 1994). A meno che i partiti non chiedano il voto anticipato proprio per disinnescare il referendum: allora voteremo in primavera. Anche questo è già accaduto: i primi due scioglimenti anticipati delle Camere (nel 1972 e nel 1976) caddero allo scopo di rinviare i referendum sul divorzio e sull'aborto. Insomma, da oggi la fine della legislatura è più vicina.

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