5 luglio 2007
Giovanni Sartori
Ricordate il nuovo modo di fare l'automobile? Era una delle balordaggini del '69. Tra le quali ci fu anche, ricordo, la matematica rossa. Ma quando nel suo discorso di candidatura Walter Veltroni ha promesso un nuovo modo di fare politica, l'ho preso e lo prendo sul serio. A Torino Veltroni non ha spiegato come sarà e come la farà. In attesa provo io a dire la mia.
La politica è sempre stata un gioco di interessi «particulari» contrapposti. L'età d'oro della politica disinteressata non è mai esistita. Però la politica mette in gioco anche ideali, e tra questi il perseguimento del bene pubblico e di un interesse generale. Se non lo fa, è inaccettabile «bassa politica». E questo è il punto al quale il vecchio modo di fare politica è oramai arrivato. Che è caratterizzato da un doppio gioco nel quale i politici sono insinceri, o mentono, quando spiegano al popolo bue quello che fanno, mentre sono muti come pesci sulle vere ragioni del loro fare.
Prendiamo il caso emblematico della riforma elettorale. Perché non si fa? Tutti dicono che il «porcellum» è da ripudiare pena la ingovernabilità. Però siamo fermi. E siamo fermi perché «non c'è accordo». Tante grazie. Un accordo che non si vuole non lo si trova mai. E valga il vero. La priorità di Romano Prodi è di restare a palazzo Chigi costi quel che costi; e Prodi sa benissimo che i suoi «nanetti» accetterebbero solo un sistema elettorale che salvi loro e la frammentazione. Così Prodi manda a giro il suo ministro dei Rapporti con il Parlamento per menare il can per l'aia. Alla stessa stregua a Silvio Berlusconi interessa soltanto il sistema elettorale che più danneggia il suo avversario. E siccome la sinistra è più frammentata della destra anche lui fa finta di volere riforme che non vuole.
La vecchia politica, la politica che pratichiamo, funziona così. Non è una politica fondata sulla trasparenza, come ci viene spudoratamente raccontato, ma invece sull'inganno, sul dire una cosa e farne un'altra. Il nuovo modo di fare politica dovrebbe invece ridurre drasticamente l'inganno e aumentare drasticamente la trasparenza.
Nel caso in esame la realtà è questa: che all'interesse dei partitini di sopravvivere si contrappone l'interesse maggiore (di tutto il Paese) di essere governati da governi in grado di governare, e cioè liberati dall'indebito intralcio dei loro nanetti. Il che equivale a dire, in pratica, che un buon sistema elettorale può solo risultare da un accordo trasversale tra i partiti maggiori. O così, o niente. E chi vuole il niente deve essere identificato come tale. Non gli deve essere consentito di farla franca.
A onor del vero una politica nuova richiederebbe anche una classe politica meno asina di come è. La nostra «casta» sta poco a lavorare in ufficio, è tutta presa da interviste, interventi e comparsate tv; e anche per questo non legge più niente, nemmeno i giornali. Quando Berlusconi cercò di coinvolgere il capo dello Stato nella vicenda della Guardia di finanza e del generale Speciale, un costituzionalista del calibro di Leopoldo Elia spiegò nitidamente su questo giornale come stava, costituzionalmente, il caso. Quella sera sulla questione ci furono tre dibattiti in televisione tra il grosso dei nostri grossi calibri del potere; ma nessuno citò Elia. L'avevano letto? Il punto interrogativo diventa un punto dubitativo. Mi fermo. Che io mi diverta a immaginare un nuovo modo di fare politica non toglie che il problema sarà di Veltroni. Non lo invidio.
Ricordate il nuovo modo di fare l'automobile? Era una delle balordaggini del '69. Tra le quali ci fu anche, ricordo, la matematica rossa. Ma quando nel suo discorso di candidatura Walter Veltroni ha promesso un nuovo modo di fare politica, l'ho preso e lo prendo sul serio. A Torino Veltroni non ha spiegato come sarà e come la farà. In attesa provo io a dire la mia.
La politica è sempre stata un gioco di interessi «particulari» contrapposti. L'età d'oro della politica disinteressata non è mai esistita. Però la politica mette in gioco anche ideali, e tra questi il perseguimento del bene pubblico e di un interesse generale. Se non lo fa, è inaccettabile «bassa politica». E questo è il punto al quale il vecchio modo di fare politica è oramai arrivato. Che è caratterizzato da un doppio gioco nel quale i politici sono insinceri, o mentono, quando spiegano al popolo bue quello che fanno, mentre sono muti come pesci sulle vere ragioni del loro fare.
Prendiamo il caso emblematico della riforma elettorale. Perché non si fa? Tutti dicono che il «porcellum» è da ripudiare pena la ingovernabilità. Però siamo fermi. E siamo fermi perché «non c'è accordo». Tante grazie. Un accordo che non si vuole non lo si trova mai. E valga il vero. La priorità di Romano Prodi è di restare a palazzo Chigi costi quel che costi; e Prodi sa benissimo che i suoi «nanetti» accetterebbero solo un sistema elettorale che salvi loro e la frammentazione. Così Prodi manda a giro il suo ministro dei Rapporti con il Parlamento per menare il can per l'aia. Alla stessa stregua a Silvio Berlusconi interessa soltanto il sistema elettorale che più danneggia il suo avversario. E siccome la sinistra è più frammentata della destra anche lui fa finta di volere riforme che non vuole.
La vecchia politica, la politica che pratichiamo, funziona così. Non è una politica fondata sulla trasparenza, come ci viene spudoratamente raccontato, ma invece sull'inganno, sul dire una cosa e farne un'altra. Il nuovo modo di fare politica dovrebbe invece ridurre drasticamente l'inganno e aumentare drasticamente la trasparenza.
Nel caso in esame la realtà è questa: che all'interesse dei partitini di sopravvivere si contrappone l'interesse maggiore (di tutto il Paese) di essere governati da governi in grado di governare, e cioè liberati dall'indebito intralcio dei loro nanetti. Il che equivale a dire, in pratica, che un buon sistema elettorale può solo risultare da un accordo trasversale tra i partiti maggiori. O così, o niente. E chi vuole il niente deve essere identificato come tale. Non gli deve essere consentito di farla franca.
A onor del vero una politica nuova richiederebbe anche una classe politica meno asina di come è. La nostra «casta» sta poco a lavorare in ufficio, è tutta presa da interviste, interventi e comparsate tv; e anche per questo non legge più niente, nemmeno i giornali. Quando Berlusconi cercò di coinvolgere il capo dello Stato nella vicenda della Guardia di finanza e del generale Speciale, un costituzionalista del calibro di Leopoldo Elia spiegò nitidamente su questo giornale come stava, costituzionalmente, il caso. Quella sera sulla questione ci furono tre dibattiti in televisione tra il grosso dei nostri grossi calibri del potere; ma nessuno citò Elia. L'avevano letto? Il punto interrogativo diventa un punto dubitativo. Mi fermo. Che io mi diverta a immaginare un nuovo modo di fare politica non toglie che il problema sarà di Veltroni. Non lo invidio.
Nessun commento:
Posta un commento