mercoledì 4 luglio 2007

PD, più che il leader conterà la scelta dei futuri dirigenti

Il Sole 24 Ore
4 luglio 2007
Piero Ignazi
Contrariamente a quanto viene sostenuto da mol­ti, l'elezione del leader del Partito democratico non è più la questione centrale del nuovo soggetto politico. Il pas­saggio decisivo è già stato com­piuto nel momento in cui ven­ne stabilito che il leader sareb­be stato eletto «a suffragio universale», cioè da tutti i sostenitori del Pd attraverso le prima­rie. Nonostante questo passo decisivo, rimangono però an­cora aperti due problemi: chi ha diritto di voto (tutti i cittadi­ni? gli ex iscritti a Ds e Marghe­rita? un nuovo elenco di iscrivendi al Pd? e redatto con qua­li criteri? ecc); chi si può candi­dare, vale a dire quali requisiti sono necessari per presentar­si: numero di firme a sostegno, anzianità di membership nei partiti confluenti, cariche rico­perte, ecc). Walter Veltroni, invocato come salvatore della patria, ha già annunciato, con l'abilità mediatica che lo con­traddistingue, la sua partecipazione; altri verranno, spinti da quel mix di ambizione e ricerca di visibilità che fa parte del corredo di ogni politico. Ve­dremo se ci saranno candidati espressione delle antiche ap­partenenze diessine e marghe­ritine, nelle loro varie sfumatu­re, oppure aggregazioni inedite, manifestazione di un vero rimescolamento di carte. Ad ogni modo la competizione per la leadership si avvia a ri­calcare quella di due anni fa quando venne plebiscitato Ro­mano Prodi, con Veltroni al po­sto del professore. Del resto in una fase nascente come que­sta il consensus programmati­co dovrebbe essere scontato. Semmai si tratterebbe di sfu­mature. Altrimenti perché uni­re sensibilità così divergenti?
Una volta definita la modali­tà popolare del processo di no­mina della leadership, va però risolta la questione della sele­zione della classe dirigente in­termedia, quei 2.500 che do­vrebbero comporre l'assem­blea costituente, vero nerbo del nascente partito. La moda­lità di scelta di questa assem­blea, su cui è calato un silenzio assordante, non è una mera questione tecnica. È una que­stione politica vitale. Perché è su questo snodo che si manife­sta o meno il grado di innova­zione politica del Pd e la capa­cità di mobilitazione dei suoi sostenitori. L'ipotesi che circola — liste bloccate e predefinite, collegate ai vari candidati — è nefasta perché toglie agli elettori del Pd la libertà di scel­ta, irrigidisce il partito in nuo­ve correnti, ripropone un'im­magine castale della politica. Un disastro. Se il Pd vuole prefigurare una modalità aperta, trasparente e partecipativa del fare politica, ed evitare la fusione fredda di oligarchie, deve "trasferire" nelle mani dei suoi sostenitori il potere di scelta. Come? In sintesi, adot­tando un sistema elettorale imperniato sul modello irlande­se (il voto singolo trasferibile) che dia all'elettore la possibili­tà di ordinare — dall'uno al cinque, ipotizzando che siano cin­que i costituenti da eleggere per ciascuna circoscrizione — tutti i candidati di ogni lista. In tal modo, scegliendo i singoli candidati da ciascuna lista e non la lista bloccata si da ai cit­tadini piena possibilità di inter­vento sull'offerta predisposta dai partiti. Gli elettori ripren­dono in mano il gioco e decido­no loro, non i dirigenti, chi me­rita di essere eletto. Certo, questa libertà assoluta di scelta as­segnata all'elettore sconcerta quei dirigenti abituati a distri­buire incarichi e prebende; e infatti i vertici dei due partiti preferiscono ignorare questi banali dettagli tecnici e conti­nuano a deliziarci con mes­saggi ambigui, criptici, spes­so incomprensibili al volgo. Non si rendono conto che il destino del Pd è legato ben più che al leader nazionale al­la sua, sperabilmente nuova, classe dirigente e alla modali­tà della sua selezione. Se que­sta sarà aperta, libera e traspa­rente il Pd si assicurerà anche una partecipazione convinta dei suoi sostenitori che non verrebbero chiamati a ratifi­care bensì a scegliere. Insomma, se il Pd vuole essere un nuovo partito, deve farsi in maniera nuova. Un po' più di coraggio non guasterebbe.

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