23 luglio 2007
di Andrea Carugati
Anche Enrico Letta correrà per la guida del Pd. Lo ha annunciato ieri dalle pagine del Corriere. Dopo una lunghissima riflessione, che è servita anche a creare un certo effetto mediatico sull'attesa, domani annuncerà la sua candidatura. E così, alla fine, i timori di chi temeva una corsa solitària di Walter Veltroni, o addirittura primarie-plebiscito, si sono rivelati infondati. Il meccanismo competitivo, e personalizzato, inserito strada facendo dal comitato dei 45 nel regolamento del 14 ottobre, ha prevalso su altre considerazioni. Come, ad esempio, l'unità dei partiti di origine.
A proporre una molteplicità di candidature, a dire il vero, è solo la Margherita, che schiera Franceschini in ticket con Veltroni, Rosy Bindi ed Enrico Letta. In casa Ds, invece, ha prevalso la linea fassiniana del "tutti uniti", che ha fatto fare un passo indietro a Pierluigi Bersani, lo sfidante certamente più competitivo del sindaco di Roma. Anche se Letta, che a Bersani politicamente assomiglia molto, potrebbe riservare delle sorprese, al Nord, ma anche nel Mezzogiorno, nella sua Toscana e nell'Emilia "orfana" di Bersani. Altro elemento: in gara ci sono personalità molto diverse fra loro. Tre politici di professione, Veltroni, Letta e Bindi, che hanno in comune l'aver sempre condiviso il progetto ulivista. E quattro outsider come Furio Colombo, il giornalista e blogger Mario Adinolfi e Jacopo Gavazzoli Schettini, direttore dell'Agenzia europea di investimenti a Bruxelles e Ludo Cangini, forlivese, per 18 anni vicepresidente dell'Unione delle Comunità montane. A loro potrebbe aggiungersi anche il leader radicale Marco Pannella.
Seppur ancora parziale, il rimescolamento fra le culture di provenienza è cominciato. Lo dimostrano i sostegni incrociati: diessini come Franca Chiaromonte e Gianfranco Pasquino appoggiano la Bindi, altri come Umberto Ranieri e Gianni Pittella hanno già annunciato il loro sostegno a Letta. Senza dimenticare, naturalmente, l'aperto sostegno a Veltroni di larga parte dello stato maggiore della Margherita, da Rutelli a Marini e Fioroni. Un «mescolamento» benedetto da Prodi, che ieri, commentando un articolo del «Corriere» di Bologna sulla «diaspora» dei prodiani fra i vari candidati ha detto: «Ben venga una diaspora che farà forte il Pd. Guai se le diverse anime dovessero rimanere compatte e quasi cristallizzate». Tutto è iniziato il 18 giugno, quando il comitato dei 45 ha deciso, dopo il pressing della Margherita, di dare il via libera all'elezione diretta del leader. I prodiani, infatti, all'inizio non erano convinti di mettere in campo subito un leader forte che avrebbe potuto insidiare la leadership dell'inquilino di palazzo Chigi. L'ipotesi in campo era quella di far eleggere, dall'assemblea costituente, un «segretario», dai non precisati poteri: così aveva deciso il comitato il 30 maggio. Per Prodi doveva essere un numero due, un coordinatore. Anche Veltroni non voleva accelerare troppo la scelta del leader, visti i suoi impegni in Campidoglio. Per la Margherita, invece, quello da eleggere era un segretario vecchia maniera, dunque un leader. E i Ds a mediare. Alla fine ha prevalso il lodo-Migliavacca: collegare «obbligatoriamente» le liste per la costituente al candidato alla segreteria. «Un segretario forte non indebolirà il governo», il via libera di Romano Prodi. A quel punto la macchina veltroniana si è messa in moto: e fra il 19 e il 20 giugno, previo contatto con Prodi, D'Alema, Passino, Rutelli e Marini, Veltroni ha deciso di correre. L'annuncio il 27 giugno a Torino, al Lingotto.
Tra gli sfidanti il primo a farsi avanti è Schettini, il 3 luglio. Ma non basta, tanto che Arturo Parisi continua ad ammonire: «Sono pronto a candidarmi anch'io perché ci sia una competizione vera». Pensiero che si rafforza il 9 luglio, con il passo indietro di Bersani. A sbloccare la situazione ci pensa Furio Colombo che il 15 luglio, dalle pagine de l'Unità, annuncia la sua candidatura. Il giorno dopo è Rosy Bindi a dire sì. Il 18 Adinolfi. E domani tocca a Letta. Che dice: «C'è una generazione tra i 30 e i 40 anni che nella politica è poco rappresentata. Non mi voglio rivolgere solo ai miei coetanei, ma di questa generazione faccio parte e credo abbia molto da dare al Pd: siamo la prima generazione posti-ideologica».
di Andrea Carugati
Anche Enrico Letta correrà per la guida del Pd. Lo ha annunciato ieri dalle pagine del Corriere. Dopo una lunghissima riflessione, che è servita anche a creare un certo effetto mediatico sull'attesa, domani annuncerà la sua candidatura. E così, alla fine, i timori di chi temeva una corsa solitària di Walter Veltroni, o addirittura primarie-plebiscito, si sono rivelati infondati. Il meccanismo competitivo, e personalizzato, inserito strada facendo dal comitato dei 45 nel regolamento del 14 ottobre, ha prevalso su altre considerazioni. Come, ad esempio, l'unità dei partiti di origine.
A proporre una molteplicità di candidature, a dire il vero, è solo la Margherita, che schiera Franceschini in ticket con Veltroni, Rosy Bindi ed Enrico Letta. In casa Ds, invece, ha prevalso la linea fassiniana del "tutti uniti", che ha fatto fare un passo indietro a Pierluigi Bersani, lo sfidante certamente più competitivo del sindaco di Roma. Anche se Letta, che a Bersani politicamente assomiglia molto, potrebbe riservare delle sorprese, al Nord, ma anche nel Mezzogiorno, nella sua Toscana e nell'Emilia "orfana" di Bersani. Altro elemento: in gara ci sono personalità molto diverse fra loro. Tre politici di professione, Veltroni, Letta e Bindi, che hanno in comune l'aver sempre condiviso il progetto ulivista. E quattro outsider come Furio Colombo, il giornalista e blogger Mario Adinolfi e Jacopo Gavazzoli Schettini, direttore dell'Agenzia europea di investimenti a Bruxelles e Ludo Cangini, forlivese, per 18 anni vicepresidente dell'Unione delle Comunità montane. A loro potrebbe aggiungersi anche il leader radicale Marco Pannella.
Seppur ancora parziale, il rimescolamento fra le culture di provenienza è cominciato. Lo dimostrano i sostegni incrociati: diessini come Franca Chiaromonte e Gianfranco Pasquino appoggiano la Bindi, altri come Umberto Ranieri e Gianni Pittella hanno già annunciato il loro sostegno a Letta. Senza dimenticare, naturalmente, l'aperto sostegno a Veltroni di larga parte dello stato maggiore della Margherita, da Rutelli a Marini e Fioroni. Un «mescolamento» benedetto da Prodi, che ieri, commentando un articolo del «Corriere» di Bologna sulla «diaspora» dei prodiani fra i vari candidati ha detto: «Ben venga una diaspora che farà forte il Pd. Guai se le diverse anime dovessero rimanere compatte e quasi cristallizzate». Tutto è iniziato il 18 giugno, quando il comitato dei 45 ha deciso, dopo il pressing della Margherita, di dare il via libera all'elezione diretta del leader. I prodiani, infatti, all'inizio non erano convinti di mettere in campo subito un leader forte che avrebbe potuto insidiare la leadership dell'inquilino di palazzo Chigi. L'ipotesi in campo era quella di far eleggere, dall'assemblea costituente, un «segretario», dai non precisati poteri: così aveva deciso il comitato il 30 maggio. Per Prodi doveva essere un numero due, un coordinatore. Anche Veltroni non voleva accelerare troppo la scelta del leader, visti i suoi impegni in Campidoglio. Per la Margherita, invece, quello da eleggere era un segretario vecchia maniera, dunque un leader. E i Ds a mediare. Alla fine ha prevalso il lodo-Migliavacca: collegare «obbligatoriamente» le liste per la costituente al candidato alla segreteria. «Un segretario forte non indebolirà il governo», il via libera di Romano Prodi. A quel punto la macchina veltroniana si è messa in moto: e fra il 19 e il 20 giugno, previo contatto con Prodi, D'Alema, Passino, Rutelli e Marini, Veltroni ha deciso di correre. L'annuncio il 27 giugno a Torino, al Lingotto.
Tra gli sfidanti il primo a farsi avanti è Schettini, il 3 luglio. Ma non basta, tanto che Arturo Parisi continua ad ammonire: «Sono pronto a candidarmi anch'io perché ci sia una competizione vera». Pensiero che si rafforza il 9 luglio, con il passo indietro di Bersani. A sbloccare la situazione ci pensa Furio Colombo che il 15 luglio, dalle pagine de l'Unità, annuncia la sua candidatura. Il giorno dopo è Rosy Bindi a dire sì. Il 18 Adinolfi. E domani tocca a Letta. Che dice: «C'è una generazione tra i 30 e i 40 anni che nella politica è poco rappresentata. Non mi voglio rivolgere solo ai miei coetanei, ma di questa generazione faccio parte e credo abbia molto da dare al Pd: siamo la prima generazione posti-ideologica».
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