giovedì 5 luglio 2007

Il PD e l'effetto Veltroni

La Repubblica
3 luglio 2007, pag. 21
Andrea Manzella

Nunc redit animus. Quan­do lo storico di Roma scri­veva quelle tre parole, non c'erano state "primarie", né "gazebi", né sondaggi, né regole pro­cedurali. Ma con esse attestava la verità politica reale di un movi­mento di persuasione collettiva, che si era manifestato, oggi di­remmo, per via pre-politica. Da allora quelle parole descrivono, benissimo, il punto del tempo preciso in cui un moto di sollievo si diffonde spontaneo nella pub­blica opinione per un fatto che essa interpreta come fine di un periodo di depressione o di pau­ra.
Come e perché nascano questi stati d'animo collettivi, quale sia la loro chimica interna, la loro onda di diffusione, la loro perduranza nel tempo: sono tutte cose che nessuna scienza politica o costituzionale è riuscita finora a spiegare o prevedere. Sono feno­meni che oggi si sottraggono per-sino all'ossessiva invasione delle moderne comunicazioni, nel senso che sfuggono alle forme della globalizzazione perché usano canali irriproducibili tec­nicamente. Si propagano per contagio, per osmosi, per le invi­sibili vie che fanno di una folla di­spersa e "liquida" una comunità emozionalmente coesa. Appar­tengono ancora adesso alla zona misteriosa, e qualcuno dice irra­zionale, della politica. Ma, se non ci fossero, la politica sarebbe un'altra cosa e non una avventurosa partita aperta che appassio­na perché il suo risultato non è mai interamente nelle mani di chi la gioca come profes­sione.
Forse con lin­guaggio attuale po­tremmo parlare di forme aurorali del­la democrazia di partecipazione: il punto in cui, con l'auto identifica­zione spontanea in un leader o in una mouvance, le risor­se dell'antipoliti­ca" (nel senso oppositivo ma non negativo di Pierre Rosanvallon) sono investite nella poli­tica.
Non occorre es­sere particolar­mente amici del sindaco di Roma per riconoscere che uno di questi "magic moments" si è realizzato in questi giorni intor­no a lui. Che una di queste fusioni "a caldo" - impoliti­che perché sorgo­no "fuori ordinanza": all'esterno dei regolamenti, dei tempi e de­gli schemi degli ordinamenti po­litici vigenti - si è verificata e si è posta al centro della politica perché tutti ormai devono, nel bene o nel male, tenerne conto.
Ne terrà conto, certo, l'opposi­zione parlamentare – maggioranza nei sondaggi - e che ora de­ve fronteggiare non tanto il gio­vane leader conosciuto quanto la profondità sconosciuta del movimento di opinione che si è creato intorno a lui. Ne tengono già conto i contro-opinionisti che cercano legittimamente di demitizzare l'accaduto, spiegan­do accuratamente le ragioni per cui non vi sarebbero ragioni per la main streaming che tuttavia si è prodotta. Ma ne dovrà soprat­tutto tenere conto la maggioran­za: per due aspetti preminenti. Da un lato, per arrestare, con questa imprevista iniezione di fi­ducia e di speranza, il movimen­to franoso che minaccia da tem­po l'opera di un difficile governo. Dall'altro lato, per "aggiornare" e ricostruire e accorciare, intorno a questa sopravvenienza di clima e di sentire popolare, il lento e accidentato percorso - magari po­liticamente "corretto" ma terri­bilmente datato - a suo tempo tracciato per arrivare al "partito nuovo". Una road map disegna­ta a freddo, come per una tesi sperimentale scolastica o per un modellino da vasca navale. Ma che ha già provocato una realtà di dissensi e di lacerazioni gravi.
Sarebbe allora un ultimo, in­verosimile errore volere costrin­gere il fatto politico, già compiu­to almeno come annuncio e co­me accoglienza, a "rientrare" in quell'astratto schemino di regole concepite prima che la "sor­presa" politica venisse a render­le in certa misura obsolete. È giu­sto infatti l'impegno a difendere in ogni caso ilprincipio di demo­crazia procedurale. È perfino equo che certe procedure serva­no a "recuperare" nel grande gio­co validissimi dirigenti politici colti, appunto, di sorpresa dalla vastità e dalla svolta del consen­so intorno ad una candidatura. Quello che davvero non si capi­rebbe è che vincoli procedurali, con pluralismi artificiali e ballottaggi inventati ed altre chicanes e la stessa lontanissima data-fe­ticcio del 14 ottobre - divenisse­ro la "lettera" della politica che ne spegnesse lo "spirito" appena formatosi in una di quelle comu­nioni o "stati nascenti" che spin­gono la politica a cambiare ca­vallo.
Certo, le regole essenziali della democrazia costituzionale van­no rispettate. E anche il consen­so "accertato" va verificato: la competizione rende sempre più forti le leadership che vi risultano vincenti. Ma insistendo in certi ideogrammi procedurali, impe­gnandosi a costruire "lettini di Procuste" per costringervi den­tro quel che, in un certo senso, è già accaduto: così non si va avan­ti, ma si torna indietro. Perché non si inventa un partito nuovo a tavolino e dall'alto, senza accor­gersi di quel che accade intorno. E perché qualcun altro potrebbe ripetere come il personaggio di Garcia Marquez che «quella via non gli interessava, perché pote­va condurlo soltanto al passato».

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