lunedì 23 luglio 2007

Le donne escluse dal potere

La Stampa
23 luglio 2007
di Chiara Saraceno
E’ più scandaloso e sconfortante che la comunicazione pubblica italiana usi i quarti di carne (giovane) femminile come veicolo tutto fare di comunicazione, o che ogni volta che è in gioco una qualche posizione di potere delle donne non ci sia quasi traccia delle donne? È più sconfortante l’esibizione ossessiva di cosce/tette/labbroni, o la presenza ossessiva di corpi (per lo più brutti e in età) maschili che dilaga ogni volta che si parla e si prendono decisioni su cose che toccano la vita di ciascuno? Il fatto che alcune parlamentari nelle loro esibizioni pubbliche usino provocatoriamente tecniche da «velina», o il fatto che alcuni giornali nostrani si permettano servizi sulle più belle tra loro con un linguaggio a metà tra una cronaca di miss Italia e l'ammiccamento da bar sport? Possiamo prendercela con il Financial Times che con tempismo estivo irride ai difetti e agli stereotipi nazionali. Se non è la mafia, è il guardonismo maschile e la stupidità femminile. Eppure, forse c’è del vero nel nesso che suggerisce tra ossessione per il corpo femminile e l’assenza di donne dalla sfera pubblica in Italia. Certo, una maggiore presenza di donne nella sfera pubblica non protegge automaticamente dalla mancanza di rispetto e dalla stupidità (maschile, prima che femminile), in Italia come in Inghilterra o altrove. Ma l’assenza di rispetto testimoniata da quell’ossessione trova perfetta corrispondenza nella spudorata disinvoltura con cui puntualmente le donne vengono escluse, e si fanno escludere, da ogni competizione importante, accontentandosi della promessa che prima o poi, meglio poi, verrà anche il loro turno. Si scaldano i muscoli ai lati della corsia, talvolta sembrano lì lì per essere chiamate per correre, ma poi rinunciano a favore del corridore scelto dalla scuderia. È davvero incredibile quello che è successo per il ticket dato per favorito - e comunque prescelto dalle «scuderie che contano», ovvero dai partiti - per la candidatura alla leadership del futuro partito democratico. Incredibile non solo per come è avvenuta la scelta, non solo per il fatto che, essendoci «solo» due posti, sono stati «naturalmente» riservati a due uomini nell’alchimia tra i due partiti fondatori maggiori. Ancora più scandaloso è che le donne dei partiti non abbiano protestato per questa ennesima presa in giro, in nome della fedeltà ai propri partiti e della real politik. Ma sono davvero sicure che è questo il realismo politico? Che l’elettorato, non solo quello femminile, non verrà ulteriormente allontanato da questa mancanza di coraggio e fantasia? Che il loro silenzio e accettazione non spezzerà l’ormai fragile filo che le lega ai movimenti di donne che, a prescindere da quello che pensa il giornalista del Financial Times, sono diventati sempre più impazienti e organizzati? Che le giovani donne, già umiliate dalle immagini femminili presenti nella comunicazione pubblica, non troveranno in questo loro atteggiamento l’ennesima prova di un’emancipazione impossibile (specie a sinistra) e gli uomini la conferma della subalternità femminile?Onore, da questo punto di vista, a Bindi e Bonino, che se non altro cercano, ciascuna a suo modo, di trovare uno spazio autonomo, anche se con esiti più simbolici che reali. Bindi in particolare sembra aver capito che, per le donne, la troppa fedeltà al partito non paga. Che anche lì, più ancora che nelle professioni, c’è un infrangibile soffitto di cristallo. Anche se la sua candidatura più che a stanare altre donne in perenne pole position, o a esplicitare lo scandalo di un partito che si dichiara nuovo e che è invece appesantito da una vecchissima (in ogni senso) zavorra, inclusa l’altissima quota maschile, servirà probabilmente a legittimare la messa in pista di qualche altra candidatura maschile. Per ricondurre la competizione ad una faccenda tra uomini, che non possono farsi sfidare da una donna, anche sul piano del coraggio a rompere l’omertà di partito.

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