Il Tirreno
DOMENICA, 15 LUGLIO 2007
Emanuele Rossi
Tra pochi giorni (il 24 luglio) scadrà il termine per la raccolta delle firme per i tre quesiti referendari che sono stati proposti: dopo di che, se la soglia delle 500mila firme sarà raggiunta, occorrerà attendere l’esame della Corte costituzionale per sapere se nella prossima primavera si andrà a votare per cambiare la legge elettorale o se il Parlamento raggiungerà un’intesa per evitare il ricorso alle urne. Cerchiamo di capire i tre quesiti. Che cosa si chiede. Il referendum sacrosanto è il terzo, che mira ad eliminare la possibilità per ogni candidato di presentarsi in più circoscrizioni elettorali (anche tutte!), così di fatto impedendo agli elettori di scegliere i propri effettivi rappresentanti. Si tratta di un risultato di civiltà e democrazia, sul quale difficilmente possono formularsi obiezioni serie. I referendum politicamente più rilevanti sono gli altri due, mediante i quali ci si propone di eliminare la possibilità per le liste di collegarsi tra loro, così attribuendo il premio di maggioranza alla singola lista vincente anziché alla coalizione. Che cosa si vuol cambiare. Qualora il referendum avesse esito positivo, si avrebbe l’effetto che il premio di maggioranza così come oggi previsto (il 55% dei seggi alla Camera, a livello regionale per il Senato) andrebbe non alla coalizione, ma alla lista che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Tale risultato comporterebbe altresì un innalzamento delle soglie di sbarramento: per andare in Parlamento le liste dovrebbero ottenere almeno il 4% dei voti alla Camera e l’8% al Senato. Obiettivo dichiarato dei promotori è di ridurre la frammentazione politica, ovvero il numero di piccoli partiti che svolgono una funzione di “freno” se non di “ostacolo” all’interno delle coalizioni. Come cambierà. Che l’obiettivo possa realizzarsi dipende molto da come si comporterebbero le forze politiche: siccome il premio di maggioranza andrebbe ad una lista anziché a una coalizione, è verosimile ritenere che le coalizioni si presenterebbero all’interno di una stessa lista, dove per arrivare primi ci si metterebbero dentro tutti, e così saremmo punto da capo. E se poi così non avvenisse, e ciascuno andasse per conto proprio, si potrebbe avere che un partito con relativamente pochi voti sarebbe premiato con il 55% dei seggi: conseguenza forse peggiore del male che ci si prefigge di eliminare. Per una nuova legge. Lo scopo più o meno dichiarato dei promotori del referendum è di costringere con esso il Parlamento ad intervenire, eliminando una legge pessima e dagli effetti nefasti che abbiamo davanti agli occhi per introdurne una diversa e migliore, ma sulla quale non si riesce a trovare nessun accordo. Ed allora il vero obiettivo del referendum è questo: mettere in mora il Parlamento perché si muova, e possibilmente si muova migliorando le condizioni di governabilità e riducendo il potere di interdizione dei piccoli partiti.
DOMENICA, 15 LUGLIO 2007
Emanuele Rossi
Tra pochi giorni (il 24 luglio) scadrà il termine per la raccolta delle firme per i tre quesiti referendari che sono stati proposti: dopo di che, se la soglia delle 500mila firme sarà raggiunta, occorrerà attendere l’esame della Corte costituzionale per sapere se nella prossima primavera si andrà a votare per cambiare la legge elettorale o se il Parlamento raggiungerà un’intesa per evitare il ricorso alle urne. Cerchiamo di capire i tre quesiti. Che cosa si chiede. Il referendum sacrosanto è il terzo, che mira ad eliminare la possibilità per ogni candidato di presentarsi in più circoscrizioni elettorali (anche tutte!), così di fatto impedendo agli elettori di scegliere i propri effettivi rappresentanti. Si tratta di un risultato di civiltà e democrazia, sul quale difficilmente possono formularsi obiezioni serie. I referendum politicamente più rilevanti sono gli altri due, mediante i quali ci si propone di eliminare la possibilità per le liste di collegarsi tra loro, così attribuendo il premio di maggioranza alla singola lista vincente anziché alla coalizione. Che cosa si vuol cambiare. Qualora il referendum avesse esito positivo, si avrebbe l’effetto che il premio di maggioranza così come oggi previsto (il 55% dei seggi alla Camera, a livello regionale per il Senato) andrebbe non alla coalizione, ma alla lista che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Tale risultato comporterebbe altresì un innalzamento delle soglie di sbarramento: per andare in Parlamento le liste dovrebbero ottenere almeno il 4% dei voti alla Camera e l’8% al Senato. Obiettivo dichiarato dei promotori è di ridurre la frammentazione politica, ovvero il numero di piccoli partiti che svolgono una funzione di “freno” se non di “ostacolo” all’interno delle coalizioni. Come cambierà. Che l’obiettivo possa realizzarsi dipende molto da come si comporterebbero le forze politiche: siccome il premio di maggioranza andrebbe ad una lista anziché a una coalizione, è verosimile ritenere che le coalizioni si presenterebbero all’interno di una stessa lista, dove per arrivare primi ci si metterebbero dentro tutti, e così saremmo punto da capo. E se poi così non avvenisse, e ciascuno andasse per conto proprio, si potrebbe avere che un partito con relativamente pochi voti sarebbe premiato con il 55% dei seggi: conseguenza forse peggiore del male che ci si prefigge di eliminare. Per una nuova legge. Lo scopo più o meno dichiarato dei promotori del referendum è di costringere con esso il Parlamento ad intervenire, eliminando una legge pessima e dagli effetti nefasti che abbiamo davanti agli occhi per introdurne una diversa e migliore, ma sulla quale non si riesce a trovare nessun accordo. Ed allora il vero obiettivo del referendum è questo: mettere in mora il Parlamento perché si muova, e possibilmente si muova migliorando le condizioni di governabilità e riducendo il potere di interdizione dei piccoli partiti.
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